NOVITA’ DISCOGRAFICHE / “The land we knew the best”, ALBUM CAPOLAVORO, INTIMISTA E PROFONDO, DI CHRIS ECKMAN

| 13 Aprile 2025 | 0 Comments

di Roberto Molle _________

Chris Eckman ha da poco pubblicato il suo ultimo disco con un titolo tra il nostalgico e l’evocativo: The Land We Knew The Best; e io mi trovo qui, nel mattino di un giorno di primavera che non sa decidersi se esplodere o lasciarsi morire dentro un freddo strisciante che non se ne vuole andare.

Sono nella mia comfort-zone d’ascolto a mettere un po’ di ordine tra le canzoni e ricordi che riaffiorano quando dinanzi agli occhi la parola Walkabouts viene evocata in tutto il suo criptico e ancestrale significato.

Dei Walkabouts Chris Eckman ha fatto parte per più di venticinque anni e quando penso a lui, in qualche modo è inevitabile riandare a Carla Torgerson e alla sua voce calda e seducente o ai tamburi di Terry Moeller, la mia batterista preferita di sempre e, ovviamente, al resto della band che nel 2011 salutò per sempre i suoi fans con un album che riascoltato oggi è capace di regalare ancora mille emozioni: lo splendido Travels In The Dustland.

Tra dischi, articoli accumulati negli anni e stralci di recensioni mai portate a conclusione, riemergono dal mio impolverato archivio appunti, pensieri e istantanee dell’universo Walkabouts a cui prima o poi, avrei dato forma concreta. Riflessioni ispirate da album che hanno debordato da scenari americani tracimando fino al vecchio continente portandosi dietro storie di amori, luoghi, delusioni, dolori e bellezza.

  • 28 febbraio 2015 “Vado a dormire prima che il diavolo si svegli, e mi alzo prima che gli angeli prendano il volo…”, dicono le parole di “The lights will stay on”; una canzone che ha per tema la morte e il ricordo indelebile di chi, ormai non c’è più. In questa giornata dove fuori un vento gelido punge fino al midollo, dentro è tempo di retrospettiva. Sono i Walkabouts la mia ossessione del momento, e suoni alla mano, mi aggiro nella loro corposa discografia alla ricerca di nuovi, evocativi elementi. Ieri notte, sarà stato verso l’una, in televisione davano un biopic su Kurt Kobain, e le immagini restituivano scorci e paesaggi di quella Seattle sonnacchiosa, crepuscolare e quasi claustrofobica che aveva fatto da sfondo comune ai protagonisti delle due band (Walkabouts e Nirvana) più o meno coeve, che più di tante altre sono state identificate come “Quelle del Seattle-sound”, ovvero il Grunge. Per la verità, i Walkabouts hanno preso le distanze da quel genere tanto tempo fa, percorrendo una strada che li ha portati verso il recupero delle radici del suono pop(lare) americano e non solo.”
  • 13 giugno 2018 “In Train Leaves At Eight” i Walkabouts omaggiano una serie di artisti europei, da Bregovic ai dEUS, da Solex a De Andrè e Fossati, a Theodorakis ai Neu!, fino al grande Jaque Brell.
  • 21 dicembre 2022 “Se dovessi fare una lista dei musicisti italiani che più mi hanno dato, in cima, ci metterei Fabrizio De Andrè. Se poi dovessi aggiungerci quelli stranieri che in qualche modo hanno interagito con lui, beh… ci metterei Chris Eckman. Una cover di Desamistade di De Andrè si trova in Train Leaves At Eight, un album dei Walkabouts del 2000. Qualche anno dopo, Chris raccontò l’incontro con la musica di De Andrè: “È stato per merito di un mio amico di Vienna, che mi inviò una cassetta di musicisti europei che secondo lui avrei dovuto assolutamente ascoltare. Pensa, un americano che scopre la musica di un italiano grazie a un austriaco… tutto molto strano, ma anche affascinante. Un’altra dimostrazione che le canzoni viaggiano per conto loro, De Andrè mi ha conquistato dal primo istante. Mi sono procurato quasi tutta la sua discografia. Non so spiegare cosa mi abbia incantato di Fabrizio, io non conosco l’italiano e quindi dovrei essere tagliato fuori dall’aspetto più importante della sua arte. Mi sono fatto tradurre alcuni dei suoi testi, e non mi è stato difficile intuire quale poeta formidabile sia stato.”

C’è tutta la potenza evocativa di quanto sopra che mi accompagna mentre inserisco il dischetto nel lettore (che Chris mi ha spedito qualche giorno fa direttamente da Lubiana, la città slovena dove vive da oltre una ventina d’anni). Ma prima di far partire la musica ancora alcuni flash sulla storia di questo musicista americano che ha adottato l’Europa come nuovo luogo dove vivere.

Prima di approdare a una carriera solistica che con The Land We Knew The Best segna un poker (insieme a A Janela, The Black Field e The Last Side Of Mountain) di album intimisti e profondi, venati di folk, rock e poesia, Chris Eckman insieme a Carla Torgerson ha dato vita al duo Chris & Carla (side project di Walkabouts), una manciata di album farciti di atmosfere più acustiche e folk rispetto alla linea Walkabouts. Nel 2007 assieme ai musicisti Hugo Race (ex Bad Seeds) e Chris Brokaw (ex Codeine e Come) ha formato i Dirtmusic, un progetto musicale di contaminazione tra folk-rock, indie-rock e musica etnica.

La copertina di The Land We Knew The Best trasmette una pace irreale filtrata da uno sfondo candido di che si fa passepartout al ritratto di un bosco da qualche parte nella zona dove Chris vive. La sensazione che avevo avuto qualche altra volta ascoltando brani da The Last Side Of Mountain, che nelle canzoni di Chris (post Walkabouts) sia sempre autunno o inverno, che nostalgia e poesia si compendiassero dentro ballads scritte mentre un amore svanisce consumato dal tempo, che in fondo si rimane gli stessi pur adattandosi a mille situazioni, che la musica potrà anche non salvarci la vita, ma sicuramente ce la rende migliore, ecco, queste sensazioni continuo ad averle e ne sono contento perché a provocarmele è la musica di un musicista e songwriter lontano mille miglia dallo show-biz e da ogni mainstream possibile.

E ora l’ascolto e il resoconto delle otto tracce di un album che da qualche giorno mi sta ossessionando con la sua bellezza.

Genevieve apre un solco profondo anche nel cuore più gelido e lo riempie di dolci preghiere. Ballad nel senso più ampio, folk irredento e soffuso, parole che affondano leggere dentro un afflato. Chris, la sua voce calda e profonda, versi che accendono la notte e un dolore: “Genevieve, torna a casa / attraversa questo portico / sei l’unica che abbia mai conosciuto / che si riempie le gambe di punture di zanzara / nel tempo che ci vuole / per allacciarsi una scarpa / e sei l’unica che ondeggiava e tremava / quando abbiamo mantenuto / la semplicità, la purezza e la semplicità…”. Il violino di Catherine Graindorge, la voce e il piano soffuso di Jana Beltran, ricamano ghirigori di tremole luci come lampi nel buio a illuminare un volto nella penombra. Quanta bellezza in Genevieve, eterea, scarna, essenziale. E quanti rimandi a quel volto che lentamente si accende, acquista fisionomia e un sorriso. È Leonard, tornato sul filo di una melodia, ammaliato da un nome di donna, affascinato da un musicista fratello. Genevieve e Suzanne, muse della stessa legione, sfiorate, irraggiungibili, eternamente evocate.

Town Lights FadeLe luci della città stanno svanendo lentamente / Siamo angeli ubriachi nella neve / senza nessun altro posto dove andare / le nostre ossa sono riscaldate dal fuoco / lampi di calore sono nelle nostre teste / i nostri cuori ignorano le scorciatoie…”. Con un refrain che trascina dentro tornanti che si nutrono di poesia, la chitarra di Chris si fa elettrica quanto basta a dare carattere notturno e languido respiro a un brano che ipnotizza ascolto dopo ascolto.  

Running Hot inizia con un violino che apre a mille fantasie. Leggiadro ed evocativo fino a spingersi sul confine di atmosfere che rimandano a primavere popolate da mandorli cinesi in fiore. I chiaroscuri del crepuscolo s’incendiano e le nevi quasi si sciolgono, ma il cuore resta dentro un buio sospeso: “I guai arrivano, ma non per restare / non so dire perché siamo corsi così Lontano / ma quando accarezzi quella strana chitarra / sento le cose per quello che sono / caldo come il vento…”.

ButtercupLe foglie tremano sugli alberi / le tue gambe sono distesse sulle mie ginocchia / è stata un’estate tempestosa…”. Tutto si muove verso sonorità più roots. Ritmo sincopato e una chitarra più sciolta. Vengono in mente le farmers-house del midwest, le grandi distese dell’Indiana e John Cugar Mellencamp che cerca di domare un cavallo.

Laments attacca di tamburi, scivolando verso la costa ovest, delicatamente acida e rock. La voce di Chris è distesa e profonda mentre guarda oltre il fiume. Un brano che si nutre di suggestioni bucoliche, quasi un’elegia alla natura: “C’è giovinezza dentro queste terre selvagge / c’è un desiderio rappresentato nei minimi dettagli / c’è il blu che annega nel viola / un’ombra di montagna / che copre come un velo…”. Ottimo spunto per un’outtake da inserire dentro un insperabile album reunion di CSN&Y.

Haunted Nights La voce di Jana Beltran si fa più presente, un passo dietro a Chris ma prende spessore in un duetto dalle tinte pastello. Le parole scivolano via leggere come piume a raccontare dentro un respiro country che trasporta verso nuove esperienze: “Ero ubriaco come non mai / dalle labbra sciolte e loquaci / dicevo un mondo di cose / che non potevo difendere / ho cercato di tornare indietro / ho cercato di schivare / ho cercato di dare un senso a tutto…”. L’atmosfera è più distesa ma il velo di malinconia fatica a cadere.

The Cranes ha un intro scuro e pulsante e una voce più nera. Ancora intorno alla natura e ad alcune creature che la popolano: “Le gru che volano basse / le gru stanno tornando a casa / stanno sfondando la nebbia della palude / guardale / sbandare e deviare / le tue mani / le tue mani / indovina e comprendi / il vortice e la vertigine / e il motivo per cui scivoliamo via…”. Il volo come metafora di libertà e liberazione, di fragilità, di cadute e rialzate. Un groove scandito dalla chitarra e la voce di Chris e dal suono limpido e misterioso delle water bowls di Ana Kravanja.

Last Train Home chiude un album di dolente bellezza. Il piano di Rok Zalokar crea melodie che si nutrono di spleen dolcissimi, la voce di Chris si fa sofferta e grave. Come un Tom Waits redivivo scampato all’ultima sbornia, sul punto di prendere una decisione: restare o ripartire: “Ti terrò vicino / memorizzerò questo battito / ti bacerò lentamente / ho già perso il mio treno / Ti riaccompagnerò / mi fermerò / due strade più in basso / aggrappandomi al tempo / prenderò l’ultimo treno per casa…”. Forse tra questi versi si gioca il destino artistico di un musicista come Chris Eckman, americano innamorato dell’Europa, con il cuore in due luoghi e amori andati perduti su entrambi i fronti. Racconta Chris in un’intervista rilasciata recentemente a Giancarlo De Chirico di Extra Music Magazine: “Sono sempre stato attratto dalla natura, in particolare dai paesaggi. Questo succedeva anche quando ero con i Walkabouts e gli scenari naturali che ho trovato in Slovenia assomigliano molto ai luoghi dove sono cresciuto, intendo certi scenari tipici del Nord Ovest degli Stati Uniti, Per questo sono rimasto a vivere qui e amo questa terra così tanto […] si, purtroppo non sono stato molto fortunato in amore. D’altra parte se si va a guardare la storia delle grandi canzoni della tradizione country americana, parlano tutte di cuori infranti, di amori finiti e di solitudine. La mia esperienza non è stata diversa. Diciamo che sono diventato uno specialista in fatto di fallimenti amorosi, ma sono in buona compagnia”.

Hanno suonato in The land We Knew The Best

Chris Eckman: vocal & acoustic guitar, electric rhythm guitar, feedback guitar, synth

Alastair McNeil: electric guitar, acoustic guitar, nylon acoustic guitar, percussion,  electric cello, hammond

Ziga Golob: contrabass

Blaz Celarec: drums, percussion

Jana Beltran: vocals, piano

Ana Kravanja: viola, water bowls, vocals

Urska Preis: harp, harp drones

Catherine Graindorge: violin & viola

Rok Zalokar: piano

Andraz Mazi: pedal steel

Bostjan Simon: baritone sax

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Category: Cultura

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