DARIO MUCI CON “Talassa” HA FATTO UN DISCO BELLISSIMO, CHE INCHIODA ALLE RADICI SALENTINE IRRESISTIBILMENTE
di Roberto Molle __________
Per raccontare di un disco bellissimo inizio dal riprendere quello scrissi qualche anno fa in occasione della recensione di un altro disco che veniva pubblicato in quel periodo: “Varie congiunture si erano date appuntamento all’inizio degli anni novanta del secolo scorso. Tra tutte, l’irruzione sulla scena musicale dei Sud Sound System con il loro stile mutuato dal raggamuffin e l’uso quasi provocatorio del dialetto lanciato come un grido punk contro certi estetismi. Fu come se questa terra (il Salento) si fosse riscoperta arcaica nello spirito ma moderna nell’estetica; in tanti si reinventarono portatori sani di valori sonori mai esplosi, e quella era l’occasione di insistere. Miriadi di gruppi e solisti invasero le estati salentine con riproposte di canzoni popolari, chi con ottimi risultati chi con pessimi, ma tutti convinti del fatto che quella musica scorreva loro nel sangue. Oggi non restano che le rovine. Tanti musicisti che suonavano la pizzica si sono riciclati, altri rimasti prigionieri di un ego convinto di stare vivendo la reincarnazione di qualcuno vissuto cinquant’anni prima, continuando in quella ricerca dei suoni perduti della quale resta solo il barile da grattare.” […] “Il folk revival salentino è morto. La prova più evidente la si è avuta con l’ultima edizione della “Notte della Taranta” (il riferimento è all’edizione 2020 n.d.r.), svuotata di contenuti e ridotta a passerella per musicisti opachi. Sono passati trent’anni da quel “Pizzicata”, film di Edoardo Winspeare che con il suo neorealismo surreale tratteggiava i contorni di una musica e di un sentire restati per troppo tempo cristallizzati. Non erano bastate le spiegazioni di uno come Ernesto De Martino che smascherò i teoremi mistici legati ad un aracnide, anzi, il tutto confluì dentro un nuovo paradigma: Il Salento è terra di pizzicati”.
Da quanto sopra traspare evidente una mia idiosincrasia nei confronti del genere, che non nascondo e, per la verità, non riesco quasi a giustificare. Fatto è che, pur guardando sempre con curiosità a quel che avviene in ambito folk/pop/revival di matrice salentina, resto nella maggior parte dei casi tiepido in occasione di nuove uscite discografiche.
Messo in chiaro questi presupposti, confesso che non soffro di pregiudizi particolari e quando qualcosa di veramente bello e interessante viene pubblicato sono pronto a riconoscerlo e a promuoverlo.
Per raccontare del disco bellissimo in apertura, inizio tornando indietro di qualche giorno a lunedì scorso, quando in attesa dell’ascolto di un mio programma preferito su Radiouno, apprendo che a causa di un’indisposizione del conduttore il programma non andrà in onda. Un po’ deluso mi sintonizzo su Radiotre e m’imbatto ne “L’idealista”, un programma basato su una lista di cinque ascolti legati tra loro da specifici autori, un genere o un progetto.
La puntata in questione era dedicata al BabelMusic XP (un festival che si tiene ogni anno a Marsiglia). Il conduttore Valerio Corzani a un certo punto annuncia un musicista salentino e il suo brano. Mentre fuori un vento sferzante e nuvole grigie allontanano la primavera da poco arrivata, in macchina esplode l’estate grazie a una voce ricca di pathos e un afflato sonoro scarno e dirompente.
Appartiene a Dario Muci la splendida voce e si esplica dentro otto canzoni racchiuse in uno scrigno chiamato “Talassa” (un album uscito verso la metà dell’anno scorso).
Con colpevole ritardo non vedo l’ora di approfondire l’ascolto del disco e cercare di mettere a fuoco un musicista che per le ragioni di cui sopra avevo relegato in quel limbo sonoro senza infamia ne lode. A stretto giro contatto Zero Nove Nove (la giovane etichetta pugliese che ha pubblicato “Talassa”) e ricevo il press-kit; pochi minuti ed entro in un mondo sospeso tra un passato tenuto vivo da memorie indelebili e l’idea di un futuro incerto che poggia su un presente fatto di speranze e ideali spesso calpestati, vittime sacrificali dalla marcia incessante di un progresso a ogni costo che spesso conduce alla barbarie.
Dario Muci è un cantore che mastica musica e poesia, capace di assorbire storie lungo un cammino disseminato di segni ancestrali e decodificarli. Dopo anni di ricerca e riproposizione in ambito tradizionale ne è rimasto così contaminato da quella materia da esserne lui stesso diventato essenza.
In “Talassa” ci sono storie e dolore, bellezza e profumi, sentimenti profondi e sguardi che marchiano come un ferro arroventato. Soprattutto, c’è lo sforzo e la capacità di riscatto di una lingua (il dialetto salentino) che liberandosi dall’ipertrofia di certi clichè si fa esperimento del linguaggio dentro tornanti sonori che attingono a universi paralleli multiformi.
A LI FURISI
(La frunte te darlampa de sutore / te ncoddha la camisa su llu piettu / si denga de na storia e de l’onore / te meriti la gloria e lu rispettu.)
È un’elegia che si nutre di un’intensità emotiva e spirituale che la timbrica vocale di Dario Muci dispensa scorrendo su binari sospesi su un groove scuro e ipnotico. Il lavoro contadino nei secoli pilastro della vita e del mondo. Dalla terra viene tutto e chi la lavora merita il più grande rispetto. Sullo sfondo discreta, la voce di Enza Pagliara accompagna dando ulteriore spessore a un brano che ha il merito di elevarsi a inno identitario.
SANT’ASILI
(Lo Stato fa la guerra ai cittadini / vagnuni, mamme e nonni pe la via, / uniti in piazza contru le oppressioni / ci cu nu cantu e ci cu na poesia.)
Con un testo che autodetermina un popolo e un territorio, che contesta modus operandi e soprusi subiti da poteri costituiti anche non tanto occulti, si presenta come un rap leggero dove a fiancheggiare Dario dribblando tra fraseggi raggae con gli alterni interventi delle loro voci graffianti, ci sono i rapper Rocky G. Vox (artista francavillese) e il più noto Treble (Sud Sound System).
OMMUAMMARE
(Ma quantu ancora n’ommu nc’ha subìre / e sta libertà quantu l’ha pagare, / Capitanu prestu scìamulu a tirare / l’ommu a mmare ni ssi lassa / l’ommu a mmare.)
È un brano capace di evocare le mille tragedie avvenute nel Mediterraneo. La voce di Dario si fa sciamanica in un intro soffuso e misterioso, Il Battiato più dolente s’incarna nelle sue parole. La notte è buia e c’è una barca che ha fatto naufragio, corpi che galleggiano sfiniti nel mare. Un canto si eleva sul finire, intenso e onirico, un’altra lingua, un altro cuore, ma lo stesso identico sentire, quello di Nabil Salameh (Radiodervish).
MOI CA NC’È LU SULE
(Te frate a frate moi ca nc’è lu sule / fatte nu pienu all’anima te luce / e ffanni e ffanni e fatte luce…)
È una soffice ballata costruita su una manciata di parole immerse nella poesia di un suono adamantino. Un riprendere fiato seduti in un campo sotto il sole. A ritemprarsi liberando scorie, perdendo pezzi di sé, raccogliendone altri prima di reimmergersi nella quotidiana follia dettata da social media e informazione compulsiva.
MOHAMMED
(Sso rriati li marrucchini / cu ndi cogghinu li pummitori / e sso rriati li tunisini / cu ndi cogghinu li miluni…)
Questa bellissima allitterazione riapre la danza del dolore. Una canzone che si fa grido di indignazione contro noi stessi, per l’indifferenza che a volte ci appartiene. Affannati nella difesa dei diritti civili, spesso siamo coinvolti in un gioco che sa farsi perverso. Ci riempiamo la bocca con parole come solidarietà e accoglienza e non ci curiamo di chi poco distante da noi non ha un tetto sotto il quale dormire, non ha un lavoro che non sia di sfruttamento e spesso muore in condizioni inumane. “Mohammed” ha la stessa bellezza e drammatica intensità di altre canzoni che di volta in volta hanno avuto un nome straniero per titolo (mi vengono in mente “Ahmed l’ambulante” dei Modena City Ramblers e “Abdu” del cantastorie Antonio Cerfeda). Special guest in questo brano Raphael Gualazzi al pianoforte.
TALASSA
(Anoò cherìa apànu pu pane pukanè / me nghizi sara den ime olo, olo, dikòssu…)
Cantata in griko, “Talassa” è una canzone di ringraziamento; un atto d’amore che si esplica anche attraverso tutto l’album. È lo stesso Dario Muci che lo racconta nelle note che accompagnano il cd: “Talassa è l’ennesimo atto d’amore per la mia terra. Qualcosa che mi viene dall’anima e che non riesco più a trattenere. Talassa è il mare che abbiamo dentro, la nostra interiorità, così potente e profonda, calma, misterosa, ma anche agitata e ansiosa. È un luogo di straordinaria bellezza con molte parti ancora inesplorate e sconosciute, con i suoi riflessi di luce… l’amore, la speranza, la gioia.”
SCIURNATIERI
(De mmane a ssira vannu i sciurnatieri / se ntisanu prima besse lu sole, / e vannu a faticare tutt l’ore / e ssi masonanu allu scurire.)
Un blues lontanissimo dal Delta del Mississipi ma con la stessa amara deriva. Un blues atipico che cristallizza ataviche consuetudini nel reclutamento dei lavoratori. I sciurnatieri erano (e sono ancora) persone che lavorano nei campi senza una prospettiva a lungo termine. La somma da ricevere viene proposta dal “padrone” o chi per lui “(il caporale”) spesso con atteggiamento ricattatorio: “Se il lavoro non lo vuoi tu, ne trovo altri cento”. Questo avveniva e in alcune realtà avviene ancora, ogni giorno quando è ancora buio, al mercato “delle braccia” in un’asta all’incontrario, con un rilancio al ribasso.
ULIVI
(Anche adesso sono belli gli ulivi / di una bellezza divina, mai vista prima. / Ed come se ogni volta si dovesse morire / per diventare tremendamente belli).
A chiudere un album ricco di suggestioni, un brano omaggio agli ulivi, simboli eterni di un luogo che ha ancora l’orrore negli occhi per come li ha visti morire. La bellezza degli ulivi non morirà mai in realtà… eternamente custoditi nel respiro del tempo faranno ritorno attraverso la terra, la memoria dei poeti e quel “sibilo lungo” che Antonio Verri preconizzava in tempi non sospetti. E ancora, attraverso l’arte, la musica, i ricordi che restano nel cuore.
Dario Muci con “Talassa” ha aperto una via per mettere in comunicazione generi musicali lontanissimi, e di più, i loro estimatori tra loro. “Talassa” è un disco di tale splendore che inchioda (volenti o nolenti) alle proprie origini: per quanti universi musicali ognuno voglia esplorare, per quante contaminazioni possa apprezzare e per quanto lontano voglia andare, in qualche modo è un po’ fatto di quella sostanza che è il mare: Talassa è il mare.
Hanno realizzato “Talassa”: Dario Muci (voce, chitarra, chitarrino); Rapahael Gualazzi (pianoforte); Enza Pagliara (voce); Nabil Salameh (voce), Antonio “Treble” Petrachi (voce, chitarra elettrica, tastiera); Rocky G. Vox (voce); Roberto Chiga (percussioni); Giovanni Chirico (sax contralto e baritono); Vito De Lorenzi (batteria elettro/acustica e percussioni); Claudia De Ventura (voce); Giorgio Distante (Tuba, eufonio, tromba); Adolfo la Volpe (oud); Gianluca Longo (mandola, mandolino); Alessandro Lorusso (programmaz. Drum, synth bass); Matteo resta (basso); Marco Rollo (pianoforte); Marco Schiavone (violoncello); Marco Tuma (ciaramella irachena, flauto traverso, clarinetto).
Category: Cultura