LECCE MILIONARIA. FENOMENOLOGIA DI PANTALEO ORONZO CORVINO

| 13 Febbraio 2025 | 0 Comments

di Giuseppe Puppo  ________  “E’ un romanzo…Corvino è come voi, un romanzo. Un romanzo nello scoprire i talenti che ha scoperto e voluto. Sono poche le volte che ha sbagliato a sceglierli, a valorizzarli, ed ha sempre fatto plusvalenze”, ha detto di lui Valeri Bojinov, uno dei suoi tanti miracolati, recentemente a “Romanzo Talks” di Romanzo Calcistico sul loro canale YouTube.

A proposito, è rimasto memorabile il viaggio che egli fece all’isola di Malta dalla madre dell’allora ragazzo minorenne per convincerla a farlo venire a Lecce: non sappiamo se esso fu fatto via mare con un gommone, o via aerea, con la Ryanair, ma di sicuro fu un capolavoro di strategia imprenditoriale.

Già, prima o poi, qualcuno dei nostri narratori salentini, lo scriverà questo romanzo…No, Raffaele Polo? No, Francesco Buja?

O perché no? Magari un film…Le ispira qualcosa, Gino Brotto? Le ispira, Pascal Pezzuto?

E casa editrice, Stefano Donno, e società di produzione, Maria Antonietta Vacca, ne abbiamo?

Sì, è una persona da romanzo, da film, Pantaleo Oronzo Corvino, 75 anni, di Vernole, a unanime riconoscimento il migliore, nella sua categoria.

Quello che ha fatto Lecce – intesa come Unione Sportiva – milionaria, grazie ad acquisti fatti per due soldi, e a cessioni degli stessi fatte poi a decine di milioni. C’è pure un neologismo, a celebrare tutto questo: si chiamano ormai ‘corvinate’.

Soprattutto, è una persona vera.

Braccia rubate all’Aeronautica militare, in cui dovette arruolarsi per far fronte ad una difficile situazione famigliare; abbinata però sempre alla passione calcistica, da direttore sportivo.

Si vanta e si compiace giustamente di aver fatto, unico fra tutti i suoi colleghi, tutta la gavetta, dai campi spelacchiati della terza categoria, alle serie C.

Arrivato alla soglia dei 40 anni, per Pantaleo Oronzo Corvino arrivò il momento di decidere cosa avrebbe fatto da grande.

Lasciate le stellette, decise che avrebbe fatto il direttore sportivo, lo scopritore di talenti.

Dal 1998, la consacrazione con quella Primavera, non di Praga, Primavera intesa come squadra giovanile giallorossa, di Lecce, che fu il suo primo grande capolavoro.

Il resto, da Chevanton e Vucinic, a Hjulmand e Dorgu, è già storia.

Pure a Kri…Kri…Come Krstovic si dice? Uno che non sappiamo pronunciare…

“Nah ha riautu iddrhu, mo se inde li megghiu eh eh eh catta nautru ca nu sapimu pronunciare e la società se minte li sordi an pauta”.

Non è così che funziona, ha ragione lui: “creare risorse tecniche che poi possono diventare anche risorse economiche per tenere in salute il club, questo deve essere visto…deve essere da studiare”.

Invece che studiarlo, i Leccesi, eterni bastian contrari, che portano nel dna individualismo, anarchismo e sempre un po’ di invidia e gelosia per gli altri, i Leccesi che fecero perdere la pazienza pure al genio di Carmelo Bene, contestandolo, lo hanno contestato, han fatto perdere la pazienza pure a Pantaleo Oronzo Corvino…Ogni santa domenica alle prese con i tanti “quistu nun bale” che di volta in volta indirizzano a qualcuno dei suoi calciatori.

Santa pazienza, ce ne vuole, neh?

Dicono di lui, che quando cominci a perdere la pazienza, cominci a parlare in dialetto. Nei suoi due nomi di battesimo, il destino, dell’uso del dialetto come straordinaria capacità espressiva, con tempi e modi che sarebbero piaciuti a Pier Paolo Pasolini.

“Il direttore è simpatico, ma quando si arrabbia..” – ha rivelato sempre Bojinov – “io ricordo delle scene sia al “Via del Mare” ma anche al campo di allenamento quando veniva a parlare alla primavera o al settore giovanile, ma anche alla prima squadra. Quando si arrabbia ribalta tutto…Sì, lo capivo, lui ti parlava in dialetto. Con lui o lo capisci, o lo capisci. Non c’è altra via..”

Memorabili, poi, in italiano, si vede che in quel momento era calmo, le sue uscite propriamente tecniche per cui è solito ricorrere ad ardite, quanto efficaci metafore. Come quella su come si fa una squadra: “Nella vita puoi anche sbagliare la moglie, ma non puoi sbagliare il portiere e il centravanti”.

Detto da uno che forse qualche portiere o qualche attaccante l’avrà pure sbagliato, ma di sicuro non ha sbagliato la moglie, la signora Cesarina, con la quale ha appena festeggiato i cinquant’anni di matrimonio.

O l’ultima, fresca fresca, vagamente da scena porno, genere gang bang:

“Con acquisti e cessioni vale legge che vai cento volte con cento donne, novantanove va tutto bene e ti dicono ‘bravo’, alla centesima forse arrivi stanco e ti dicono che non sei bravo, e così va nel calcio, va bene?”.

No, non va bene. Questo calcio di adesso, ridotto a spettacolo dalle televisioni e a potere dalle speculazioni finanziarie, non è più tanto bello così, con gli interessi dei grandi club, a discapito di tutti gli altri, costretti a fare le nozze con i fichi secchi.

Non è più tanto bello perché sta perdendo, se non ha già del tutto perso, il senso di gioco e la dimensione di felicità

Diceva già parecchio tempo fa, figurarsi adesso, un Maestro di calcio e di vita quale Zdenek Zeman: “A mio parere, la grande popolarità che ha il calcio nel mondo non è dovuta alle farmacie o agli uffici finanziari, bensì al fatto che in ogni piazza in ogni angolo del mondo c’è un bambino che gioca e si diverte con un pallone tra i piedi. Ma il calcio, oggi, è sempre più un’industria e sempre meno un gioco”.

Pantaleo Corvino ne ha visti tanti di bambini che giocavano con un pallone tra i piedi e qualcuno lo ha trasformato in un sogno che si realizza. E’ l’ultimo romantico, in un mondo di mercenari e di speculatori, che ancora col calcio insegue la felicità.

Category: Costume e società, Cultura, Sport

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