VEGLIE: RICORDI DELLE SCOPERTE ARCHEOLOGICHE
di Fabio Coppola ______
In questi giorni in via Italia Nuova a Veglie un esercizio commerciale si trasferisce da un lato all’altro della strada. Proprio a fianco al civico 10.
Inevitabilmente tornano in mente gli scritti di Antonio Catamo: “E quando fu alberata la via Italia Nuova, vicino alla casa di Iolanda Bruno, incastrate sotto le fondamenta di quella abitazione, ne furon rinvenute altre ed altre, ancor più in là, dove – mi si disse – furon rinvenute anche monete che non so quale fine abbiano fatto. Invano feci spargere la voce che se me le avessero fatte almeno fotografare li avrei pagati. E, forse, fu peggio perché gli sprovveduti possessori di certo pensarono: – Se costui per solo vederle vuol pagare, chi sa quale mai valore potranno avere! Così non ne seppi mai nulla né riuscii a scoprire se si trattasse di monete messapiche o romane, o d’altro genere”.
Iolanda Bruno viveva al civico 10, e dove oggi si nota il leccio disseccato recentemente, sarebbe stata rinvenuta una delle tombe antiche.
E ancora Catamo. “Me ne parlava mons. Natalizio Mele, buonanima, asserendo che quando era stato scavato il frantoio di suo cognato, Michele Epifani, attualmente di proprietà di Pio Mazzarello, ne erano state scoperte diverse la cui suppellettile, caratteristica dell’industria di Rudiae, era andata ad adornar la casa di qualche signorotto leccese che se ne intendeva ed il cui nome monsignore non ricordava più”.
“Il prof. Realino Mazzotta mi confermava che quando lui aveva 10-11 anni, nella stessa zona ne furon ritrovate altre e la suppellettile uguale all’altra (che ora non si sa dove si trovi) fu portata dai maestri a scuola per essere mostrata agli alunni, ai quali fu fatta una lezione sulle nostre antiche origini. Altrettanto era accaduto quando erano state scavate le fosse per impiantare gli alberi del Parco delle Rimembranze.”
“E altre ancora – mi disse Nino Petito – esistevano, ormai vuote, nella zona dove sono stati costruiti i “garagi” dei signori Semeraro..
Nel centro storico di Veglie, “Demolendo la vecchia casa di Concepita Fiore, dietro Santo Stefano, furono trovate delle monete antiche. Una me la diede Nicolino De Luca il quale, però, l’aveva rovinata praticandovi un buco per farsene un ciondolo. La mostrai a Mario Bernardini che mi disse essere dell’XI secolo avanti Cristo (dell’epoca, cioè, della conquista romana). Si tratta di una moneta argentea coniata dagli Herenni, consoli nummari dell’epoca, come chiaramente indicato sulla moneta stessa. Anche in questa circostanza non vollero mostrarmi le altre poiché, incautamente, dissi che bisognava consegnarle al Museo Provinciale. E, come al solito, fu peggio.”
“Altre ancora ne furon ritrovate alla via Novoli nell’escavar le fondazioni della casa di Franco Patera, da parte del maestro Ermete Morleo, e la cui suppellettile, consistente in un vaso apulo a figure rosse con scena funeraria, una piccola oinochoe a vernice nera, bacellata, un piccolo sckiphos pure a vernice nera, un piatto rustico e uno strigile in bronzo, dopo averla fatta esporre nelle vetrine del Bar dei fratelli Guarini, personalmente io feci acquisire al Museo Provinciale di Lecce. Altre ne erano rimaste indissepolte, perché servite da appoggio alle fondamenta, in quel luogo oltremodo profonde e difficili.”
Altre testimonianze indicano sepolture antiche nei pressi della Porta Nuova.
Sicuramente erano altri tempi, in cui non c’era sufficiente attenzione e sensibilità per i beni archeologici. Forse con tutti i reperti archeologici dispersi si sarebbe potuto costituire a Veglie un piccolo museo comunale, come avvenuto in altri comuni del Salento.
E’ noto che a Veglie resiste una piccola parte di una necropoli ancora a vista. Correttamente valorizzata sarebbe un luogo di interesse per quella parte della periferia vegliese cresciuta in modo disordinato.
Category: Cultura
In questo pezzo Fabio Coppola, che affida a leccecronaca.it – e noi gli siamo grati – i suoi preziosi e assai apprezzati dai nostri lettori contributi di arte, storia e natura del territorio, cita ampiamente Antonio Catamo.
Siccome penso che a ventotto anni dalla sua morte, avvenuta nel 1996, all’età di 76 anni, di Antonio Catamo si stia perdendo memoria, mi permetto di aggiungere questa chiosa per ricordarlo.
Io ho avuto la fortuna di conoscerlo, quando, negli anni Settanta, frequentavo la redazione di Voce del Sud insieme a tanti allora ragazzi, aspiranti giornalisti, e devo dire, come scoprimmo in seguito, pure politici, formatisi alla antica, antica nel senso di nobile, scuola di Ernesto Alvino.
Nella redazione di Voce del Sud, dove Antonio Catamo veniva spesso, e, per quanto già uomo maturo, era egli il più giovane di tutti per spirito di intraprendenza ed entusiasmo. Forse proprio per questo aveva un rapporto privilegiato con noi ragazzi: ad ogni occasione ci dava consigli, suggerimenti, proposte o, semplicemente, una parola di incoraggiamento, fosse anche una battuta umoristica.
Sodale, di impegno ideologico e visione del mondo di Ernesto Alvino, Antonio Catamo scriveva di cultura, ma soprattutto, umilmente, di agricoltura, l’elemento unificante della cultura di tutti i popoli, ma pure elemento fondamentale per il nostro Salento, con competenza profonda e grande chiarezza espositiva.
In questi ultimi anni anni, da quando sono tornato a Lecce per iniziare l’avventura giornalistica di leccecronaca.it tante volte ho pensato a lui, a cosa avrebbe scritto se fosse stato ancora in vita che ne so? sull’uso della chimica in agricoltura, sulla Xyella, sulle devastazioni ambientali e ogni volta ho concluso che nessuno come lui avrebbe saputo spiegare e affrontare questi argomenti diventati cruciali per tutti noi, qui più che altrove, in questo angolo di mondo che egli guardava con passione dalla sua natia Veglie.