LA VOCE DEL SUD OGGI PIU’ DEGLI ALTRI ANNI SI CHIEDE: “Dov’è la vittoria?”
di Giuseppe Puppo ______
Si chiamava come me: io porto il suo nome!
Mio nonno paterno il 24 maggio 1915 fu arruolato e subito partì per il fronte, lasciando il suo piccolo paese al Sud del Sud dei santi, dove viveva, povero, ma bello, curando con la forza dei vent’anni le vigne e i giardini e coltivando la terra.
Chiaromonte se ne stava indifferente all’incuria del tempo e degli uomini su una collina, disteso come un vecchio addormentato, ammalato di noia e di abbandono.
Negli anni Cinquanta ci andò a vivere un professore universitario americano, Edward Banfield, che vi dimorò alcuni mesi e vi elaborò la teoria contenuta nel suo saggio per cui in seguito divenne famoso, “Il familismo amorale”.
I giovani di oggi che hanno compiuto la scelta coraggiosa di rimanervi hanno intrapreso adesso una meritoria opera di modernizzazione, grazie a internet, al turismo, all’enogastronomia, fra l’altro cominciando un ambizioso programma di riqualificazione, per attrarre nuovi residenti, e così facendo hanno dato a tutti una speranza per il futuro.
Finita la guerra, mio nonno paterno fu uno dei primi a tornare in paese. Per meglio dire, fu uno dei pochi, che vi fece ritorno, dei tanti che furono strappati alle loro famiglie, alla loro gioventù, alla loro stessa esistenza.
Nella villa comunale, sulla sommità del borgo, dall’alto del colle che domina un groviglio di vallate, di fiumi e di monti, in un panorama mozzafiato, accanto alla statua celebrativa, c’è una lapide che li ricorda tutti quanti, e dovettero costruirla di grandi dimensioni, tale da poter contenere tutte le croci.
Monumenti simili stanno in tutti i paesi del nostro Salento (nella foto, quello di Porto Cesareo), in tutte le città del Sud, che più che altre zone d’Italia pagò il costo della vittoria.
Dov’è la Vittoria?
Io, che affondo le mie radici nel secolo scorso, che sono figlio del Novecento, ho avuto la fortuna di trovare le risposte da ragazzino nei racconti che mio nonno paterno mi faceva quando d’estate, anche per sfuggire al caldo torrido di Lecce, andavo a trovarlo con i miei genitori.
Le risposte stanno nei suoi occhi lucidi quando nominava i coetanei mandati a morire come carne da macello; sono le espressioni di incredulità quando si chiedeva egli stesso come avesse fatto a sopravvivere per quasi quattro anni in centinaia di assalti senza senso ai colpi di mitraglia; sono la puzza, la fame, la sete, il freddo, le malattie delle trincee; i gas, i lanciafiamme, i cannoni; i campi di prigionia crudeli di deportazioni feroci, dove la sopravvivenza era in un tozzo di pane, in un frammento di patata, in un cucchiaio di estratto di radici conteso e sottratto agli altri; i mutilati, gli invalidi, gli impazziti di terrore; i fucilati dal fuoco amico, in quanto ritenuti disertori, o semplicemente disobbedienti agli ordini.
Mio nonno materno si chiamava Giovanni Grandinetti. Partì da Chiaromonte due anni e mezzo dopo Giuseppe Puppo, in seguito alla disfatta di Caporetto. Era uno dei ‘ragazzi del ‘99’, che a 18 anni fu spedito all’improvviso, in fretta e furia, a combattere una guerra che non capiva, per una Patria che non conosceva, contro un nemico che nemmeno sapeva chi fosse, in nome di un’Italia di cui là avevano conosciuto solo le truppe di occupazione piemontesi, le tasse, la leva obbligatoria, la giustizia sempre al servizio dei potenti.
Lui, non amava parlarne, almeno a me. Quando gli chiedevo qualcosa al riguardo, però, piangeva. Piangeva sempre come un bambino impaurito, poi ogni volta apriva un cassetto chiuso a chiave di una vecchia scrivania e tirava fuori la nomina a Cavaliere di Vittorio Veneto, la medaglia, l’assegno di due lire che gli avevano dato, e piangeva ancora più forte, senza pudore.
Crescendo, studiando, maturando, in seguito ho capito come la vittoria stesse negli enormi profitti degli Agnelli, degli Ansaldo e degli altri imprenditori e ricchi a vario titolo.
Ho letto delle foglie e dei fratelli di Giuseppe Ungaretti, ho fatto il viaggio al termine della notte di Louis Ferdinand Celine, ho imparato da Ezra Pound che non ci sono guerre giuste.
Oggi siamo di nuovo in un’altra guerra mondiale, solo che si sta facendo a tappe e a pezzi, in Ucraina e in Medio Oriente, dove ha già preso i connotati, rispettivamente, di una carneficina crudele e di una vera e propria apocalisse.
Per dire di quanto quella prima mondiale ci condizioni ancora, basterà ricordare che l’Ucraina indipendente fu creata sulla carta delle mappe geografiche nel 1917, quale conseguenza punitiva della pace richiesta e pesantemente pagata dalla Russia.
Le vicende mediorientali si trascinano irrisolte da decenni.
Ad aggravare la situazione sull’orlo del baratro stanno poi considerazioni di geopolitica, da cui appare evidente che al tramonto dell’Occidente si sta sostituendo l’alba dei Paesi Emergenti, India, Brasile, Turchia e quant’altri, non allineati, ma sotto l’egida della Cina.
Una transizione che verosimilmente provocherà tensioni e scontri.
In Italia, il governo precedente ci ha trascinato dentro, questa nuova Guerra Mondiale permanente; il nuovo, che pur si dice sovranista, non sembra aver nessuna intenzione di farcene uscire, e ci tiene ben stretti agli alleati americani della Nato.
Ne stanno pagando i costi, per ora fortunatamente solo economici, le famiglie italiane, per dire bene cioè la stragrande maggioranza di quelle del popolo, dal momento che quelle dei ricchi non hanno problemi di bollette, di aumenti della benzina, di costi del pane e della pasta.
Anche questa guerra, come tutte le altre, comunque vada a finire, ha già i vincitori: i mercanti di armi, gli speculatori dell’alta finanza internazionale, i politici loro camerieri che li servono alla tavola imbandita.
“La guerra è sempre una sconfitta, sempre! Ed è ignobile, perché è il trionfo della menzogna, della falsità: si cerca il massimo interesse per sé e il massimo danno per l’avversario, calpestando vite umane, ambiente, infrastrutture, tutto; e tutto mascherato di menzogne. E soffrono gli innocenti“, ha detto Papa Francesco due giorni fa.
Io constato amaramente il fallimento della politica, tutta quanta, quella delle opposizioni compresa a pieno titolo, ivi compresi pure movimenti, partiti e partitini che potevano essere alternativi e che invece, per miopia, per personalismi, per pressappochismo si sono presentati divisi alle recenti elezioni, col risultato di non riuscire a far eleggere in Parlamento nemmeno una che fosse una voce critica.
Ancora più dolorosamente, denuncio il fallimento della cultura, di fronte a celebrazioni come quella odierna, fatte sempre come sempre di retorica e di menzogna.
In accordo su tutto, pure continuo a sperare che ‘la bellezza salverà il mondo’
4 novembre 2024 – Giorno dell’Unità Nazionale e Giornata delle Forze Armate
Il richiamo all’importanza della memoria e dei valori di libertà, democrazia, fratellanza ed unità azionale è stato il filo conduttore delle celebrazioni svoltesi oggi, lunedì 4 novembre, in occasione del Giorno dell’Unità Nazionale e Giornata delle Forze Armate, con la partecipazione delle Autorità religiose, civili e militari del territorio.
La cerimonia ha avuto inizio alle ore 9.30, presso il Sacrario dei Caduti del Cimitero comunale di Lecce, con la deposizione della corona e la celebrazione della Santa Messa officiata dall’Arcivescovo di Lecce, Monsignor Michele Seccia.
La manifestazione è proseguita alle ore 10.45, in Piazza Italia con schieramento, picchetto d’onore, alzabandiera, deposizione di una Corona d’Alloro presso il monumento dei caduti, la lettura del Bollettino della Vittoria e gli interventi commemorativi del Prefetto di Lecce, Dr. Natalino Domenico Manno, del Comandante della Scuola di Cavalleria, Col. Matteo Rizzitelli, del Presidente del Consiglio Regionale avv. Loredana Capone e del Sindaco di Lecce sen. Adriana Poli Bortone e del Col. Emanuele Lasalandra, in rappresentanza di Assoarma.
In particolare il Prefetto ha sottolineato l’importanza di custodire gli alti valori della libertà, democrazia, solidarietà e coesione sociale, principi fondanti della nostra Costituzione, operando in prima persona, con il massimo impegno, per il perseguimento del bene comune.
Il Presidente della Consulta Provinciale degli studenti ed il Sindaco dei Ragazzi di Lecce hanno evidenziato la necessità di fare memoria delle tristi esperienze del passato per proiettare le nuove generazioni verso un futuro di pace e di concordia tra i popoli.
Importante è stato il contributo fornito dagli studenti del Conservatorio musicale “Tito Schipa” di Lecce, diretti dal Maestro Francesco Muolo, che hanno accompagnato i momenti più significativi della cerimonia eseguendo alcuni brani del repertorio tradizionale, come l’Inno di Mameli, il Piave e la Marcia degli Eroi.
A conclusione della manifestazione il Presidente del CESRAM, Professoressa Giuliana Iurlano ha illustrato il programma della 7^ edizione del Festival della Public History che si terrà entro la fine del mese di novembre nella sede del Convitto Palmieri.
Lecce, 4 novembre 2024
Il Capo di Gabinetto
M.Sergi
Agli Organi di Stampa