IL MIO CODICE ROSSO AL DIPARTIMENTO EMERGENZA ACCETTAZIONE DELL’OSPEDALE VITO FAZZI DI LECCE

| 22 Ottobre 2024 | 1 Comment

di Giuseppe Puppo _______

“Certo che è strano… Sono anni che non vedo qualcuna che mi faccia battere forte il cuore…” – ma né l’infermiere del 118 seduto davanti a me che aspettava l’esito degli esami fatti subito con uno strano aggeggio, né la collega troppo impegnata a mettermi arnesi vari alle dita e al petto, hanno apprezzato il mio umorismo. Chiamati da me poco prima, dopo qualche minuto che mi sentivo dentro sordi boati, erano arrivati e avevano iniziato le consultazioni a distanza.

Io, pensavo di essermi stancato in mattinata a fare le grandi pulizie di primavera che avevo deciso di intraprendere giusto ieri mattina fra una stanza di casa e l’altra prima di mezzogiorno, e di mettermi al pc per il giornale. Mi sarebbe passato da sé, pensavo e continuavo a scherzare: “Ehh, ma dai, non è possibile che mi batta forte il cuore, non c’è nessuna più… Moi stamatina tuttu te paru?!?”.

Ma in quel momento sono arrivati gli esiti e l’infermiere, ancora più serio di prima, mi ha detto che avrei dovuto seguirli in ospedale “per un controllo”. “Per un controllo”, ha detto così, ho capito dopo per non allarmarmi ulteriormente.

“Ma che rottura di coglioni, ma quale controllo, non so che devo fare prima e invece devo andare a controllarmi?!?” – pensavo, ma convinto da quella esortazione che non ammetteva repliche.

Nel frattempo il mio cuore aumentava di ritmo e di intensità, mi era passata la voglia di scherzare e cominciavo ad allarmarmi di mio.

L’agitazione è aumentata come i battiti quando mi hanno fatto stendere nella lettiga dell’ambulanza mentre nel frattempo ne era arrivata un’altra, da cui è scesa un’altra infermiera, o dottoressa, non so dire, che ha sentenziato “CODICE TRE” e l’ha comunicato in centrale.

“Mo che cazzo è sto codice tre?”, mi chiedevo io in silenzio, quando però poi il mio cuore ha preso proprio a sballare e ormai rombava più forte del motore dell’ambulanza, partita a sirene spiegate.

Ho realizzato che non stavo tanto bene, evidentemente e pure che forse stavo per morire.

O tanatos uden epì emas“, cercavo di consolarmi con Epicuro (sono rimasto sempre lucido, per quanto terrorizzato), e mi ripetevo poi le parole che Ezra Pound fa dire a Filippo Tommaso Marinetti nel Cantos 72: “Bè, sono morto, ma non voglio andare in Paradiso, voglio combattere ancora”.

Arrivo al Pronto Soccorso da film, ma dico proprio da film di quelli buoni, da serie americana. Porte che si aprivano spalancate al volo, due dottoresse mi aspettavano pronte già al da farsi, fra punture, cavi dei monitor e flebo pendenti. Una mi ha visto terrorizzato e mi ha fatto una carezza.

Un gesto semplice, di poco conto, ma di valore inestimabile.

Due infermiere ai loro ordini, solerti a eseguire i comandi, anche di quello che doveva essere un super primario boss, che, appositamente convocato al bisogno, mi ha visitato, mi ha spiegato quello che stavano per farmi e a modo suo mi ha tranquillizzato.

Sono rimasto in Pronto Soccorso oltre otto ore, fin quasi a notte, sdraiato in barella, collegato ai monitor e un groviglio di flebo davanti e di dietro.

Bisognava aspettare che le cure facessero effetto, mi hanno spiegato, e intanto io, visto che non ero morto, mi ero ripigliato un po’.

Ho assistito al cambio turno, è arrivato un altro medico, giovane, pimpante ed efficientissimo, e altre due infermiere, a prendere in mano le redini della sala CODICI ROSSI del Dipartimento Emergenza Accettazione, vale a dire il Pronto Soccorso dell’ospedale Vito Fazzi di Lecce.

Ogni tanto, quando potevano, fra un caso e l’altro che continuavano ad arrivare, venivano pure a scambiare qualche parola con me per chiedermi come stessi.

Non si sono fermati un attimo in otto ore, dico nemmeno un attimo.

“Hai visto, hai visto? Scusa, io ai pazienti do del tu, ci facciamo un mazzo così e poi parlano male di noi” – mi ha detto il medico e, poi, più tardi, quando ha appreso che ero giornalista “Scrivilo, scrivilo, che noi ci facciamo un mazzo così e poi parlano male di noi, scrivilo quello che hai visto”.

OK doc, lo scrivo.

Otto ore senza un attimo di respiro, sempre vigili, pronti, efficienti, medici e infermieri all’unisono, con una professionalità non disgiunta dall’umanità, ad affrontare le emergenze che continuavano ad arrivare, a somministrare cure, ma pure a cambiare pannolone e catetere ad una povera signora che non so che avesse, ma era triste e sola, l’unica che non poteva chiamare qualcuno e continuava a lamentarsi, cercando di non fare troppo rumore.

Il detenuto scortato dagli agenti della Polizia Penitenziaria.

Due agenti della Polizia Di Stato a fare su e giù.

Un ferito arrivato in seguito per un incidente stradale, o era una donna, non so dire, perché era tutto fasciato, mascherato, immobilizzato, mandato poi a fare la Tac.

Una ragazza giovanissima, che non so che avesse, ma sembrava tutta strana, boh.

E altri ancora in un via vai senza soluzione di continuità.

C’è stato pure lo spazio per una battuta sdrammatizzante, battutaaa!!! Ha vinto facile con dedica implicita a Luca Gotti un infermiere che entrato in sala e guardatosi intorno sconsolato ha sentenziato: “Osce stamu cumbenati pesciu tellu Lecce ieri”.

Alla fine, dopo otto ore e passa, che era già notte, è arrivato un altro medico a dirmi che il ritmo si era normalizzato e che quindi mi dimettevano, dandomi subito dopo tutta una serie di spiegazioni dettagliate e di prescrizioni che non ho capito, ma che importa? Ero troppo contento… Ho capito solo che era passata, che me ne potevo tornare a casa sulle mie gambe.

Adesso sono qui che ripenso a due cose che non ho potuto dire ieri alle infermiere per mancanza di spazio e tempo, e a due cose che vorrei dire a tutti, anche perché non voglio pensare più al mio cuore, non voglio fissarmi, spero solo che non mi venga più niente e basta.

All’infermiera uno: ho appena controllato, avevo ragione io, riavvolgere non si può dire, basta dire avvolgere; all’infermiera due: il libro citato è ‘Addio alle armi’, il film ad esso collegato ‘Amare per sempre’.

Poi, ecco… Se vi trovate vicino una persona che soffre e si lamenta, non fate finta di non sentire, non andate via, fate per lei tutto quello che potete fare al momento. E se vedete un viso che è terrorizzato, fategli una carezza.

Category: Cronaca

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  1. Urp Asl Lecce - tramite mail ha detto:

    grazie per questo articolo

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