POLVERE DI STELLE / IL MITO DI MARLENE DIETRICH, DONNA FATALE, INTELLIGENTE E INDIPENDENTE
di Elena Vada ______
Una donna incredibile…
Libera ed anticonformista, votata alla trasgressione, disinibita, angelo e demone.
È il simbolo di una femminilità misteriosa, carnale, ma allo stesso tempo ironica e sfrontata. Diva irraggiungibile, egoista, egocentrica, spesso isterica.
Siamo alla fine degli anni venti, e l’immagine di Lola Lola ovvero, Marlene Dietrich, conquista gli spettatori di tutto il mondo.
Il suo aspetto è conturbante e arrogante al tempo stesso.
Ma, come altre dive di cui parlerò, Marlene, inizialmente, non era così “seducente e sinuosa”.
Era piuttosto grassoccia (per i canoni del cinema americano), volgare e per nulla “fatale”, come poi diventò, grazie ad una dieta ferrea e quattro molari di meno, che le scavarono il viso ed esaltarono gli zigomi.
Marie Magdalene Dietrich nacque a Schöneberg, Berlino, il 27 dicembre 1901, da Louis Erich Otto Dietrich (ufficiale di polizia) e da Elisabeth Josephine Felsing (figlia di un gioielliere). Amava togliersi qualche anno dichiarando, falsamente, di essere nata nel 1904.
Ebbe una splendida infanzia. Il nome Marlene se lo scelse da sola, a 12 anni, unendo due parti dei suoi nomi che definiva, lunghi e banali.
Il soprannome che le diedero le compagne, da adolescente, fu: Bedroom-eyes (occhi da camera da letto) per il suo sguardo lascivo, sensuale, seducente, con le palpebre semi-chiuse. In italia diremmo “occhi di triglia”. Conturbò un insegnante, che fu licenziato.
La famiglia facoltosa, le fece studiare francese, inglese, violino e pianoforte. Si diplomò come cantante, all’ Accademia di Berlino. Aveva una voce particolare, ammaliante.
Esordì presto sulle scene, affrontando una dura gavetta. Fece tante piccole parti in film tedeschi.
A Berlino, Marlene, frequentò la comunità LGBTQIA+, sperimentando l’importanza di poter affermare la propria identità, senza restrizioni né pregiudizi.
Recitava in teatro (cabaret) senza mutande, richiamando così molto pubblico, che sperava di sbirciare qualcosa.
In quella Berlino degli anni ’20, Repubblica di Weimer, poteva succedere di tutto, senza destare stupore o dare scandalo. Era porto franco.
Il 17 maggio 1923 sposò Rudolf Sieber, produttore statunitense (o aiuto regista?) a cui rimase legata fino alla morte di lui, avvenuta nel 1976. Ebbero una figlia nel 1924 Maria Elisabeth. Sieber non divorziò mai dalla Dietrich, nonostante fosse a conoscenza di tutte le relazioni extraconiugali della moglie, con divi di Hollywood e con scrittori famosi.
Ma anche lui ebbe moltissime amanti, perché l’unione sessuale con la moglie, finì subito dopo la nascita della figlia Maria.
Fu scoperta dal regista Josef von Sternberg, che si recò in Germania con l’attore Emil Jennings, per girare il film L’ Angelo Azzurro, tratto dal libro di Heinrich Mann (fratello di Thomas).
La mitica interpretazione nel film ‘Der blauer engel’ (primo film sonoro tedesco nel 1930, pellicola girata in versione multipla: tedesco e inglese) la impose all’attenzione internazionale creando il mito di una diva peccaminosa e sensuale. I costumi indossati nel film furono disegnati e forse confezionati, da lei stessa. (Dicono li pescò in alcuni vecchi bauli di casa).
Salpò sola, per l’ America, sul piroscafo “Bremen” lasciando in Germania il marito Rudolf e, soprattutto, la figlia Maria.
Sulla nave, incontrò Travis Banton, il costumista con il quale collaborò tutta la vita e che contribuì a costruire quello stile mascolino e anticonformista.
Sempre sul Bremen, le scattarono la famosa foto vestita da marinaio, che venne diffusa dalla Paramount, con la frase di lancio:
“La donna che perfino le donne possono adorare”.
Successivamente fu fotografata, solo e soltanto, da Rudolph Matè, che creò quell’immagine di graffiante sensualità, che le diede un successo mondiale.
Quella foto cancellò le incertezze della Paramount, che le aveva proibito di mostrarsi in pantaloni: a quell’epoca, indossare vestiti maschili, per una donna, era un atto indecente e sovversivo.
Il 9 aprile 1930 Marlene Dietrich sbarcò ed arrivò Hollywood. La Paramount la mise in contrapposizione a Greta Garbo, la star scandinava della MGM.
La casa di produzione, creò il mito Dietrich, con una serie infinita di ricevimenti e feste. Una villa a Beverly Hills, una Rolls Royce e un contratto miliardario, che la rese, film dopo film, una delle persone più ricche d’America.
Era spendacciona. Con mazzette di dollari in mano, comprava di tutto, per sé ma anche per gli altri e in particolare per la figlia Maria.
L’ affascinante Marlene Dietrich stregava gli attori più famosi con cui girava senza tregua, i suoi film come Testimone d’accusa con Tyrone Power, Partita d’azzardo con James Stewart, Shangai Express, Marocco al fianco di Gary Cooper, Venere bionda accanto a Cary Grant o ancora Scandalo Internazionale, la cui trama sembrava ispirata alla sua vita fra realtà e mistero.
Dopo nove anni di permanenza negli USA, Marlene ottenne la cittadinanza americana.
Durante la seconda guerra mondiale, fece varie tournée di intrattenimento per le truppe, dove cantava, in inglese, la canzone tedesca ‘Lili Marlene’, che divenne poi il suo inno.
Nel 1947 ha ricevuto in America, prima donna nella storia, la Medal of Freedom e il governo francese nel 1946 le attribuì la Legion d’onore.
Ma la Dietrich si era costruita un personaggio strano e poco gradevole. A Hollywood crollò il mito della solitaria donna fatale, intelligente e indipendente.
La sua esplicita avversione nei confronti della normalità, la fama di “angelo del male”, la disinvoltura sessuale, disturbavano lo star-system hollywoodiano.
Intorno a lei si addensò un alone di freddezza.
Dichiaratamente atea e bisessuale, ebbe molti amanti famosi: Hemingway, Gary Cooper, Kirk Douglas, Frank Sinatra, Yul Brynner, James Stewart, Edith Piaf con la quale ebbe una storia lunga ed intensa, finita perché la Piaf si drogava pesantemente, rovinando, a detta della Dietrich, il suo dono miracoloso: la voce.
John Wayne? Qualcuno disse che si rifiutò di essere l’ennesimo stallone per la Dietrich. Altri che in “quel letto” ci entrò.
Greta Garbo e Marlene Dietrich, sempre in competizione, si odiavano o si amavano? Rivali, ma amanti in segreto? Le versioni sono tante e diverse. Pare che la Dietrich disse pure, che la Garbo indossava mutande sporche, notate durante un rapporto.
Maria Riva, figlia unica di Marlene Dietrich, in un libro rivela che dietro la bellezza sofisticata e sensuale della mamma, si nascondevano orrende, incredibili, inconfessabili, verità.
In quel libro si colgono l’amore e il disprezzo, che Maria prova per la madre.
In ‘Marlene Dietrich: mia madre” (1992) scrive:
“…. rimaneva stupita dalla bruttezza delle persone comuni quando le vedeva in luoghi affollati. Era una terribile egoista, che parlava raramente con gli altri poiché ciò avrebbe implicato un certo interesse per le loro opinioni”.
Per rispetto ai miei lettori, non riporto quello che mi sembra nauseante.
Aveva fobie.
Era terrorizzata dai germi, si lavava con forti detergenti ed antisettici.
La prima cosa che faceva in una stanza d’albergo, anche se si trattava dell’hotel Ritz, era inginocchiarsi a strofinare il bagno, per pulirlo alla perfezione.
Era alcolizzata.
Spiega la figlia: “Quando cessa l’effetto dell’alcol si è depressi e furiosi. È la tragedia dell’alcol, la tragedia di mia madre. La sua fine è stata una vera tragedia”.
Era ossessionata da bellezza e gioventù.
A 30 anni fece una rinoplastica.
Dopo cominciò col farsi fermare alcune ciocche di capelli con spille, in modo che tirassero molto la pelle, per una sorta di effetto lifting (provocando dolorosi sanguinamenti).
Fu anche una delle prime ricorrere al nastro chirurgico, per tirare indietro la pelle del viso, nascondendolo fra i capelli o sotto una parrucca. Arrivò addirittura ad indossare una sottile catena d’oro che le passava sotto il mento, per tirare su, la pelle del collo.
Faceva uso di parrucche perché non aveva una folta chioma… anzi.
Sesso e basta.
David Riva, suo nipote, dice: “Era fredda, emotivamente distaccata. Dormiva con chiunque trovasse attraente, per lei l’intimità era un modo di esercitare potere”.
Marlene dichiarò, piu volte, di odiare il sesso in generale.
Nel 1962 ricevette il David Donatello, premio come miglior attrice straniera, per il film Vincitori e Vinti, capolavoro di Stanley Kramer, dove recitò accanto a Spencer Tracy, Maximilian Shel, Burt Lancaster, Montgomery Clift, Richard Widmark e Judy Garland.
(Nella foto: SOPRA 1961. Marlene Dietrich e Raf Vallone a Taormina per il David di Donatello).
Negli anni Cinquanta i suoi impegni cinematografici sono sempre più rari.
Nel 1956 recita a fianco di Vittorio De Sica, nel film Montecarlo, regia di Samuel Taylor. Una commedia all’ italiana.
A fine carriera, l’attrice si dedica al teatro con recital di canzoni a Las Vegas, Broadway, Parigi. Lavora col musicista Burt Bacharach, che le arrangia musica, per mettere in risalto la sua voce roca e la bassa estensione.
Durante la sua ultima esibizione dal vivo si rompe una gamba, per una caduta dal palcoscenico, dovuta all’alcool. Dicono fosse completamente ubriaca.
Passa i suoi ultimi tredici anni, costretta in casa, assistita, nonostante il rapporto conflittuale, dalla figlia Maria.
Ha detto:
“A qualunque donna piacerebbe essere fedele. Difficile è trovare un uomo a cui esserlo”
“Chiunque sia stato sedotto, voleva esserlo”
“Soltanto le checche sanno come si fa a sembrare una donna sexy”
“È un privilegio femminile essere insensata”.
Ma Marlene “Amò” qualcuno/a, veramente?
Nessuno ha mai risposto a questa domanda.
Forse, credo, per quanto ho letto: Jean Gabin.
Marlene lo accolse nella casa con piscina, che comprò apposta per ospitarlo, si prese cura di lui e lo amò con tutta se stessa. Tanto da diventare una perfetta casalinga, accudente e accomodante. Ma Gabin decise di rientrare in Europa, sempre più sotto la minaccia nazista, per combattere tra le fila delle Forces françaises libres. Marlene, a Parigi, gli chiese, inutilmente, di ritornare negli Usa con lei. Gabin si rifiutò, odiava quel paese, dai sogni di carta. Marlene non lo dimenticherà mai.
Anche con lo scrittore Eric Maria Remarque, fu amore? Lui le aveva detto “Devo confessarlo… sono impotente! Ma so essere una lesbica perfetta.”, non era vero. La chiamava Puma, ma anche scimmietta, pantera chiara, estate dorata, pioggia dolce.
Marlene gli spiegò che non riusciva ad amare veramente gli uomini, perché non ne aveva bisogno a letto, solo le donne riuscivano ad appagarla.
Era un’ incredibile bugiarda. Trasformava, a suo piacimento, le realtà.
Con Marlene, gli alti e bassi erano senza fine. Poi lei conobbe Gabin e, con Remarque, tutto finì.
Credo che amò davvero, solo una persona al mondo: SE STESSA.
“Marlene ebbe un unico rimpianto: non aver ucciso Hitler” – racconta Marco Ravera (giornalista e critico cinematografico) – Secondo alcune recenti ricostruzioni, infatti, Marlene chiese, senza ottenerlo, un incontro privato con Hitler, non per sedurlo o accettare la proposta di divenire l’immagine della dittatura, ma per ucciderlo”…
Ma?!? Ho letto il contrario.
Hitler, aveva un debole per la neo-diva di Hollywood e la invitò spesso ad incontrarlo. Lei rifiutò sempre.
Marlene Dietrich non si fidava dei medici. Morì d’ infarto, il 6 maggio del 1992, a 90 anni, nella sua casa di Parigi, poco dopo l’affermazione del suo medico curante: “Lei ha un cuore perfetto, signora”.
Ma le cause della morte sono sempre rimaste poco chiare. Nel 2002, la sua segretaria Norma Bousquet, affermò che l’attrice si era suicidata con una forte dose di sonnifero. Un altro mistero.
Anche se non si sentirà mai accettata fino in fondo né dalla sua Berlino, né dagli Stati Uniti e anche se non smetterà mai di amare le sue radici, sarà solo in punto di morte, dopo otto anni passati immobile a letto, che chiederà di essere sepolta accanto alla madre nella capitale tedesca, perché :
“Quando sono vicino alla mamma, non mi può accadere nulla”.
Sulla lapide sta scritto “Marlene” “Io sto qui ai confini dei miei giorni”.
La Dietrich venne dichiarata cittadina onoraria di Berlino, il 16 maggio 2002.
Il Comune di Berlino le ha dedicato una grande piazza, davanti al Palazzo del Cinema.
Giorgio Armani le disse che era stata la prima donna dello schermo, ad aver indossato lo smoking e la giacca tailleur con pantaloni lunghi, come quelli che creava lui e, forse, l’ aveva ispirato.
Una grande Diva, Femme Fatale, immagine di una nuova bellezza e femminilità, fuori dagli schemi, negli anni ’30.
Ma il modo altezzoso di porsi, lo sguardo gelido e sprezzante di chi sa che può vincere, sempre e comunque, non me la rendono molto simpatica.
Mi piace tantissimo il look coraggiosamente proposto negli anni ’20/30, che è quello che, adopero io, ereditato da Armani anni ’80. (scusate la parentesi personale). Tutto il resto mi lascia perplessa, recitazione compresa. Ma questi sono miei gusti, sindacabili ovvio.
L’American Film Institute, l’ha inserita al nono posto, tra le più grandi Star della storia del Cinema.
Il suo film che amo di piu: “Testimone d’accusa” con Tyron Power, regia di Billy Wilder (1957).
Anche questa domenica sono giunta alla fine e mi auguro che il racconto vi sia piaciuto.
L’ appuntamento è a domenica prossima, sempre qui su LecceCronaca.it
Vi aspetto. ______
( 2 – continua )
Category: Cultura
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