I/O E PETER GABRIEL

| 21 Gennaio 2024 | 1 Comment

di Roberto Molle  ______ 

Tra poco meno di un mese Peter Gabriel compirà 74 anni ed è colui che tra i musicisti stimo di più, da sempre. Da quando le mie pulsioni musicali hanno preso consistenza lui c’è sempre stato.

C’era quando a 15 anni comprai Selling England By The Pound e restai a guardarne la copertina incantato per un quarto d’ora. C’era quando nei Genesis non “c’era” più, e la tristezza provata fu grande.

C’era nel 1980, quando senza rendermene conto, ascoltando PG3 (Melt)mi trovai tra le mani uno dei primi dischi di world-music.

C’era nel 1983 (mi trovavo a Bologna), quando avendo appreso della sua presenza come ospite al festival di Sanremo, rischiai di impazzire perché il mio televisore era rotto… Bussai alla porta di un vicino chiedendogli di poter invadere il suo salotto per qualche minuto, giusto per vedere l’esibizione di Peter.

C’era nello stesso anno quando provai a scrivere la sceneggiatura di uno pseudo-musical ispiratomi da The Lamb Lies Down The Broadway (con le musiche dei Genesis e di Gabriel a fare da colonna sonora, ovviamente).

C’era nel 1984, quando nella casa-studio-sala d’ascolto dell’amico Davide posai religiosamente sul giradischi il vinile (all’epoca semplicemente chiamato elleppì) di PG4 (Security) ed entrai dentro un mondo parallelo fatto di suoni mai ascoltati prima, di immagini e colori stratificati (senza essermi fumato niente… per inciso).

C’era (comunque) quella volta che mi ha un po’ deluso con dischi tipo SO, e c’era quando dopo dieci anni di interminabile assenza ha pubblicato UP, un album che per bello è bello, ma quando tu hai già dato tutto, il rischio è di restare invischiato tra le braccia delle sirene del mainstream.

Poi c’era a Lecce, per uno splendido, indimenticabile concerto nel 2004, che a ripensarci, mi tornano davanti agli occhi le unghie estation di Tony Levin che accarezzano il basso e Peter che indossa una giacca trapuntata da mille lampadine mentre canta Sledgehammer.

Infine, c’è stato nel primo scorcio di questo secolo con due progetti molto interessanti: Scratch My Back, un album di cover di altri artisti dove Gabriel è accompagnato da un’orchestra e New Blood, con ancora l’ausilio di un’orchestra a rivisitare alcuni brani che tracciano la sua intera carriera.

Peter Gabriel, come uno di quegli amici immaginari che abbiamo da bambini, continua a esistere e a sorprenderci anche da grandi. A distanza di ventuno anni dalla pubblicazione di UP è tornato con un nuovo album dal titolo I/O, sconvolgendo le regole dello show-business e creando scompiglio tra i suoi fan, divisi sul fatto se quello che si son trovato dinanzi sia un disco innovativo o trattasi del solito grande, vecchio Peter che, eternamente ispirato e curioso, continua (affascinato dalle mille possibilità che la tecnologia gli offre) a giocare con i suoni e le mille diavolerie digitali, nonostante il tempo e la naturale parabola creativa discendente con cui ogni artista si ritrova a dover fare i conti prima o poi.

Per il suo ritorno sulla scena, Peter Gabriel si è inventato un modo originale per presentare le canzoni di I/O. I brani che compongono l’album sono dodici, o meglio trentasei: sempre gli stessi dodici registrati in tre differenti mixaggi, ognuno ad opera di un diverso produttore. La versione Bright è stata manipolata da Mark “Spike” Stent, soprannominato “il pittore” per la sua spiccata capacità di dare vita ai suoni, quasi tramutandoli in immagini. Alla versione Dark ci ha messo mano Tchad Blake, appellato “lo scultore”, grazie all’evidente predisposizione per la costruzione di viaggi sonori dall’alto gradiente di drammaticità. Infine il mix In-Side, elaborato da Hans-Martin Buff, che si è occupato di dare tridimensionalità al materiale in oggetto e, per questo, scelto per la diffusione in Blu-Ray.

Tornando alle dodici tracce di I/O, Peter ha utilizzato una modalità di approccio graduale, scegliendo di renderle pubbliche al puntuale sorgere di ogni luna piena. Insomma, attendere la luna piena, come i licantropi, per ascoltare una nuova canzone di Peter Gabriel, è diventato un appuntamento per quasi tutto il 2023. Precisamente il 7 gennaio Panopticom, il 5 febbraio Playing for Time, il 7 marzo The Court, il 6 aprile Four Kind of Horses, il 5 maggio la titletrack I/O, il 4 giugno Love Can Heal, il 3 luglio Road to Joy, il 1 e il 31 agosto So Much e Olive Tree, il 29 settembre This Is Home, il 28 ottobre And Still, il 27 novembre Live and Let Live.

Al disco hanno partecipato musicisti “storici” del suo entourage: da Tony Levin a Manu Katché, da David Rhodes a John Metcalfe e la New Blood Orchestra, tutta gente che non ha certo bisogno di essere presentata. In alcuni brani ci ha messo del suo anche Brian Eno; e la lista si allunga con ulteriori collaborazioni di prestigio quali il pianista Tom Cawley, la violoncellista Linnea Olsson, il nostro Paolo Fresu e Josh Spack alla tromba. La figlia di Peter, Melanie, partecipa ai cori insieme a Ríoghnach Connolly, il Soweto Gospel Choir e il connubio svedese Oprhei Drängar.

Tanta carne al fuoco per un artista che quando fa qualcosa, cerca di farla col massimo impegno circondandosi di ottimi musicisti.

Ma com’è questo nuovo disco di Peter Gabriel?

Ne è valsa la pena attendere vent’anni per dodici nuove canzoni presentate in più versioni, dove forse ci hanno messo mano troppi alchimisti? Ma Gabriel non aveva già detto tutto in tutte le salse?

Questi interrogativi suggestionano molti fan della prima ora, al contrario di chi scopre il musicista in questi frangenti che trova l’album una boccata di ossigeno in mezzo alla palude in cui il rock si è trascinato.

Provo a fare una breve analisi – da fan storico di Peter, come già detto – di I/O, ammettendo che apprezzamento, sorpresa e un po’ di delusione sono elementi che continuano a martellarmi a ogni ascolto del disco (va da sé che l’ho inserito nella mia playlist dei 10 album più belli del 2023).

L’idea delle tre versioni (ma in fondo solo di due: la Bright-side e la Dark-side) delle dodici canzoni mi ha lasciato alquanto tiepido: arrangiamenti, strumenti e voce, incidono poco sull’esito finale di ogni brano nelle tre versioni.

Ammetto che se per gioco dovessi scegliere io la versione definitiva delle dodici tracce da inserire nel disco, opterei per la Dark-side, perché più vicine al Gabriel che apprezzo maggiormente: quello più crepuscolare, rivelatosi in album come PG3 (Melt) e PG4 (Security).

Peter Gabriel si è divertito molto a realizzare questo suo nuovo progetto, e come al solito lo ha fatto mescolando benissimo le sue carte. Da sempre interessato alle nuove tecnologie, alle possibilità di usare la musica a difesa dei diritti umani, all’incastro tra arte, businness e l’esigenza ineluttabile di essere sempre un passo avanti a ogni mainstream, probabilmente con I/O è riuscito a mettere insieme tutti gli elementi.

Che Peter abbia raggiunto da tempo il punto massimo della sua parabola creativa è certamente indubbio, tutto l’album è disseminato di rimandi, suggestioni, melodie che convivono dentro un déjà vu che attinge ai suoi album precedenti, e questo, a tratti fa storcere un po’ il naso, ma a tratti regala anche cortocircuiti mnemonici-sensoriali che riaccendono momenti che fanno bene al cuore.

In definitiva, atteso da così tanto tempo che si pensava non sarebbe più uscito,  I/O è un album fuori dal tempo, realizzato con la cura e la perizia di un artigiano, il quale ha scolpito le canzoni una a una e ha dato loro un vestito e un’immagine, dal momento che ogni pezzo è accompagnato da un’opera d’arte personalizzata realizzata da Ai Weiwei, Nick Cave, Barthélémy Toguo, Olafur Eliasson, Annette Messager, Antony Micallef, Henry Hudson, Megan Rooney, Cornelia Parker, Tim Shaw, David Spriggs e David Moreno. Quello che Peter Gabriel ci consegnato è un disco che ha dalla sua il potere dell’evocazione, dal momento che il suo non convenzionale metodo di pubblicazione ha messo in primo piano innanzitutto la musica e i suoi collegamenti. Ed è per questo che ora che tutte le dodici canzoni di I/O allo scadere del 2023 hanno preso il loro posto nel progetto, il disco nel suo complesso non potrà che essere destinato a crescere per poi trovare il suo posto tra le opere più originali di un artista immenso come Peter Gabriel.

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Per ascoltare alcuni brani di I/O

Category: Cultura

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  1. Angelo ha detto:

    È l’ennesimo capolavoro del genio del rock

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