“Mondo e antimondo” DI UMBERTO MARIA GIARDINI, UN ALBUM STUPENDO

| 27 Dicembre 2023 | 0 Comments

di Roberto Molle  ______ 

Ci sono musicisti che per scelta o per destino si trovano a percorrere strade laterali rispetto a quelle del successo a tutti i costi, e c’è un mondo a parte nel panorama musicale italiano, popolato da artisti che, tassello dopo tassello, con le loro discografie hanno realizzato (e continuano a farlo) mosaici di bellezza e resilienza.

Qualche nome? Potrei iniziare da Vasco Brondi, Fabrizio Tavernelli, Edda, Giancarlo Onorato, e proseguire con Andrea Chimenti, Marco Parente, Umberto Palazzo, Jacopo Incani, Daniela Pes… e potrei continuare.

A pieno titolo, tra la lista di cui sopra, merita un posto speciale Umberto Maria Giardini. Poco più di una dozzina di album all’attivo, divisi tra la sua prima vita artistica con lo pseudonimo di Moltheni e l’attuale, scegliendo di firmarsi con il suo vero nome.

Da qualche giorno è uscito “Mondo e antimondo” il suo ultimo disco, un lavoro che si lega a un percorso tracciato da tempo e va a rinsaldare certezze e consapevolezze su un artista in crescita costante.

Prima di entrare nello specifico di “Mondo e antimondo” facciamo un salto indietro per qualche informazione sul musicista marchigiano. Partiamo dalla metà degli anni novanta quando l’incontro con il catanese Francesco Virlinzi, produttore e fondatore della Cyclope Records, gli frutta il primo contratto discografico. Il primo album di Moltheni viene pubblicato nel 1999, si chiama “Natura in replay” ed è un pugno dritto allo stomaco del pop dell’epoca. Tredici ballate dalla scrittura inquieta (dal Circuito affascinante a In centro all’orgoglio, per rendere l’idea), fatta di testi permeati da originali accostamenti linguistici e un approccio fondamentalmente acustico con spruzzate di synth e leggere incursioni di chitarra elettrica. Poi la voce, melodica ed evocativa. Con “Natura in replay”, Moltheni apre nuovi orizzonti, che si staccano dal mainstream liberando spore (andarsi a riascoltare i primi lavori di Brunori Sas e Roberto Angelini) e sbloccando nuovi confini nell’ambito della musica italiana.

Del 2001 è il secondo album, si chiama “Fiducia nel nulla migliore” e rappresenta decisamente un cambio di rotta. Le atmosfere pop lasciano spazio a sonorità più rock. Il salto avviene sotto la produzione di Jefferson Holt (dell’entourage dei R.E.M.). Quattordici tracce di oscurità e rabbia liberata hanno la meglio sulla linea melodica che aveva caratterizzato “Natura in replay”.

L’album esce ancora per la stessa etichetta, ma la scomparsa nel novembre del 2000 di Francesco Virlinzi, porta alla chiusura della Cyclope Records e di conseguenza, a prevedibili cambiamenti nel percorso artistico di Moltheni.

Bisognerà aspettare il 2005 per ascoltare un suo nuovo album, nel frattempo firma con l’etichetta Tempesta Dischi dei “Tre Allegri Ragazzi Morti” che lo accompagnerà in quasi tutta la produzione futura (anche per gli album pubblicati a nome Umberto Maria Giardini).

Il titolo dell’album è “Splendore terrore” e trascina in una nuova, intensa avventura che sconvolge e attira dentro un vortice minimalista giocando con gli estremi di diverse forme di negatività. Testi scarni ed esistenziali che scivolano sullo sfondo di sonorità acustiche ancestrali che riportano alla mente le ballads di Nick Drake e i viaggi psichici di Syd Barrett.

Nel 2006 è la volta di “Toilette memoria”, un album più di respiro, sempre profondo nei testi ma con un suono più largo, ricco di poesia intrecciata ad affreschi pop e folk. Ospiti speciali Franco Battiato e i Verdena.

“Io non sono come te” del 2007, quinto album di Moltheni (in realtà si tratta di un mini cd). Ancora a volo di rondine, su una voce calda e ricca di pathos che canta, in stato di grazia, di temi eterni come l’amore, la morte e la solitudine.

A ruota nel 2008 esce “I Segreti del corallo”, un album che se da un lato conferma le vette del talento di Moltheni, dall’altro si fa elemento divisivo per i fan: chi conosceva bene il suo percorso artistico ne rimane un po’ deluso perché sperava in un ulteriore salto in avanti, all’opposto, per chi scopre in quei frangenti la sua musica se ne innamora incondizionatamente.

Passano un po’ di anni, nel mezzo varie esperienze e collaborazioni. Un ritorno alla sua vecchia passione per la batteria e l’entrata nel 2011 in organico con i Pineda (un gruppo post-rock con, tra l’altro, un’indulgenza verso il prog di Emerson, Lake & Palmer). Nel frattempo l’annuncio dell’abbandono dello pseudonimo Moltheni e la volontà di lì in avanti di pubblicare con il suo vero nome: Umberto Maria Giardini.

Il 2012 è l’anno del primo album pubblicato come Umberto Maria Giardini, si chiama “La dieta dell’imperatrice”. Una rinascita più umana che artistica, un liberarsi di un passato nel bene e nel male.

Qualche chitarra elettrica in più e le distanze prese da certo folk acustico dell’ultimo Moltheni, insomma uno sguardo più deciso verso il post-rock ma senza mai rinnegare l’aspetto melodico (trait d’union della personalità Moltheni-Umberto Maria Giardini).

A seguire, nel 2013 esce l’EP “ognuno di noi è un po’ anticristo”. La svolta e la presa di distanza rispetto al minimalismo del vecchio corso targato Moltheni. Un respiro più internazionale, intrecci sonori dinamici e dilatati, chitarre ostentate e taglienti (brani come Omega, Oh Gioventù e Tutto è anticristo rimescolano suoni anni settanta e avanguardia tra pop, cantautorato e psichedelia).

Sempre per l’etichetta La tempesta tra il 2015 e il 2023 vedono la luce altri tre album e un EP (rispettivamente “Protestantesima”, “Futuro Proximo”, “Forma mentis” e “Domus meus”).

Nel 2020, estemporaneamente, viene pubblicato “Senza eredità” un album di brani rimasti inediti risalenti al periodo Moltheni, Il disco è accreditato allo stesso. “Senza eredità” è un album particolare, con un retrogusto antico che gli conferisce una sorta di atemporalità. A parte un brano (“La mia libertà), gli altri dieci sono riemersi dagli archivi di Francesco Virlinzi (grazie al contributo della madre del produttore prematuramente scomparso).

Ascolto di “MONDO E ANTIMONDO”

“Mondo e antimondo” sta circolando da pochissimo, leggo un po’ in giro sparute recensioni e attestati di stima incondizionata nei confronti di Umberto. L’impressione che ho è che questo suo nuovo disco sia per lui una prova particolarmente importante… forse quella legata a una delle domande più radicali che almeno una volta ci spetta nella vita (col beneplacito di Gauguin): “chi sono, da dove vengo, dove andrò a finire”?

Mi immergo nell’ascolto dell’album grazie alle fedeli Sennheiser che mi tagliano fuori da una giornata iniziata col sole e diventata livida; pochi attimi e scivolo dentro un mondo schermato da clamori natalizi e ipocrisie urbane. Dieci brani tra rock e canzone d’autore, sostenuti da suoni stratificati, non si riesce a tenere il conto degli strumenti che danno loro vita (pianoforte, chitarre elettriche, acustiche e mille altre diavolerie).

RE si apre con un suono timido di campane, poi lo squillo di scarne note di chitarra e un attacco di tamburi a tempo di marcia introducono la voce ipnotica di Umberto. Pochi attimi ed è poesia, filastrocca, ballata, brandello di reminiscenza rubata alla storia o alla leggenda. Se l’intento di “Re” è quello di trascinare dentro un girone dannato di espiazione e piacere, soffrendo e gioendo ad ogni tornante di suono, beh… con me non ha trovato nessuna resistenza.

MIRACOLI AD ALTA QUOTA resoconto di un amore che sta iniziando o finendo, o forse di uno mai confessato prima. Parole pesate, asciugate alla brezza di un vento da nord per renderle essenziali. La poetica di Umberto Maria Giardini non smette di incantare, rende inermi di fronte alla sua complessa semplicità.

ANDROMEDA ha un intro che proietta flash di suono rubati a quei ’90 colorati di grunge e striature melodiche, poi si scioglie in tenera ballad retta dalla voce di Umberto che gioca con l’eleganza di un testo raffinato, arricchito da retaggi di arie melò. Testimonianza d’amore, preghiera laica, canto universale di un esteta in stato di grazia: definizioni che non si escludono a vicenda.

LA NOTTE è liricoaffresco di introspezione. Un grido d’aiuto e parole come pietre a esorcizzare scenari notturni che trascinano con sé certezze e sentimenti.  

LE TUE MANI Un brano anomalo, quasi a spezzare il livello di pathos cresciuto con quelli che lo hanno preceduto. Piacevole sorpresa: a dare man forte all’autore di “Mondo e antimondo”, il cameo di Cristiano Godano (Marlene Kuntz) che canta con la sua voce calda e inconfondibile in questo brano semplice e bellissimo.

VERSUS MINORENNE minimo comun denominatore resta il rock, con i suoi chiaroscuri e le sue infiammate. In un continuum di caleidoscopiche sfumature la stupenda voce di Umberto Maria Giardini continua a disegnare ghirigori poetici e a tagliare e ricucire le pareti del cuore, rilasciandogli dentro frammenti di struggente bellezza.

NEI TUOI GIARDINI l’atmosfera rarefatta, i toni disillusi, la consapevolezza della fine di una storia. Ancora parole come tessere sbriciolate a tenere vivo un mosaico. Flash-back di istantanee a colori che degradano verso il bianco e nero, mentre la macchina da presa si leva in alto inquadrando una figura che lentamente si allontana.

MURO CONTRO MURO Un intro di piano e la voce di Umberto che si appoggia sofferente. Ancora un’altra storia d’amore che non accetta di finire. La poetica si fa totale e il suo cantore si eleva come il più grande dei crooner, incarnandone tutto il dolore.

FIGLIA DEL CORTEO pennellate eteree di plettro sulle corde di una chitarra e pensieri dolenti come cicatrici

che marchiano i ricordi. Tutto si fa minimale: gli accordi, le parole, l’atmosfera. Guardarsi dentro e riconoscere gli sbagli, vivere sulla propria pelle il tormento come catarsi per un’anima inquieta, effetto di sensibilità eterne che non si inaridiranno mai.

MONDO E ANTIMONDO stupendo epilogo, per un album stupendo. Un brano che tira le somme e non fa sconti neanche al suo autore che non ha paura di coinvolgersi dentro una sorta di psicodramma fatto di parole, suoni e memorie.

Con “Mondo e antimondo”, Umberto Maria Giardini si è seduto a un tavolo e ha sacrificato il suo sangue per un’opera che getta uno sguardo impietoso sui tempi che stiamo vivendo. Forse esiste un rovescio della medaglia alla sua visione del mondo e forse chi ha troppa sensibilità è destinato a soccombere, ma in questo disco, in queste canzoni, in questo frangente, i suoi tormenti, le sue debolezze e la sua capacità di scendere agli inferi e risalirne in un afflato catartico ci appartengono.

Category: Cultura

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