LE EMOZIONI DELLA VITA. LA MAESTRA DI DANZA CLASSICA LAURA SCARINGELLA SI RACCONTA A leccecronaca.it
di Francesco Rodolfo Russo ______
Pensiamo che la danza si possa considerare, presso molte popolazioni che vivono ancora allo stato tribale, un linguaggio fondamentale. In queste realtà la danza comunica che cosa sta accadendo, che cosa è accaduto e che cosa si spera o si teme che accadrà. Le danze cui accenniamo riguardano i rapporti sessuali, la caccia, la guerra, i cicli stagionali, la morte.
Nell’Antica Grecia abbiamo le prime danze con vere e proprie coreografie, nel Medio Evo la danza assumerà significati religiosi mentre nel Rinascimento si svilupperà una forma di ballo che prevede schemi e passi precisi. Insomma, superando il Settecento, l’Ottocento (La Sylphide, Giselle, Il lago dei cigni e così via) e il Novecento (Romeo e Giulietta, Bolero, La dama delle Camelie, ecc.) arriviamo alla nostra epoca: che cos’è la danza oggi? Lo chiediamo a Laura Scaringella.
Abbiamo assistito negli anni a un’evoluzione tecnica, sottolineata da un’evoluzione della fisicità e dunque della performance. Oggi purtroppo si è perso, quasi del tutto, il senso più profondo e originario della danza, per enfatizzare gli aspetti tecnici e performativi. In poche parole il rischio è di compromettere la dimensione artistica in favore di quella meramente estetica, vincolata a principi teorici che spesso eludono la spinta emotiva e creativa.
Pensando a un passato non tanto distante da noi, ossia quello prima dell’industria, la grande maggioranza della popolazione (60-90%) viveva sulla e della terra. In quella società rurale la danza era associata al lavoro – per esempio quando occorreva rassodare il pavimento in terra battuta delle case o il suolo dell’aia, pestare i semi del lino e così via – tanto da indurci a pensare che il lavoro e il divertimento non siano in opposizione. È così?
La danza ha sempre accompagnato la quotidianità dell’essere umano, non può essere concepita esclusivamente come una disciplina, ma deve essere vista anche come un mezzo per l’espressione di sé e, in quanto tale, sottolinea le emozioni di ogni momento della vita, tanto individuale quanto sociale.
Hai iniziato gli studi di danza a Torino presso il centro di Balletto Classico diretto da Dragica Zach, in seguito ti sei specializzata a Lione nella danza moderna e contemporanea. La scelta di volgere lo sguardo su questi altri generi deriva dal desiderio di esplorare o dalla convinzione che con le espressioni più moderne si possa raggiungere più facilmente il pubblico con spettacoli a temi contemporanei?
Ho sempre avuto la convinzione che un danzatore, come ogni artista, debba spingersi verso l’esplorazione della diversità e della molteplicità delle forme espressive. Pertanto la ricerca e lo studio di diversi stili di danza rispondono a questa necessità di base, per garantire una rappresentazione più sfaccettata e dunque autentica tanto dei vissuti interiori quanto della realtà esistente al di fuori di noi.
A suo tempo ebbi modo di incontrare Dragica Zach; la ricordo come un’insegnante severa e so che. Oltre te, altre allieve hanno raggiunto traguardi soddisfacenti. Qual è il tuo ricordo e che cosa ritieni di aver appreso da lei?
Dragica Zach oltre a essere una grandissima maestra di danza, forse la migliore che io abbia avuto, è stata anche maestra di vita. L’ultimo anno prima della sua morte faceva lezione al mattino, poi usciva e andava a fare le terapie per la malattia che la affliggeva, ci lasciava sempre dei dolci sul tavolo. Nel pomeriggio tornava, pallida e stanca, ma ricominciava a insegnare, senza perdere mai il sorriso. Questo per me è stato il più grande insegnamento di forza, amore e tenacia.
Nel 2019, a quattro anni dal traguardo dei cento anni, chiuse i battenti la scuola fondata da Bella Hutter nel 1923, segnando la fine di un capitolo importante della danza e della storia culturale di Torino. Che cosa offrivano di più la Francia e il Principato di Monaco che non potevi trovare a Torino, in una scuola come quella fondata dalla danzatrice esule dalla rivoluzione russa?
Senza fare polemiche, preferisco non esprimermi al riguardo. Scelsi la Francia semplicemente perché lì si studiava davvero, senza compiacimento e sterile presunzione. La Maestra Dragica è stata la migliore a Torino. Questo è quello che penso, con tutto il rispetto per le altre scuole e per gli altri Maestri.
La danza classica è sempre stata vista come un’arte per l’élite. Che cosa pensi a riguardo?
Tornando alla risposta precedente, questo è stato uno dei motivi che mi hanno spinta a studiare in Francia. Lì la danza è considerata davvero un’arte, non un mero esercizio per esibire un atteggiamento elitario. Un vero peccato, perché quest’atteggiamento toglie lustro all’arte.
Alcune tue interpretazioni hanno riguardato la violenza: è il caso dell’esibizione al Piccolo Regio di Torino, in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, e di Luci in Sala, rappresentato al Teatro Carignano di Torino. Quest’anno hai realizzato Lo Sguardo di Giano – quando l’amore diventa ossessione. Premesso che modificheremmo il sottotitolo dell’ultimo spettacolo citato perché là dove si parla di “ossessione” non può esserci amore neanche inizialmente, ti chiediamo che cosa hai provato nell’interpretare i tuoi personaggi e se al fondo dello spettacolo appare la “Luce” oppure se la donna rimane piegata, sconfitta.
Rispetto al tema della violenza contro le donne, ho portato in scena le diverse sfaccettature del fenomeno, dando forma a molteplici vissuti emotivi e alle esperienze più varie. Non mi sono focalizzata esclusivamente sulla dimensione del femminile come vittima, ma ho invece provato a restituire consistenza all’aspetto creativo dell’anima, che consente di accedere a una ricostruzione e a una rinascita.
Dopo lo spettacolo Ospiti illustri, con la regia di Anna Cuculo, andato in scena al Teatro Gobetti di Torino, nel 2022 sei tornata a lavorare con lei che ha curato l’allestimento dello spettacolo L’Infinito Surreale da te coreografato e interpretato, ispirato alle opere di Lorenzo Alessandri; artista che nel 1944 fonda un punto d’incontro a Torino dal nome almeno singolare: «Soffitta macabra» e anni dopo lancia, mediante l’omonima rivista, l’idea/movimento «Surfanta», crasi delle parole surrealismo e fantasia e che, al contempo, si vanta di conoscere Gustavo Rol, noto medium torinese, Padre Pio e Madre Teresa di Calcutta. Che cosa vi ha spinto a proporre i dipinti di questo pittore?
Sono rimasta colpita dal suo lavoro e dalla dimensione onirica. Ho rivisto i mostri del mio inconscio, che forse non sono solamente miei, ma di una collettività, proiettati sulla tela. Alessandri sfrutta il mezzo artistico per offrire una catarsi. L’ombra umana diviene finalmente tangibile, un personaggio oscuro, ma ben tracciato, con cui ci si può confrontare e creare un dialogo. Fortuitamente, o magicamente forse, ho scoperto che Anna è stata una sua modella e cara amica, così abbiamo deciso insieme di produrre questo spettacolo.
Enrico Cecchetti, ballerino e coreografo vissuto nella seconda metà dell’Ottocento e nei primi trent’anni del Novecento, ideò un metodo che si basa su principi incentrati sia a livello tecnico sia estetico sulla fluidità, l’armonia del movimento del danzatore, sulla purezza della linea, la stabilità, l’energia, la coordinazione e la velocità e su tanto altro. Quanto è stato utile questo metodo per la tua crescita?
Il metodo Cecchetti è stato capace di insegnarmi tecnica e forza nello studio della danza classica, anche perché ogni danzatore ha un metodo specifico che gli permette di trarre il meglio da sé. Il metodo Cecchetti è stato uno dei miei favoriti, ma non l’unico.
La danza può avere anche una funzione curativa non soltanto a livello fisico ma anche a livello psicologico per concedere all’inconscio di esprimersi?
Certamente sì, infatti sto creando un’esperienza capace di coniugare la componente artistica ed espressiva con quella della conoscenza di sé, per favorire un’esplorazione profonda in cui la psiche, il corpo e le emozioni si fondono per realizzare un nuovo equilibrio. Ho intitolato questo progetto “Deeper Dance”.
È un percorso per tutti o solamente per chi ha avuto o ha a che fare con la danza?
È un percorso che può essere affrontato sia dai danzatori sia da chi non ha studiato danza, ma ha il desiderio di conoscersi attraverso il proprio corpo e il proprio movimento.
Qual è l’arte che ami maggiormente dopo la danza?
In realtà non amo la danza più di altre arti. Per esempio amo la musica tanto quanto la danza. Da bambina, quando m’inebriavo con i brani di Chopin, Beethoven e dei grandi compositori, immaginavo la musica come una grande onda e pensavo di poterla cavalcare con la mia danza.
Category: Cultura
La danza è vita. Si comincia a danzare al suono di carillon e filastrocche. È un modo di esprimersi come la scrittura e la pittura, eccetera…Diamo spazio a tutte le forme di danza…Quella classica, studiata è appannaggio di élite? Avviciniamo la gente…comune