NEL ROMANZO ”Vivere a viso aperto“ UN MESSAGGIO DI WALTER CERFEDA
di Raffaele Polo ______
Si presenta il giorno 18 luglio a Lecce, nella Biblioteca Bernardini, in Piazzetta Carducci il nuovo romanzo di Walter Cerfeda (nella foto), pubblicato da ‘Il Raggio Verde’. Pino De Luca e Antonietta Fulvio dialogano con l’autore di ”Vivere a viso aperto“, romanzo a largo respiro, con tematiche che partono dalla Seconda Guerra Mondiale e giungono sino ai giorni nostri.
È, in realtà, il mondo che lo scrittore privilegia, per inserirvi storie e logiche legate profondamente al suo essere uomo libero, in perenne conflitto con le disparità e l’ingiustizia sociale, con quel tratto orgoglioso che viene dall’aver vissuto, in prima persona, i drammi e le vicissitudini dei più semplici, dei più poveri.
Cerfeda, insomma, nei suoi personaggi, inserisce tutto il proprio vissuto e non lo fa per il semplice e facile gusto dell’autobiografia. Il suo è un mezzo, peraltro molto efficace, per additare e smascherare l’ignavia che, sempre più spesso, permette al male di diffondersi, senza che niente e nessuno provveda a rimuovere quel ‘muro di gomma’ che è rappresentato dal perbenismo e dalla vigliaccheria di chi non si mette in gioco -e in pericolo- in prima persona…
Gli riesce più facile, ambientando le vicende nel periodo fascista o in quello delle grandi, storiche dittature europee che diventano lo sfondo ideale per tessere storie e vicende drammatiche di ingiustizia e sopraffazione. Ma anche nella contemporaneità, pare dirci Cerfeda, siamo sempre a stretto contatto con egoismo e malessere, cattiveria e viltà, con i ricchi e i potenti che ‘fanno la storia’ a danno dei semplici e degli umili…
La complessa costruzione romanzesca di questo ”Vivere a viso aperto“ (Il Raggio Verde, 156 pagine, 18 euro), allora si erge in tutta la sua maestosità, abbracciando oltre mezzo secolo di storia ma prospettando, nel finale, una malinconica e sentita vena di coerente voglia di non abbandonare del tutto ciò in cui si è faticosamente finito per credere, in mezzo a mille esperienze, troppo spesso negative.
Quello che lasciamo ai nostri figli, ai nipoti -pare dirci Cerfeda, con molta umiltà- deve poter servire a qualcosa. Deve poter essere lo stimolo a combattere la negazione e la disuguaglianza, deve convincere per primi noi che gli ideali in cui abbiamo creduto si sono indeboliti, alla prova della vita, ma sono ancora ben presenti, nel nostro animo.
Ecco, questo messaggio di Walter Cerfeda, inserito e inspessito in un romanzo di facile comprensione e lettura, è una sorta di testamento spirituale che lo scrittore di Presicce vuole lasciarci, mettendo da parte, per un attimo, la sua capacità affabulativa sui temi legati all’economia politica della nostra contemporaneità.