“Tanto è importante la parola, quanto il modo in cui la si pronuncia
e altrettanto importanti sono i gesti che l’accompagnano“. IN UN’ INTERVISTA ESCLUSIVA A leccecronaca.it ANNA CUCULO, RACCONTANDO DI SE’, CI PARLA DELLA CULTURA ITALIANA
di Francesco Rodolfo Russo ______
Calliope, Melpomene, Thalia, Tersicore. Penso che queste cinque muse possano sintetizzare il percorso di vita e professionale di Anna Cuculo, danzatrice, coreografa, attrice, regista, scrittrice. Infatti, in lei c’è la melodia della Voce, la capacità di indossare le maschere della Tragedia e della Commedia e di “essere” sorridente e danzante. Proprio da lì è partita debuttando a otto anni come danzatrice nell’Aida di Verdi.
Che cosa ha significato per una bimba esordire in un’opera lirica così famosa e successivamente lavorare con importanti ballerine quali Carla Fracci e Loredana Furno?
Grazie, Francesco; troppo buono ad aver citato le muse per una mia intervista.
Rispondo alla tua prima domanda. Per me è stato del tutto naturale. Frequentavo la Scuola di Danza Classica del Maestro Enrico Cecchetti a Torino, contemporaneamente alla scuola di canto corale, alle quali ho potuto accedere gratuitamente grazie alla «Alleanza Cooperativa Torinese», cui sarò grata per sempre. In quegli anni, ’59/’60, l’Opera Lirica a Torino veniva rappresentata al Teatro Nuovo, poiché il Teatro Regio era ancora chiuso dall’incendio del ’36. Nell’Aida è previsto un intervento danzato dei “moretti”, i piccoli mori schiavi, che molto spesso vengono interpretati da tersicoree piccole di statura o in altri strampalati modi. Noi invece eravamo proprio bambine, con una calzamaglia color cioccolato, la faccia dipinta e una parrucchetta riccia…
Da lì in avanti ho danzato in molti Teatri Lirici italiani, appassionandomi all’Opera Lirica e alla musica classica. Ho avuto un’altra brava insegnante, Loredana Furno appunto, con la quale ho lavorato, oltre che nella Lirica, anche nella sua Compagnia di danza e, con un gruppo ristretto per brevi periodi, anche sulle navi da crociera.
Tra i ricordi più belli c’è l’Arena di Verona, qualche anno dopo, con étoile Carla Fracci. L’Arena è un’esperienza indimenticabile, meravigliosa: ancora Aida con i cavalli in scena ad annunciare la marcia trionfale, e Un ballo in maschera con un giovane Luciano Pavarotti.
Quanto sono state utili le basi della danza classica quando decidesti di dedicarti alla danza moderna e contemporanea?
Molto. La prima audizione per un programma televisivo comprendeva anche le basi classiche, le punte, e l’ho superata.
Tra i coreografi con cui hai lavorato chi ti ha maggiormente ispirata e, in generale, che cosa ti hanno trasmesso questi grandi uomini di spettacolo quando a tua volta hai intrapreso la loro stessa carriera?
Penso innanzitutto a Loredana Furno, che è stata la mia Maestra per lungo tempo e che mi ha trasmesso (come d’altra parte anche il Maestro Cecchetti) grande rigore e disciplina. Ma anche a Sara Acquarone, Alberto Testa, Zarko Prebil, Ria Teresa Legnani, Luciana Novaro, Renato Greco, Tony Ventura, Flora Torrigiani, Franco Estil, Don Lurio. Un particolare ricordo mi lega a Enrico Sportiello, per la sua bravura e la grande capacità di vedere “oltre” la danza nel creare coreografie. Ognuno di loro è stato fondamentale per il mio percorso artistico. Ogni coreografo/a per “montare un balletto” (come si dice in gergo) si esprime a modo suo: c’è chi mostra ai ballerini i passi della coreografia, chi li accenna appena, chi definisce semplicemente a voce le posizioni e i passi… occorre essere preparati per afferrare al volo! Tutto è stato utile come esperienza.
Nel 1975 debuttasti come attrice al Teatro Stabile di Torino con Aldo Trionfo, uno dei fondatori del «Teatro della Tosse»; per quale motivo intraprendesti anche la strada del teatro di parola?
Avevo studiato nel frattempo anche musica e recitazione, ma l’occasione si è presentata quando un regista e autore torinese, Michele Ghislieri, ha avuto l’esigenza di inserire in una sua pièce teatrale una giovane attrice che sapesse anche danzare. Amici comuni ci hanno messi in contatto, ho ottenuto il ruolo e lo spettacolo, decisamente di “avanguardia” per i tempi, andò molto bene. Aldo Trionfo, regista e allora Direttore Artistico del Teatro Stabile di Torino, venne a vederlo e propose ad alcuni di noi attori di partecipare al debutto del Bel-Ami e il suo doppio, testo di Luciano Codignola, di cui appunto curava la regia per il TST. Soprattutto danzavamo, ma io avevo anche qualche breve “battuta”. Da quel momento ho lavorato parallelamente come danzatrice, in particolare per programmi televisivi, e come attrice teatrale, cominciando a occuparmi anche di coreografia.
Il Cinema è arrivato molto più avanti, e anche quello casualmente. Per me è stata una sorpresa: credevo che fosse più “noioso” e meno professionale recitare in un film. Invece è molto impegnativo.
Tra gli altri hai lavorato con l’attore Tino Buazzelli, il regista Mario Missiroli, il poliedrico Dario Fo, Franco Passatore, autore e regista, con il quale collaborasti come docente alla scuola del Teatro Stabile di Torino. Potresti definire ognuno di loro con un aggettivo?
Essendo stati gli artisti di cui parli, oltre che molto bravi, tutti decisamente poliedrici, è difficile definirli con un solo aggettivo. Ci provo.
Buazzelli: paziente.
Missiroli: colto.
Fo: bizzarro.
Passatore: visionario.
Considerata la tua attività di ballerina, coreografa e attrice, quanto è importante per te comunicare con il gesto e con la parola?
È fondamentale: tanto è importante la parola, quanto il modo in cui la si pronuncia e altrettanto importanti sono i gesti che l’accompagnano. Credo che gli attori siano favoriti nella comune vita di tutti i giorni, perché possono superare alcune difficoltà, o adeguarsi in qualche modo a esse, avendo acquisito un controllo sulle proprie ansie e apprensioni; possono addirittura permettersi di fingere ostentando credibilità.
Ti sei occupata dei mitomodernisti Stefano Zecchi e Giuseppe Conte; del primo hai curato l’adattamento e la messa in scena del romanzo Sensualità, del secondo la messa in scena del testo Re Artù e il senza tetto e Canti d’oriente e d’occidente. Sei stata interprete del monologo di Guido Davico Bonino dedicato alla pittrice surrealista Unica Zürn Oscura primavera…
Tra gli autori mi piace ricordare anche i comuni amici Manlio Bichiri e Giuseppe Puppo. Come scegli i testi da mettere in scena?
Comincio dal fondo. Negli ultimi anni ho pensato di dare rilievo a personaggi, o semplicemente persone, che hanno subìto ingiuste persecuzioni, se non addirittura la morte, poiché il loro pensiero e/o le loro azioni non hanno corrisposto a regole imposte o dogmi: con l’Associazione Culturale ACG di cui sono presidente abbiamo messo in scena le peripezie di Giordano Bruno (ispirandoci al bel testo di Gabriele La Porta, oltre che agli scritti di Frances Yates), di Galileo Galilei, dello stesso Carmelo Bene (mettendo in scena il testo dell’autore Giuseppe Puppo) e stiamo proseguendo in questa direzione.
Del caro amico Manlio Bichiri anni fa abbiamo rappresentato l’opera poetica esoterica Pietre scisse.
La grande stima per il filosofo Stefano Zecchi, per il poeta Giuseppe Conte, per il drammaturgo Tomaso Kemeny, tutti e tre anche rinomati scrittori, fondatori del Mitomodernismo, mi ha spinta a mettere in scena alcune loro opere, come ricordi nella domanda. Le tematiche trattate nei tre libri che hai citato mi sono molto care. Essendo trascorsi alcuni anni dalla loro pubblicazione, invito chi non li avesse mai letti a prenderne visione.
Una nota curiosa: Stefano Zecchi non aveva intitolato il suo romanzo Sensualità, che è stata una scelta dell’Editore, bensì Le rose di Calcutta, così ho scelto questo titolo per il mio spettacolo.
In quanto a Guido Davico Bonino, uno tra i migliori Docenti, Critici letterari, Scrittori della Città di Torino, sono fiera di aver messo in scena la sua biografia di Unica Zürn e soprattutto di essere stata da lui diretta in una pièce molto particolare, Una strana confessione di Herculine Barbin: la triste autobiografia di una bambina nata a Saint Jean d’Angély nel 1838 alla quale, per una variazione dei genitali in età puberale (primo caso riconosciuto di intersex in Francia), fu imposto dal tribunale di assumere sesso e nome maschili e che si suicidò all’età di trent’anni non riuscendo ad accettare il peso della situazione che si era creata sia nella sua psiche, sia intorno a lei/lui.
Per una quindicina d’anni hai curato l’aspetto teatrale dei convegni internazionali dell’Associazione Culturale «Poesia Attiva». Che cosa ha significato lavorare con i poeti e con quel “visionario praticissimo” (scusa l’ossimoro) di Emilio Gay?
È stato per me un privilegio e una crescita culturale. Le intenzioni espresse dal Presidente Emilio Gay e dai suoi collaboratori, di cui anche tu e io facevamo parte, è stata illuminante: restituire alla Poesia un posto d’onore. Visionario sicuramente, visto che in quegli anni l’Arte poetica era relegata in una sorta di second’ordine (oggi assistiamo invece a molti concorsi di poesia); insomma: un’idea meravigliosa, accompagnata da parte di Emilio, come dici tu, da un grande senso pratico. Abbiamo infatti coinvolto numerosi poeti e poetesse di cui alcuni talenti poco conosciuti, abbiamo cercato di dar loro voce.
Ho sempre amato la Poesia in quanto sintesi di concetti filosofici e spirituali.
Nel 2021 hai interpretato in teatro, Blu, adattamento dal romanzo Bleu di Maurizio Zaccaro. Come ti sei calata nei panni di un’anziana attrice di prosa che si confronta con le avvisaglie dell’Alzheimer?
Ho il terrore di cadere in una situazione simile: di non ricordare più nulla, di non sapere più chi sono io, chi sono gli altri e dove siamo. Forse non è così importante, ma per me attrice e persona curiosa di cultura e di storia, pensare di non sapere più nulla del passato e dovermi relazionare in una presenza/assenza è una gran brutta cosa. Dunque da un lato l’ho fatto per scaramanzia, dall’altro perché purtroppo ho avuto vicino a me importanti amici con questo problema, difficile da affrontare non solo per le persone che ne soffrono, ma anche per i loro cari. Lo scopo dello spettacolo è di diffondere l’argomento e raccogliere fondi per le Associazioni Alzheimer Piemonte.
Mi pare che il nuovo governo nazionale punti molto sulla cultura; qual è il tuo pensiero?
È ancora presto per dirlo. Spero che sia vero, che le persone giuste occupino i posti giusti: dal Ministro per la Cultura a ogni addetto ai lavori.
La Cultura è come il cibo; senza cibo il corpo muore, senza Cultura muore lo Spirito.
Category: Cultura
Intervista molto interessante.
Anna
Anna Cuculo:una Donna
grandiosa,da ammirare per la sua splendida carriera artistica,e la vasta cultura di cui è dotata.Complimenti!!