COME ERAVAMO / IL LATTE CHE PORTAVA PANICO
di Raffaele Polo ______
Abitavo in pieno centro storico, a Lecce. In vico delle Giravolte al numero 50, proprio sulla Corte della Torre dei carretti e all’angolo di via Quinto Ennio e via dei Figuli (questo elenco di nomi è per far comprendere meglio quale sia l’humus, lo spirito più nascosto della ‘vecchia Lecce’, se volete posso aggiungere che lì vicino c’era Vico del Pittacio che era indicato così all’inizio del vicolo, e finiva per diventare ‘Pittaccio’ con due ‘c’ dove finiva, sotto alcune travi che mantenevano, letteralmente, i muri delle due costruzioni che si fronteggiavano. E propri da lì si sboccava in via Santa Maria del Paradiso, bellissima intestazione per uno scorcio di strada completamente priva di abitazioni ma frequentata in maniera pesante dai cani che la preferivano per le loro deiezioni.
No, a quei tempi, non c’era l’uso di raccogliere e pulire, anzi, era una sorta di vanto lasciare vistosi segnali prodotti dai propri animali in bella vista…).
La mattina, ogni mattina presto, verso le 7, nell’atrio del portone, rimbombava il grido della lattaia che portava il latte a domicilio ma le scale non le faceva, quelle scale dei palazzotti leccesi, coi gradini larghi e il perenne puzzo di gatti, hai voglia a usare candeggina e altri detersivi, ormai quello era l’odore e finivi per abituarti.
La lattaia, dunque, gridava; “Signora Pànico!” e la sua robusta voce rimbombava fino al secondo piano e, anzi, si ampliava in maniera incredibile. Ora, bisogna specificare che la signora in questione, aveva, di cognome, Panìco, con l’accento sulla ‘i’. Anzi, neanche quello era il suo cognome ma c’era scritto così sullo stinto fogliettino della cassetta delle lettere, la sua era quella centrale, più grande delle altre che erano tutte di materiale e colore diversi, come si usava a quei tempi.
Ora, nel cognome non c’era l’accento, e la lattaia chiamava ‘Pànico’ e nessuno diceva niente… Le confezioni di latte erano a piramide, definite tetraedro, erano prodotte dalla Centrale del latte di Lecce, erano bianche e azzurre, con lo stemma della lupa leccese in bellavista.
La Centrale del latte, a quel tempo, non sono mai riuscito a capire esattamente dove fosse, so solo che non ha avuta lunga vita, improvvisamente sono scomparse le piramidi di cartoncino e non si è più parlato di latte leccese… Anche la lattaia non è più passata, la mattina presto. E la signora Panìco, che abbiamo incontrato per le scale, ha chiarito che, lei, non si chiamava proprio così, ma come spiegarlo alla lattaia? Anche perché il suo cognome, non era proprio possibile gridarlo nell’androne della scala, mi ricordo che era ‘Disansebastiano’…
Al mercatino delle vecchie cose abbiamo poi reperito una bottiglia di vetro massiccio e trasparente, con impresso lo stemma della città di Lecce. ‘C’era la chiusura con la stagnola’ ha detto mio padre. Che ha aggiunto ‘Ma è durata poco…’
Anche quella… Doveva proprio essere una consuetudine che il latte, a Lecce, dovesse cambiare spesso padrone. De Bellis, quello sì che è durato un po’ di più, lo stabilimento era nei pressi dei Salesiani, forse funziona ancora…
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Quella bottiglia di vetro, che conteneva il latte, evoca nella memoria il tempo della mia infanzia quando la storica bottiglia era la normalità quotidiana. Già prima, ricordo vagamente la figura minuta del lattaio che passava sotto casa con il suo piccolo moto-carro per distribuire il latte contenuto in recipienti di alluminio… Con la Centrale del latte, arrivarono le mitiche bottiglie con il tappo di stagnola rosso o azzurro dove spesso ci facevo un buchino per assaggiarne un po’…Successivamente arrivarono le confezioni in tetrapack a forma piramidale, ma il fascino antico di quella bottiglia mi riporta indietro a quel sapore speciale di un alimento nutritivo tuttora necessario per la crescita individuale… Peccato che con l’età adulta,quella squisitezza possa diventare soltanto un dolce ricordo…!