MATTEO MESSINA DENARO E’ STATO ARRESTATO. E ADESSO?
di Dario Fiorentino ______
Trent’anni e un giorno dopo l’arresto del “capo dei capi”, Salvatore, Totò, Riina, ecco che cade nella rete dei Carabinieri del ROS il latitante italiano più ricercato in assoluto, il numero 1, Matteo Messina Denaro. Il boss Messina Denaro, il “figlio d’arte” cresciuto alla “scuola” del padre Francesco – latitante pure lui, ma morto in assoluta libertà di movimento nelle campagne tra il trapanese e il palermitano – e dell’altro padre, quello putativo, Totò Riina.
“Una grande vittoria dello Stato che dimostra di non arrendersi di fronte alla mafia”, ha commentato subito dopo l’arresto, il presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, porgendo i più vivi ringraziamenti alle forze di polizia, ROS in testa, alla Procura nazionale antimafia e alla Procura della Repubblica di Palermo per la cattura del “padrino” che nell’immaginario collettivo avrebbe assunto le redini dell’organizzazione mafiosa siciliana succedendo ai ben più “blasonati” Riina e Provenzano.
Segue a ruota il vice-premier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, per il quale “con l’arresto di Matteo Messina Denaro l’Italia assesta un duro colpo alla mafia”. Dello stesso tenore trionfalistico i commenti di altri importanti esponenti politici, da Crosetto a Renzi, fino a Musumeci e a Delmastro Delle Vedove, attuale sottosegretario alla Giustizia, passando per l’immancabile Salvini, sempre emozionato quando “vince lo Stato”; e quando si ottengono “simili risultati storici” come afferma il ministro dell’Interno Piantedosi. Insomma, un bel giorno, secondo quanto twitta Pier Ferdinando Casini, seguito in quest’idea da molti altri personaggi del panorama politico e amministrativo, siciliano e nazionale.
Anche se sembra passare in secondo piano il fatto che ci siano voluti trent’anni per catturare un latitante che ha trascorso almeno tre quarti della propria vita da ricercato in un’epoca contraddistinta da straordinari progressi tecnologici nelle tecniche investigative. Progressi che pare non abbiano comunque impedito a Messina Denaro di vivere in maniera lussuosa, di intrattenere relazioni amorose, di coltivare la passione per i puzzle complessi oltre che per le salse austriache e per i videogiochi, portando gli inquirenti ad indagare anche nel mondo virtuale dei social network e della messaggistica inerente ai giochi per console e PC.
È stato cercato in mezzo mondo prima di essere catturato “sotto casa”, mentre faceva colazione in un bar accanto alla clinica che gli dispensava certe cure, probabilmente per un tumore. A Palermo. In città. Dopo che, ogni volta che è stato sul punto di essere neutralizzato, lungo gli ultimi tre decenni, quando si riusciva perfino a sentire “l’alito” del fuggitivo secondo alcune testimonianze, tutto ciò che restava in mano agli investigatori non era altro che un letto dalle lenzuola ancora calde oppure un posto vuoto a tavola, col piatto fumante, pronto ad essere consumato.
Allo stesso modo a noi non resta altro che riflettere su insinuazioni e dietrologie: per eventuali protezioni istituzionali e politiche, “dall’alto” come si suol dire, le quali avrebbero allungato oltremodo la latitanza di Messina Denaro; ovvero di un personaggio che assurge al rango di capo-mafia in un momento delicatissimo della storia di Cosa Nostra, un momento al crocevia tra le condanne definitive al maxi-processo di Palermo iniziato nel 1986, gli omicidi spettacolari di Falcone e Borsellino, periti in attentati alla bomba nei quali perdono la vita numerosi agenti delle rispettive scorte e le stragi continentali del 1993 a Milano, Firenze, Roma, perpetrate tra l’arresto di Riina e quello del cognato, Leoluca Bgarella.
Un frangente storico durante il quale Messina Denaro rimette insieme le rovine di Cosa Nostra e la modernizza, globalizzandola e conducendola in maniera definitiva e irreversibile nel mondo della legalità imprenditoriale, quel mondo proteiforme e grigio nel quale si stipulano compromessi inconfessabili di ogni genere.
L’uomo della svolta insomma, una svolta per l’organizzazione mafiosa condotta combinando metodi antichi e moderni, come stragi e pizzini unitamente alla finanziarizzazione della impresa-mafia SPA.
L’uomo che, secondo alcuni, conosceva i retroscena di una trattativa tra politica e mafia capace di imbarazzare personaggi insospettabili, per la quale sarebbe entrato finanche in possesso di certa documentazione originariamente nelle mani di Riina.
Quanto sarebbe convenuto arrestare un personaggio simile, esposto poi al rischio di pentirsi e di parlare, essendo personaggio distante anni luce da quell’austerità rurale tipica di un Provenzano?
Non si sa.
Anche se suonano inquietanti le parole del pentito Baiardo, uomo di fiducia dei fratelli Graviano, pronunciate nel novembre del 2022, durante un’intervista rilasciata all’aperto a Massimo Giletti per il programma Non è l’Arena e riproposta in queste ore in maniera quasi schizofrenica da tutti i media. Parlando dei fratelli Graviano per i quali aveva organizzato e gestito la latitanza, Baiardo aveva detto: “L’unica speranza e me lo auguro anche io per loro, perché sono giovani, è che venga abrogato l’ergastolo ostativo e che comincino a godersi la famiglia, i figli […] E magari chi lo sa che avremo un regalino. Magari presumiamo che un Matteo Messina Denaro sia molto malato, che faccia una trattativa lui stesso per consegnarsi e fare un arresto clamoroso? Così arrestando lui magari esce qualcuno che ha l’ergastolo ostativo senza che ci sia clamore…”.
Un’operazione, l’eventuale arresto di Messina Denaro, che rappresenterebbe “un fiore all’occhiello” per il nuovo governo, lascia intendere Baiardo, rievocando innanzi ad un attonito e balbettante Giletti il precedente della cattura di Riina, la concordanza cronologica tra la promessa del generale dei carabinieri Delfino di fare un “regalo” all’allora ministro di Grazia e Giustizia Claudio Martelli e quel 15 gennaio di trent’anni fa che segnava la caduta del capo indiscusso di Cosa Nostra.
Un’intervista dunque che stimola più di un interrogativo se riascoltata o riletta in retrospettiva.
Non resta che attendere le prossime mosse del governo che nonostante i trionfalismi odierni potrebbe trovarsi in una situazione scomoda e al limite dell’imbarazzo se Baiardo dovesse continuare ad avere ragione a proposito di determinati ragionamenti deducibili dalle sue parole.
D’altronde, come ha detto a Giletti, la trattativa Stato-mafia non è mai finita; ma probabilmente non si tratta soltanto di quella inerente al processo per i fatti stragisti del 1993, bensì del patto che dal 1861 ha fatto in modo che la mafia diventasse un vero e proprio soggetto politico.
Al netto di Messina Denaro e di chi verrà dopo. Che è sempre transeunte innanzi alle strutture della Storia.
Si capiva che c’era sotto qualcosa… Bravo !