COME ERAVAMO / MA COSA SONO LE CIARAMELLE?!?
di Raffaele Polo ______
Tutti, ma proprio tutti quelli della mia generazione, ricordano almeno una ‘poesia di Natale’. Perché noi siamo venuti su con il libro di lettura e il sussidiario. E, nel libro di lettura, ordinate secondo il trascorrere dei mesi (da ottobre, che il 1° del mese iniziava la scuola, senza differenze, e finiva poi a giugno. E le partite si giocavano tutte il pomeriggio della domenica, e sempre la domenica tutti i negozi erano chiusi, e la benzina costava a tutti i distributori lo stesso prezzo, e i voti sulla pagella erano scritti in bella calligrafia, andavano da uno a dieci, e nella calza della Befana il carbone era vero, altro che zucchero…) dicevamo, nel libro di lettura, c’erano le poesie tradizionali dei poeti che ricordiamo ancora adesso: Pascoli, certamente. Ma anche Guido Gozzano, Zietta Liù, Angiolo Silvio Novaro, Renzo Pezzani…
E allora, con un moto di fastidio, che però passava subito, eccoci a ‘dover’ imparare la poesia per Natale, leggerla e ripassarla per ore, in quei lunghi pomeriggi freddi e pesanti, pomeriggi di attesa, di conciliaboli in vista delle spese da farsi per le Feste, i compiti scritti li avremmo frettolosamente eseguiti sul quaderno il sei gennaio, a sera, proprio agli sgoccioli di quelle meravigliose vacanze che, purtroppo, sono passate come un soffio.
Restava la poesia. ‘Ma è lunga!’, protestavamo subito, con sguardo accigliato. ‘Dai, coraggio, ce la farai!’ diceva la mamma. E, per incoraggiarci, cominciava lei a leggere: “Udii tra il sonno le ciaramelle,/ho udito un suono di ninne nanne./Ci sono in cielo tutte le stelle,/ci sono i lumi nelle capanne…”
“Le ciaramelle, mamma, cosa sono? Non le ho mai viste..” E’ vero, da noi le ciaramelle non c’erano, quei suoni dolci e lamentosi potevamo solo immaginarceli. E andavamo avanti, la poesia diveniva complicata, non ne comprendevamo vocaboli e parti fondamentali, ma anche così ci toccava dentro, ci faceva commuovere, un nodo alla gola nel pronunciare ‘suono di chiesa, suono di chiostro,/ suono di casa, suono di culla,/ suono di mamma, suono del nostro/ dolce e passato pianger di nulla.’
Ci veniva di chiedere chi erano quei bambini della poesia che piangevano per nulla, ma sentivamo che c’era qualcosa, più grande di noi, che andava solo ripetuto e considerato, in silenzio.
Meglio, molto meglio, la cadenzata ‘Notte Santa’ di Guido Gozzano con il campanile che scocca le ore, lentamente. E Maria e Giuseppe che si alternano a cercare ospitalità in quegli improbabili ostelli dai nomi di chiara fantasia: Caval Grigio, Cervo Bianco, Tre Merli… Ma poi tutto si risolve lietamente, nasce il Bambino ed è con un sospirone che quasi gridavamo ‘E’ nato! Alleluja! Alleluja!’ mettendoci tutta la nostra gioia di bambini che…hanno imparato la poesia.
Altri tempi, niente da ridire.
Adesso, queste poesie non le conosce più nessuno.
Solo con quelli della mia generazione (i supermercati non esistevano, c’erano ancora e sempre le lire, la Tv era agli esordi con un solo canale e nessun giocatore aveva il nome scritto dietro la maglietta, ma figuriamoci!) dicevamo, solo con quelli della mia generazione c’è un brillio negli occhi, un velocissimo rimpianto, un accenno di commozione. Ma dura solo un attimo, non può e non deve durare di più, anche se avremmo tanta voglia di alzarci dalla sedia e compitare seriamente; “La Befana sta sul monte./ Ciò che vede è ciò che vide;/ c’è chi piange e c’è chi ride;/ essa ha nuvoli alla fronte,/ mentre sta sul bianco monte.”
Category: Costume e società, Cultura