DI FEDERICO II, DI LECCE E DI PALERMO, DI LINGUA DEL SUD, DI AMORE E DI POESIA, UNA SERATA BELLISSIMA
di Giuseppe Puppo ______
‘C’è la guerra, c’è la crisi economica e voi ve ne state là a parlare di origini della lingua italiana?’.
Si ferma un attimo, come in un retro-pensiero, Lara Carrozzo, in apertura dei lavori, impeccabile nella posa e nella conduzione, pur sotto le luci delle telecamere che certo non raffrescano l’aria dell’interno sera di una caldissima estate salentina, con fuori, stremata dalla cappa di calore, solitaria e deserta, tutta Squinzano che fatica a respirare.
Si ferma un attimo, si fa la domanda, e si risponde.
Sì, ce ne stiamo qui, in presenza – collegati via web col resto del mondo e non so in che altre registrazioni con chi abbia voluto seguirci, in streaming, come dicono quelli che parlano bene l’italiano – perché la cultura è Bellezza, e la Bellezza è l’ultima speranza che ci resta, di migliorare noi stessi, e di poter cambiare in meglio il mondo. Noi e la poesia, che poi è una delle poche cose rimaste ancora capaci di prendere la mente e di far fremere il cuore.
La tesi dell’italiano – a proposito – che ha le sue origini nella lingua del Sud fra Palermo, Messina e Lecce ai tempi di un imperatore che chiamarono la meraviglia del mondo, amante della cultura e poeta egli stesso, oltre che statista moderno, direi contemporaneo anzi, è stata già ampiamente trattata da illustri accademici e ampiamente assodata.
Questa sera è come una passerella, una vetrina, un gioco di citazioni e di allusioni, di tutto un percorso che si è snodato nei mesi scorsi, di trattazioni, di atti accademici, di studi e di acquisizioni.
A proposito di giornalisti, c’era pure in collegamento il decano dei giornalisti salentini Marcello Favale, giovanissimo nella sua curiosità e nel dispiegare il suo intervento tutto quanto giocato sul filo delle esperienze personali. Ah, dice una cosa giustissima, in dono di sintesi, che mi piace ripetere qui e sottolineare, il fatto, cioè, dell’occasione persa e pagata in schiavitù per secoli della nostra Italia di diventare sotto Federico II un moderno stato unitario, a causa del Papato. Amen.
Da Palermo c’è collegato Fonso Genchi, insigne studioso di lingua e dialetti, che sostanzia con chiarezza e leggerezza un resoconto accademico.
E in studio c’ero sempre pure io.
Ho buttato là un paio di provocazioni, se no che c’ero andato a fare? che, cioè, l’italiano oggi lo parlano bene solo gli immigrati stranieri, dal momento che per qualche anno lo studiano, se non altro per ottenere la cittadinanza, mentre gli Italiani non studiano più niente e parlano l’italiano del ragionier Ugo Fantozzi. E che il nome del nuovo partito proprio oggi fondato nei Palazzi del potere non doveva essere a mio modo di intendere ‘Insieme per il futuro’, bensì ‘Insieme per il congiuntivo’.
Ho letto poi in duplice analisi comparata un componimento di Pier delle Vigne e uno, di cinquant’anni successivo, di Guido Guinizelli, per far risaltare i passaggi successivi dal primo all’altro, oltre alla naturalezza che si sente a tutto tondo del lessico adoperato da ‘colui che tenne del cor di Federico ambo le chiavi’.
Avrei voluto leggerne un altro, una chicca a mio modo di intendere, in quanto dimostra che l’italiano del Sud era adoperato a livello popolare, quindi parliamo di lingua del popolo e della vita quotidiana, già agli inizi del Milleduecento.
Non ce n’è stato il tempo, l’ora e mezza prefissata è volata via in un baleno.
La metto qui, la chicca.
Allora, tutti noi salentini conosciamo le filastrocche, li cunti, le facezie basate sui dialoghi fra madre e figlia, madre più o meno severa e figlia più o meno svergognata, che per secoli hanno generato culacchi e canzoni.
Bene, ora, in conclusione, vi riporto un frammento in italiano del Sud quando agli inizi del Milleduecento l’italiano si stava formando, è un frammento anonimo, ma di senso compiuto, in cui una madre rimprovera alla figlia di aver dato troppa confidenza ad un pretendente per farsi sposare, da notare i riferimenti para sessuali, ma lasciati quale semplice allusione, poi fate voi…
Oh figlia, non pensai
sì fosse mala tosa,
chè ben conosco ormai di che sei golosa,
chè tanto n’ai parlato
non s’avene a pulcella,
credo che l’ai provato
sì ne sai la novella.
Lascioti dolorosa …