MARTINA ZECCHINO, IL MALE NELL’ANIMA. IL TERRIBILE FLAGELLO DELLA DROGA DIETRO LA SUA MORTE ATROCE
di Flora Fina ______
Si aprono in queste ore nuovi scenari sulla tragica morte di Martina Zecchino, la giovane di 23 anni ritrovata senza vita in una grotta della gravina di Massafra giovedì 12 maggio.
Secondo fonti qualificate interpellate da leccecronaca.it, è infatti al momento iscritto nel registro degli indagati il giovane convivente della ragazza, che – secondo le circostanze finora emerse – avrebbe dato per primo l’allarme dopo la tragedia.
Non solo. Da qui, una serie di sviluppi.
Le accuse, mosse dal sostituto procuratore della Repubblica Antonio Natale, sono in particolare di morte per conseguenza di altro reato: è quanto emerge dall’avviso di garanzia notificato nelle scorse ore dalla procura ionica e con il quale il pm Natale ha disposto l’autopsia sul corpo della ragazza.
Sarà difatti l’esame autoptico a determinare con chiarezza le cause del decesso, poiché, fin dal primo momento, i Carabinieri avevano ipotizzato che la morte potesse essere la conseguenza di un’overdose di stupefacenti: ora toccherà al medico legale Marcello Chironi confermare o smenire la tesi degli inquirenti secondo i quali la ragazza è deceduta in seguito a un mix letale di cocaina e metadone.
Tuttavia in relazione al reato ipotizzato dalla stessa Procura, emergono ulteriori dettagli che rendono questa vicenda più intricata e a tratti nebulosa sotto determinati punti di vista.
Secondo una prima ricostruzione da parte degli investigatori – e basata sulle stesse dichiarazioni di Russo – il 25enne avrebbe dato l’allarme dal telefono della madre poco dopo aver rinvenuto il corpo senza vita della povera Martina, chiamando così prima il 118 e poi i Carabinieri che da quel momento lo hanno interrogato due volte al fine di ricostruire gli ultimi momenti di vita della ragazza e valutare le eventuali responsabilità penali di chi si trovava con lei.
Non solo: nel primo interrogatorio – come persona informata sui fatti – il giovane avrebbe raccontato che si trovavano in quella grotta da tre giorni insieme a una terza persona con la quale avrebbero dovuto condividere stupefacenti. Tuttavia, secondo il racconto di Russo, quando Martina ha iniziato a fumare la sostanza stupefacente, avrebbe impedito agli altri due di servirsene decidendo di fumare l’intera dose da sola, iniziando a pretenderne poi altra ancora dal suo convivente, che in quel momento non aveva però il denaro necessario ad acquistarne ulteriori dosi.
Martina – sempre nel racconto dell’indagato – avrebbe di conseguenza dato in escandescenze, e, in un impeto di rabbia avrebbe raccolto da terra una siringa per bucarsi: in quegli attimi di concitazione, secondo le dichiarazioni addotte dallo stesso Russo, si sarebbe ferita per poi essere immediatamente medicata.
Placati momentaneamente gli animi, la terza persona presente in quei momenti si sarebbe dileguata in preda al panico, e successivamente, con il favore del buio poiché era giunta la notte, Martina ne avrebbe approfittato per alleviare il suo forte bisogno di sostanze per tornare in quella grotta da cui non avrebbe fatto più ritorno; addormentatosi il convivente infatti, si sarebbe appropriata del metadone che Russo aveva nel suo giubbotto e lo avrebbe iniettato nel suo corpo con un’altra siringa trovata lì sul posto.
Un mix fatale che non le avrebbe lasciato scampo e che l’ avrebbe lasciata inerme per terra, fredda ed immobile: inutili gli interventi da parte dei soccorsi e dei militari che ne avrebbero constatato dunque l’avvenuto decesso.
Una morte dunque non scontata, ma frutto dell’oblio e dell’alienazione che solo un male instancabile e pressante come la droga può generare: l’autentico male che da anni e anni soggioga intere generazioni di giovani e giovanissimi, lasciando attoniti e sconvolti dagli effetti sociali e sull’aspettativa di vita che continuamente si ripercuotono nella nostra civiltà.
Martina insomma – al di là di quelli che saranno gli esiti giudiziari della vicenda, se e quando ci saranno – è stata vittima di un carnefice senza volto, fautore di dolori dell’anima, estirpatore di certezze, creatore di dipendenze dannose ma impalpabili: questa è la droga, che nulla ha di stupefacente, nemmeno negli ultimi attimi di vita di un essere umano, che, come nel caso di questa giovanissima ragazza, lascia in balia del nulla più assoluto un bambino piccolissimo, che ancora attende il ritorno a casa della madre.
E’facile, facilissimo cadere vittima della droga, è difficile, difficilissimo, pur volendolo, venirne fuori.
È un flagello che continua a imperversare in forme e dimensioni impressionanti, spesso silenti – ed è qui la sua vera letalità – alimentato da un mercato turpe, che scavalca confini nazionali e continentali, raggiungendo finanche i nuclei più piccoli della nostra società: le famiglie, su cui si basano intere civiltà del genere umano.
Comunque sia, le drammatiche circostanze delle dichiarazioni rese nel primo interrogatorio dall’indagato alimentano pareri contrastanti che hanno richiesto nuove conferme alla presenza però di un avvocato difensore, ed in questo ultimo caso, è stato l’avvocato Domenico Bavaro ad assistere il giovane convivente di Martina nel secondo interrogatorio, dal quale è emerso poi – rispondendo alle domande degli inquirenti – che ci sono conferme concrete e sostanziali in merito al suo racconto su una serie di punti sui quali i militari nutrivano dubbi.
Intanto sabato scorso, il pm Antonio Natale ha conferito l’incarico al dottor Marcello Chironi che dovrà eseguire l’autopsia e fornire risposte anche ai familiari della vittima, rappresentati dall’avvocato Fabrizio Luigi Izzinosa.
Martina non c’è più, adesso ci sono solo tante domande, alle quali qualche risposta bisognerà pur dare. ______
LA RICERCA nel nostro articolo del 15 maggio scorso
LA TRAGICA MORTE A MASSAFRA DI MARTINA ZECCHINO, LA RAGAZZA ALLA QUALE FACEVA MALE L’ANIMA
Category: Cronaca