MA NELL’AGNELLO DI PASTA DI MANDORLA, CI VA IL LIQUORE STREGA, OPPURE E’ MEGLIO L’ALCHERMES?
di Raffaele Polo______
Adesso che si avvicina Pasqua, rispolveriamo tutte le belle tradizioni, quelle che ci hanno accompagnato sin da bambini.
Oltre alle uova di Pasqua ed alla Colomba, che abbiamo già comprato e sono nel loro giusto posto, ovvero sopra all’armadio, che si devono solo vedere, da aprirsi e consumarsi solo il giorno di Pasqua, a pranzo, guai a farlo prima, un’altra tradizione ce la teniamo stretta e cerchiamo di realizzarla anche questa volta: la confezione degli agnelli di pasta di mandorla.
Con la forma di gesso che viene portata in eredità da madre in figlia (e guai a romperla. Dove andremmo a trovarne un’altra?) abbiamo derogato solo nella macinazione delle mandorle. ‘Stavolta, siamo andati dalla pasticceria e con modicissima spesa abbiamo ottenuto la preziosa pasta di mandorla, consegnando un chilo di mandorle e un chilo di zucchero, ci sono rimasti anche 300 grammi di zucchero.
Ora, siamo seduti al tavolo, circondati dagli ingredienti: i savoiardi, il caffè, il liquore Strega, il cioccolato…E riprendiamo, con piacere, i compiti che ci avevano assegnato da bambini: ovvero sminuzzare la grossa stecca di cioccolata e poi rigirare i savoiardi nel caffè. Credetemi, è il momento più bello della preparazione, mentre la soffice ma compatta pasta di mandorla viene premuta nella forma, siamo pronti a farcirla con il nostro preparato…
Per il liquore, quest’anno abbiamo deciso di affiancare al tradizionale ‘Strega’ l’Alchermes, ovvero l’introvabile rosolio, in onore e ricordo della nonna che tale liquore centellinava in quei bicchierini minuscoli, fatti a posta perché il liquore non si sprecasse…
Insomma, perpetuiamo gli antichi gesti, quando la forma è completata, viene il momento più difficile, perché dobbiamo guarnire ed abbellire l’agnello che, di solito, è accosciato e con la testa rialzata. Ecco, è proprio la testa che va curata, bisogna inserire un chicco di caffè come occhio, e con un po’ di candito rosso, fissare la bocca.
Poi c’è la colorazione acquerellata col liquore e infine lo stendardo che è la parte più difficile da recuperare. Non li vendono più, io ricordo che andavamo da Mele, in viale Lo Re, aveva veramente tutto, la mamma comprava il necessario e anche le fialette con le essenze per i liquori, ricordo ancora quegli strani nomi: Curacao, Doppio kummel, Cherry brandy, Maraschino, Crema caffè… Ma il pezzo più pregiato era il vessillo col drappo rosso, c’era quello bordato di oro, ve n’erano di tutte le dimensioni, anche con la scritta ‘Pax’.
Nello scatolone delle cianfrusaglie ne debbo avere ancora uno, ma questi nostalgici oggetti perdono il loro fascino, se tentiamo di imitarli: col computer, infatti, ho provato a stamparne uno, da fissare con lo stecchino all’agnello appena confezionato. Mi sono vergognato io stesso del risultato finale dell’operazione…
Niente, solo all’agnello capostipite toccherà il vessillo, retaggio di quelli conservati dai nonni. Per gli altri, solo chicco di caffè e candito.
‘Del resto, vanno mangiati, no?’ dice mio cognato, con logica tutta materialista e venata di marxismo.
Ma viene subito azzittito e allontanato dalla tavola. Mi sa che, anche quest’anno, si è giocato l’assaggio dell’agnello di pasta mandorla, anche quello senza stendardo. ______
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