MA CHE RICORSO HA FATTO LA REGIONE PUGLIA? LA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA CI HA RIPORTATO OGGI L’INCUBO TRIVELLE NEI NOSTRI MARI – approfondimento
di Giuseppe Puppo______ La notizia di oggi è che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha sostanzialmente dato torto alla Regione Puglia che aveva fatto ricorso contro le quattro concessioni ottenute nel mare Adriatico, al largo della costa pugliese, dalla società australiana Global Petroleum.
Quindi è un sostanziale via libera alle trivellazioni.
Secondo il pronunciamento di oggi “è conforme al diritto Ue il fatto che uno Stato membro dia più permessi di ricerca sugli idrocarburi allo stesso operatore, anche se le attività insistono su zone contigue”.
Questa vicenda specifica – purtroppo, ce ne sono in ballo altre – comincia nel 2013 quando la Global Petroleum presentò quattro richieste al Ministero dell’Ambiente per ottenere altrettanti permessi di ricerca di idrocarburi in aree adiacenti nel mare Adriatico, ognuna delle quali riguardava un’area dalla superficie di poco inferiore al limite massimo di 750 chilometri quadrati di aree da destinare alla ricerca di fonti fossili secondo la normativa italiana.
Nel 2016 e nel 2017, poi, le autorità italiane hanno dichiarato la compatibilità ambientale dei quattro progetti di Global Petroleum.
Erano gli anni dei governi targati Pd dei vari Letta, Renzi e Gentiloni, che si trasformarono in un’autorizzazione continua alle trivellazioni nei nostri mari.
Sempre limitatamente a questo caso, che arriva alla sentenza di oggi dopo un pregresso fatto di passaggi fra Tar e Consiglio di Stato, la Regione Puglia ha sostenuto che sia stata aggirata la normativa italiana.
Ma come detto si è vista dare torto:
“la direttiva europea impone trasparenza e non discriminazione nell’accesso ad attività di[esplorazione di idrocarburi e nel loro esercizio, al fine di favorire la concorrenza e rafforzare l’integrazione del mercato interno dell’energia, con lo scopo di garantire la concorrenza per le autorizzazioni tra il maggior numero possibile di operatori idonei, siano tali operatori soggetti pubblici o privati, indipendentemente dalla loro nazionalità, in modo da favorire il migliore sfruttamento possibile delle risorse di idrocarburi situate nell’Unione”.
Detto ciò, il contentino dato dalla Corte è che le autorità nazionali, “quando si trovano a dover effettuare una valutazione di impatto ambientale, devono tenere conto dell’effetto cumulativo dei progetti, al fine di evitare che la normativa dell’Unione in materia ambientale sia aggirata tramite il frazionamento di più progetti che, considerati congiuntamente, possono avere un notevole impatto ambientale”.
L’impressione è che il ricorso della Regione Puglia dovesse puntare su questo aspetto concreto, quello ambientale, e non come fatto su questioni astratte.
E’ noto infatti l’impatto devastante che le trivellazioni hanno sui nostri mari per l’effetto nocivo dei cannoni ad aria che utilizzano sulla fauna, sul crescente livello di acidificazione e dell’inquinamento acustico sottomarino.
E’ anche per questo che, in ossequio al “principio di precauzione”, i permessi di ricerca dovrebbero essere negati.
L’assessore regionale all’ Ambiente Anna Grazia Maraschio ha così commentato oggi a caldo: “Non è una notizia che mi rallegra, confidavamo e confidavo in una decisione di tipo diverso. Adesso apriremo immediatamente una riflessione e vedremo cosa poter fare”.
Magari fare meglio i ricorsi, no?
Se no rimane il sospetto che siano sempre i soliti ricorsi come quelli su tante altre questioni tanto per alla Michele Emiliano…
Ricordiamo che in Italia fallì il referendum del 17 aprile 2016 che aveva lo scopo di abrogare la disposizione con cui la durata delle concessioni per l’estrazione di idrocarburi in zone di mare entro 12 miglia nautiche dalla costa era stata estesa sino all’esaurimento dei giacimenti. Infatti, malgrado la netta preponderanza dei sì (pari all’85,85% dei voti validi), il referendum non produsse effetti poiché non raggiunse il quorum previsto del 50 %, avendo votato soltanto il 31,19% degli aventi diritto.
Comunque il 13 febbraio 2019 (governo Conte I), entrò in vigore l’obbligo per i titolari di concessioni di permessi di prospezione e ricerca d’interrompere tutte le attività in corso di esecuzione, fermo restando l’obbligo di messa in sicurezza dei siti interessati dalle stesse attività, disposizione contenuta nel disegno di legge così detto ‘Semplificazioni’.
Contestualmente – ma la vicenda è molto più complessa di come stiamo cercando di semplificarla giornalisticamente – un decreto legge aveva assegnato al ministero dell’Ambiente e allo sviluppo economico il compito di redigere entro due anni il piano dove vietare o autorizzare le trivellazioni in mare e in terra, termini scaduti il 13 febbraio 2021 senza che il piano sia stato mai fatto.
Il sospetto è che, piuttosto che di negligenza, si sia trattato di strategia programmata da parte dei Cinque Stelle.
Inoltre la precedente moratoria non è stata rinnovata, o prorogata.
Intanto, con periodici contrasti apparenti tutti quanti anch’essi teorici all’interno del governo Conte II, e in questi mesi di governo Draghi. l’intera questione è rimasta sostanzialmente irrisolta, vale a dire che le decine di autorizzazioni concesse in passato, per quanto non operative, potrebbero diventare operative da un giorno all’altro.
Non ci sono purtroppo solo le quattro della Global Petroleum in divenire. Ce ne sono altre date alla Global Med e alla Northern Petroleum, multinazionali specializzate in ricerche inutili, dannose, pericolose, buone solamente per profitti degli speculatori, e dei politici loro camerieri.
Negli anni scorsi in Puglia e nel Salento in particolare si sviluppò una protesta popolare, partecipata, trasversale ,convinta e convincente.
Sembrerebbe che non sia servita a molto
Bene, allora è ritornato il omento di riprendere la lotta di popolo.
Il Presidente della Regione Puglia Michele Emiliano dichiara: “La Corte rimette al Giudice nazionale (il Consiglio di Stato) la questione relativa alla valutazione di impatto ambientale dando indirizzo perché essa sia svolta sommando ogni singola autorizzazione alla prospezione e ricerca di idrocarburi in mare, e quindi accogliendo nella sostanza le preoccupazioni della Regione Puglia sulla raffica di autorizzazioni contigue rilasciata nel mare della Puglia.
In questo modo sarà possibile mettere un freno a questa modalità legittima, dice la Corte, ma che non può aggirare le normative sulla valutazione di impatto ambientale.
Il ricorso della Regione Puglia non è stato respinto perché la palla è ritornata al Consiglio di Stato che deve ancora decidere.
Adesso in compresenza di più autorizzazioni su aree contigue, in termini cumulativi, sarà più difficile ottenere una valutazione di impatto ambientale positiva.
Sul punto la Regione ha infatti formulato specifico motivo di appello e, peraltro, lo stesso Consiglio di Stato in sede di rinvio alla Corte di Giustizia aveva precisato che la tecnica dell’air-gun (consistente nell’utilizzare un generatore di aria compressa ad alta pressione) per generare onde sismiche che colpiscono il fondale marino, può essere dannosa per la fauna marina.
Pertanto la Corte di Giustizia, benché la questione pregiudiziale verta sulla possibilità che uno stesso operatore richieda più autorizzazioni alla ricerca, ha indicato al Giudice nazionale la necessità, sotto il profilo ambientale (direttiva VIA), di verificare se siano stati considerati gli effetti cumulativi dei progetti oggetto di giudizio.
Afferma infatti la Corte che spetta alle autorità nazionali competenti tener conto di tutte le conseguenze ambientali che derivano dalle delimitazioni nel tempo e nello spazio delle aree oggetto dei permessi di ricerca degli idrocarburi, per evitare una elusione della normativa dell’Unione (direttiva VIA), tramite il frazionamento di progetti che, messi insieme, possono avere un impatto notevole sull’ambiente.
Quindi se è vero che la normativa italiana, che consente ad uno stesso operatore di richiedere ed ottenere più autorizzazioni alla ricerca di idrocarburi, non contrasta con il diritto dell’Unione, è anche vero che in sede di valutazione dell’impatto ambientale (a norma dell’art.4 paragrafi 2 e 3 della direttiva VIA) deve essere valutato anche l’effetto cumulativo dei progetti che possono avere un impatto notevole sull’ambiente”.