CAVTAT, LA PRIMA NAVE DEI VELENI
Riceviamo e volentieri pubblichiamo. Giovanni D’Agata, presidente dell’associazione Sportello dei Diritti, ci manda il seguente comunicato, cui abbiamo aggiunto in coda un approfondimento in sintesi giornalistica della vicenda passata alla Storia come ‘Golpe Borghese’______
Golpe Borghese e Nave “Cavtat” ? 47 anni dall’affondamento dell’imbarcazione e di quei bidoni tossici al largo di Otranto. Lo “Sportello dei Diritti”: a quasi cinquant’anni dal naufragio ancora silenzio nonostante i nostri ripetuti appelli. Perché non si vogliono verificare le condizioni del relitto? Si cancelli il “Segreto di Stato” e si dica la verità
Quasi cinquant’anni da quel fatidico 14 luglio 1974 che pochi ricordano se non forse per i nostri frequenti interventi su un mistero italiano ancora rimasto tale: l’affondamento della nave “Cavtat” poco distante dalla costa di Otranto. E noi dello “Sportello dei Diritti”, come ogni anno, anche in questo, ricordiamo quest’evento che ha segnato la storia del Salento e quella della marina mercantile, non solo italiana.
Pochi, pochissimi rammentano ancora quel 14 luglio 1974 quando Otranto precipitò nell’incubo generato da una terribile quanto assurda collisione tra navi al largo delle sue coste, perché all’interno del natante, si seppe poco dopo, vi erano 909 bidoni di sostanze tossiche pericolosissime. Contenitori che furono poi oggetto di una delle più importanti opere di recupero del carico che si siano registrate nei mari italiani a seguito della coraggiosa iniziativa dell’allora pretore di Otranto e poi senatore Alberto Maritati. Un’opera titanica per l’epoca.
In un bell’articolo del 05 marzo 2014 che ci piace ricordare ogni anno, il giornalista Gianni Lannes, sottolineava che “La Cavtat era partita il 28 giugno dall’Inghilterra, porto fluviale di Manchester. Destinazione: Rijeka-Fiume. 2.800 tonnellate di carico. E in più, duecentosettanta tonnellate di piombo, tetraetile e tetrametile, in 909 bidoni trasportati per metà sopracoperta e per l’altra metà nelle due stive. La Lady Rita [ndr l’altra nave], invece vuota, navigava in senso inverso:destinazione Djela e Casablanca. Di questi, ufficialmente 863 furono recuperati nel 1978.”
Ed infine, sempre lo stesso giornalista pose un’inquietante domanda: “Una parte dei veleni è ancora nel relitto della Cavtat?”.
Ma noi poniamo un altro quesito: c’era dell’altro? Ed anche Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, ogni anno ripropone queste domande, senza che nessuno, neanche i parlamentari cui nel tempo ci siamo rivolti, ci abbia saputo o, forse voluto, dare alcuna risposta. Ed allora, anche questa volta in occasione del tragico anniversario, ci appelliamo nuovamente all’attuale Governo perché cancelli ogni segreto e renda pubblici tutti i documenti relativi a questa storia perché si sgombri il campo dalle tante storie raccontate, quasi divenute leggendarie, tra cui quella delle armi contenute nella stiva, forse destinate a foraggiare il naufragato “Golpe Borghese”.
Ed ancora, un nuovo appello anche al Ministero dell’Ambiente, affinché ordini l’effettuazione di un’immediata e non più procrastinabile opera di verifica del relitto perché mancano alla conta ben 46 fusti dei quali, purtroppo, non è stato mai dato puntuale riscontro circa il recupero. Quella nave e il suo contenuto o meglio ciò che ne resta dopo quasi mezzo secolo in fondo al mare, infatti, lasciano aperti inquietanti quesiti cui sembra che nessuno abbia il coraggio di voler dare risposta. Come tanti misteri italiani che si preferisce lasciare nel dimenticatoio piuttosto che approfondirli e svelarli ai cittadini perché a volte, il silenzio, si pensa, faccia meglio di una triste verità.
Eppure, se all’epoca dei fatti le operazioni di recupero apparirono quasi impossibili, oggi a quasi mezzo secolo di distanza, 93 metri sotto la superficie del mare non dovrebbero apparire più una quota proibitiva per un’ispezione, specie se si ragiona con le moderne apparecchiature utilizzabili per le ricerche oceanografiche. Non possiamo, quindi, permettere che rimanga il sol dubbio che anche uno ed uno solo di quei bidoni abbia potuto avvelenare il nostro mare o continui a perdere, goccia a goccia, il suo carico tossico.
Lo dobbiamo fare subito, per capire se la salute dei salentini che mangiano abitualmente il pesce di quelle zone e si bagnano in prossimità di quelle acque possa essere stata intaccata o potrà continuare ad esserlo.______
L’APPROFONDIMENTO
(Rdl)______
1971 – Roma, Il governo rende noto il tentativo di golpe di Valerio Borghese, che, colpito da mandato di cattura, si rifugia in Spagna. Grande sconcerto in tutta Italia.
Con golpe Borghese (citato anche come golpe dei Forestali o golpe dell’Immacolata) si indica un tentato colpo di Stato in Italia durante la notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 (chiamata anche notte di Tora Tora, in ricordo dell’attacco giapponese a Pearl Harbor del 7 dicembre 1941) e organizzato da Junio Valerio Borghese, sotto la sigla Fronte Nazionale, in stretto rapporto con Avanguardia Nazionale.
Borghese, noto anche con il soprannome di Principe Nero, era in precedenza conosciuto per essere stato il comandante della X Flottiglia MAS fin dal 1º maggio 1943 e dopo l’8 settembre 1943 con il proprio reparto aveva aderito alla Repubblica Sociale Italiana.
Il golpe fu annullato dallo stesso Borghese mentre era in corso di esecuzione, addirittura con attività all’interno del Ministero dell’Interno, e della sede della Rai, a Roma, ma pure con la mobilitazione in diverse zone d’Italia.
I motivi del dietro front in extremis non sono stati mai chiariti.
Si sospetta perché all’ultimo momento vennero meno, o furono correttamente interpretati, gli appoggi veri o presunti che erano stati assicurati dagli Stati Uniti d’America, e quindi da ambienti della Nato e quindi Borghese in persona fu costretto a impartire l’ordine a sua volta ruicevuto.
Ci sono varie altre interpretazioni, in primis quella della verità giudiziaria.
Il 30 maggio 1977 cominciò il processo a quarantotto imputati, che si concluse con alcune condanne ai congiurati confessi. Nel 1978 la Corte d’assise di Roma assolse comunque il generale Vito Miceli, capo del Sid, dall’accusa di favoreggiamento, dopo che già era stata accantonata la più grave ipotesi incriminatoria di cospirazione.
Il giudizio d’appello per il fallito golpe si concluse in Corte d’Assise, il 29 novembre 1984 con una complessiva assoluzione, con la formula “perché il fatto non sussiste”.
I giudici disposero l’assoluzione di tutti i quarantotto imputati dall’accusa di cospirazione politica, aggiungendo che tutto ciò che era successo non era che il parto di un «conciliabolo di 4 o 5 sessantenni». La sentenza, riformando completamente la decisione di primo grado, si limitava per il resto a ridurre le condanne che erano state inflitte nel luglio del 1978 ad alcuni imputati minori per il reato di detenzione e porto di armi da fuoco.
Il giudizio finale della Cassazione nel 1986 fu uguale.
La Suprema Corte confermò, il 25 marzo 1986, l’assoluzione di tutti gli imputati.
Category: Cronaca, Riceviamo e volentieri pubblichiamo
Ancora qualcun che tira in ballo la barzelletta del golpe dei forestali