CINEMA, TELEVISIONE, SESSO, AMORE E MORTE DELLA STORICA E MITICA CARRA’. TUCA TUCA RAFFAELLA

| 5 Luglio 2021 | 0 Comments

(g.p.)______E’ morta oggi a Roma Raffaella Carrà. Lo ha comunicato tramite social nel pomeriggio il suo ex compagno Sergio Japino. Aveva 78 anni. Era ammalata da molti mesi.

E’ stata una cantante, ballerina, conduttrice televisiva entrata nella storia del costume italiano.

Nata a Bologna, lasciato il suo vero nome di Raffaella Maria Roberta Pelloni, preso quello ispirato dal pittore futurista Carlo Carrà, divenne presto e con sempre maggiore partecipazione popolare, il volto amatissimo della televisione nazional-popolare.

Finiti gli studi di danza e di arte a Roma, dove si era trasferita,  iniziò da attrice cinematografica e proseguì con programmi radiofonici, esperienze teatrali e alcuni sceneggiati televisivi, come si chiamavano allora gli adattamenti e le fiction.

Ma niente di che, niente di particolarmente significativo.

La svolta arriva nell’anno fatidico 1968, quando condusse un programma televisivo intitolato Tempo di samba e subito dopo fu la conduttrice dello spettacolo Io, Agata e tu, con Nino Taranto e Nino Ferrer. Mise a fuoco il suo stile, nuovo, agile, dirompente. Arrivò il successo e non la lasciò mai più.

Mitici gli anni Settanta, di Canzonissima, dell’ombelico mostrato nella sigla di apertura che fece scandalo (sic) in quella televisione ‘democristiana’ garbata quanto morigerata, elevata quanto popolare, che all’epoca in  molti criticavano, ma che oggi in moltissimi rimpiangono e tutti non finiscono più di ricordare.

Raffaella Carrà di quella televisione, l’ultima del gusto e del consenso di massa, è stata anche e soprattutto metaforicamente l’ombelico.

 

Nella storia del costume italiano c’è entrata per via di una delle sue tante canzoni di successo lanciate a Canzonissima, che poi era anche un ballo e che scampò miracolosamente alla censura, anche perché trovò al lancio televisivo la partecipazione straordinaria di Alberto Sordi e anche  perché quei dirigenti Rai erano sì magari un po’ bigotti, ma non erano per niente stupidi: avevano capito che era cominciata in maniera irresistibile una nuova era del costume.

 

Una nuova era da guidare, se possibile, con gusto, almeno in tv.

Quel Tuca Tuca di Raffaella con  l’Albertone nazionale, una scena mitica: con l’italiano medio col faccione sorridente, vestito in maniera impeccabile, il fascino discreto della borghesia e dell’uomo maturo, di fronte al simbolo del desiderio, del corpo femminile giovane, fremente e provocante che sa trattenersi, dominando gli istinti primordiali di prendere, stringere e arraffare dove capita capita, e riuscendo a darsi un tono e una grazia, con lo stare al gioco.

In quegli anni  di vizi privati e di pubbliche virtù, l’Italia che lasciava per trasgredire le pagine dei cataloghi del Postalmarket e di Vestro per quelle delle riviste delle Ore e di Men, quella che lasciava i film musicarelli e scopriva quelli delle professoresse supplenti e delle compagne di banco, il Tuca Tuca di Raffaella Carrà affermò l’avvento di una nuova visione della sessualità laica, solare, positiva, propositiva e creativa.

 

Fu poi insieme alle ultime apparizioni televisive di Mina nel nuovo show del sabato sera Milleluci, un’altra pietra miliare della televisione, e poi continuò da sola, per decenni.

Da cantante divenne popolare anche all’estero, in Spagna, nei Paesi latini, ma anche nel mercato inglese.

Un suo ‘pezzo’ cult si chiama “A far l’amore comincia tu”, un altro “Tanti auguri“, ricordato per il ritornello – e daje – “Com’è bello far I′amore da Trieste in giù“: brani semplici, forse banali, ma che riuscivano a farsi ricordare e ad entrare in quello che abbiamo imparato a chiamare l’immaginario collettivo.

 

I decenni successivi furono un successo continuo con i suoi varietà televisivi Ma che sera, FantasticoPronto, Raffaella?, e poi quelli con la partecipazione in diretta del pubblico da casa, dei giochi e dei giochini telefonici.

 

Era sempre “la più amata dagli Italiani”, come recitava un fortunatissimo slogan pubblicitario, entrato e rimasto nel lessico quotidiano.

Si beccò con l’allora presidente del consiglio Bettino Craxi, che ebbe da ridire sui suoi compensi della Rai col denaro pubblico, e non aveva tutti i torti, in quanto la cifra del suo ultimo rinnovo nel 1984, di sei miliardi di lire, se non “immorale e scandalosa” era comunque spropositata.

 

Ma ormai la tv stava cambiando e quel mondo seguente, complice anche l’incipiente età, non era più il suo.

Passò alla Fininvest e fece male, guadagni a parte. Fu un flop sostanziale, spiegabile con la considerazione che voleva far rivivere nella tv commerciale che si stava affermando modelli datati e dall’inconfondibile marchio di fabbrica della Rai.

Anche quando negli anni successivi ritornò all’ovile, le cose non andarono meglio. C’è una stagione per tutto e non ci sono uomini e donne per tutte le stagioni.

Bisognava inventarsi qualcosa di nuovo e Raffaella ci riuscì, per l’ultima volta, con la serie di Carràmba! Che sorpresa che dalla metà degli anni Novanta arrivò agli inizi del nuovo secolo e del nuovo millennio.

Poi, solo più qualche ‘comparsata’ televisiva e qualche altro lavoro discografico, che non aggiunsero e nemmeno levarono niente, a quello che aveva già fatto, di avere scritto la storia della televisione e del costume degli Italiani, che là rimangono, adesso che se n’è andata dalle scene del mondo.

Category: Costume e società, Cultura

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