TE CANUSCU PIRU TE INTRA LI PIRI CAPRINI…
vm______Il proverbio programmato per oggi era AMORE E CERASE CHIUI NDE MINTI E CHIUI NDE TRASE.
Amore e ciliegie più ne metti e di più ne entrano.
Quando si fa l’amore e quando si mangiano ciliegie non è facile saziarsi.
Il proverbio lo avevamo leggermente cambiato per non incorrere nei rigori di quanti sono lì sempre col ditino alzato pronto a bacchettare e mettere al pubblico ludibrio quanti non si piegano alla cultura del politicamente corretto.
Oggi nel mio girovagare, per motivi di lavoro (la precisazione è d’obbligo) ho notato già da diversi giorni come le campagne intorno a Lecce siano piene di peri selvatici imbiancati dai fiori.
Per cui mi è venuto in mente un proverbio, un modo di dire, un racconto se preferite, che nella periferia del capoluogo salentino un tempo era citato molto spesso.
Quando di qualcuno si voleva dire che lo si conosceva molto bene, si poteva dire “te tie canuscu vita, morte e meraculi”, oppure, il proverbio che oggi vi proponiamo.
” Te canuscu piru te intra li Piri Caprini….” a volte ci si fermava qui, oppure la litania continuava con:” eri pirazzu e te nnestai a piru buenu e mancu pire facisti e moi ca si Santu uei faci meraculi?”.
Per chi non conosce il salentino traduciamo il tutto.
“Ti conosco pero sin da quando eri in una campagna di nome Peri Caprini…eri pero selvatico e ti innestai a pero buono ma neppure allora hai prodotto delle pere e adesso che sei Santo vorresti fare miracoli?
Anche tradotto il tutto resta incomprensibile se non si conosce la storia che mi appresto a narrarvi.
I vecchi sostenevano che fosse un fatto realmente accaduto.
La storia è questa: un contadino era proprietario di una campagna alla periferia di Lecce, denominata Piri Caprini, il nome trae origine dalle innumerevoli piante di pero selvatico che infestavano quella zona, così fitte da ricordare il pelo della capra, da cui Piri dato che si trattava di alberi di pero, seppur selvatico, e caprini in virtù nel numero elevato di questi arbusti infestanti.
Il contadino con grande fatica estirpò tutta la macchia mediterranea che infestava la campagna compresi i peri selvatici (li pirazzi), ne lasciò solo uno che era un albero particolarmente grande e decise di innestarlo con delle qualità di pero da frutta di ottima qualità.
Lasciò passare qualche tempo ma questi innesti non diedero mai del frutto, dopo qualche anno il contadino decise di estirparlo visto che non produceva frutto, consolandosi pensando che lo avrebbe utilizzato come legna da mettere al camino per scaldare la famiglia e, come si usava all’epoca, cucinare il cibo.
Nei pressi della campagna del nostro contadino sorgeva una cappella dedicata ad un Santo il cui nome mi sfugge, resta il fatto che il contadino tutte le mattine che ci passava davanti si toglieva il cappello e si faceva il segno della croce.
Il Vescovo di Lecce su richiesta di alcuni fedeli decise di dotare la cappella con una statua lignea che raffigurasse il Santo e diede incarico ad uno scultore.
Quest’ultimo andando a prendere visione della cappella che doveva contenere la statua passando davanti alla campagna del nostro contadino vede il tronco dell’albero del pirazzu e pensa di utilizzarlo, risparmiando così tempo e denaro visto che quel materiale era ha portata di mano.
Per cui il giorno dopo si reca sul posto e chiede la contadino quanto denaro vuole per dargli quel tronco, il contadino incuriosito gli chiede cosa debba farne di quel legno e saputo che lo scultore voleva utilizzarlo che fare la figura del Santo glielo regala.
La statua fu realizzata ed era venuta proprio bella. Tutte le mattine il contadino si fermava un attimo ad ammirare come quel troncone brutto del “pirazzu” era stato trasformato in una splendida statua ed in qualche modo si sentiva pure lui orgoglioso di quel tronco che aveva aiutato a crescere e a diventare un albero.
Un bel giorno l’unica figlia del contadino si ammalò e lui poverino, quando tornava a casa la sera dopo una dura giornata di lavoro, si fermava nella cappella a pregare il santo affinché gli salvasse la figlia.
Tutti i giorni il pover’uomo con fiducia si rivolgeva al “suo” santo convinto che avrebbe salvato la vita della figliola.
Passati due mesi dall’inizio della malattia la ragazza morì.
Il giorno dopo si recò presso la cappella, arrivo sul posto mentre il parroco recitava una funzione religiosa, entro e cominciò a gridare fra lo stupore di tutti:” Te canuscu piru te intra li Piri Caprini, eri pirazzu e te nnestai a piru buneu e mancu pire facisti e moi ca si Santu uei faci meraculi?”.
Da allora i contadini del posto quando hanno anche fare con qualcuno che conoscono bene per la sua inconcludenza, il loro pensiero va allu piru te li piri caprini.
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