di
Fabio Pollice * ______
(Rdl * Il Rettore dell’Università del Salento ha partecipato ieri pomeriggio alla “Cerimonia di commemorazione del 30° anniversario della Migrazione Albanese”, organizzata dalla Regione Puglia, alla presenza del primo Ministro dell’Albania Edi Rama e del Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Luigi Di Maio. Giova ricordarlo nell’occasione: prima che, un anno e mezzo fa, diventasse Rettore, Fabio Pollice è stato docente di geografia politico- economica. Questo che segue è l’intervento che egli ha pronunciato ieri. Nelle nostre foto, i monti dell’Albania da Otranto il 2 febbraio 2020, e da San Foca il 13 giugno 2020 )______
La mia partecipazione a tale commemorazione non ha voluto significare soltanto – e comunque doverosamente – il condiviso ricordo di quanto accadde in quei giorni drammatici, durante i quali le istituzioni locali, la Chiesa, il volontariato laico e religioso e la comunità brindisina e, a seguire, quelle dell’intera Puglia, seppero dare con un incredibile slancio di generosità e altruismo – anticipando le stesse istituzioni nazionali italiane – un esempio di effettiva e disinteressata accoglienza e solidarietà nei confronti dei fratelli albanesi d’oltre Adriatico; fratelli che fuggivano, spesso su imbarcazioni di fortuna, dalle miserie di un regime totalitario in disfacimento, con il miraggio di potersi ricostruire un futuro nel nostro Paese, in un paese amico.
Ho partecipato a questo evento in rappresentanza di tutta la Terra d’Otranto in quanto rappresentante della massima istituzione culturale, scientifica e formativa di questo territorio ed erede del suo animo generoso e solidale, territorio che da sempre è stato crocevia di culture e di genti delle diverse sponde del Mediterraneo.
Non a caso il nostro Ateneo è e vuole essere sempre più l'”Università tra i due mari”, un ponte tra culture, saperi, economie, popoli, con l’intento di rafforzare il proprio ruolo di faro culturale e di motore di sviluppo per l’intera regione adriatico-ionica.
Già nell’anno di quel drammatico esodo che
oggi commemoriamo, nell’Università del Salento – era il dicembre del ’91 – si tenne a Lecce un seminario italo-albanese di studio e riflessione sulla società albanese a cura dell’allora Istituto di Sociologia. A pensarci bene, questa non è solo un’esigenza del presente, ma si riallaccia – lo dico anche da geografo – a una più antica tradizione della Società Geografica Italiana, che già dalla fine dell’Ottocento inviava i suoi studiosi, talvolta quasi “esploratori”, nella vicina penisola balcanica e nella stessa Albania – allora sotto dominio ottomano – a studiarne il territorio nei suoi tratti naturali e antropici, condizioni sociali e costumi, e a valutarne le potenzialità di sviluppo economico, purtroppo, e questo va detto, anche con obiettivi di natura geopolitica.
Ma la scienza e – desidero sottolinearlo – la nostra onestà ci obbligano a ricercare sempre la verità, e spesso la verità storica è contraddittoria. Solo a limitarsi all’intero secolo scorso, i rapporti italo-albanesi hanno conosciuto fasi diverse, comunque complesse, certamente – e anche drammaticamente – contraddittorie. Infatti, dagli studi che ricordavo sopra – e anche da quelli delle società culturali italo-albanesi presenti nel Mezzogiorno italiano – ai piani strategici della Regia Marina, ai disegni dell’espansionismo nazionalista e alle attività della diplomazia del tempo volti a conquistare il controllo strategico della “Bocca dell’Adriatico”, si giunse alla prima occupazione di Valona, nel Natale 1914, nonostante l’Albania avesse da poco raggiunto la propria indipendenza nazionale.
A proposito, forse pochi
oggi sanno che le prime bandiere del “Paese delle Aquile”, del regno indipendente d’Albania – sotto il principe di Wied – vennero tessute proprio nella veleria dell’arsenale marittimo di Taranto. Ma quell’occupazione avvenne con il sostanziale consenso di tutte le potenze europee già impegnate nella Grande Guerra.
Poi finalmente, nel 1920, ci fu la conclusione di ogni occupazione territoriale, decisa da un Giolitti necessitato dalle rivolte d’Albania e d’Italia. Seguirono, sotto il fascismo, il sostegno al discusso re Zog e gli investimenti italiani. Comunque si moltiplicarono scambi commerciali e presenze – e ingerenze – culturali e religiose italiane. Poi ancora una volta l’occupazione italiana dell’Albania nel ’39 e fino al ’43.
Insomma, anche dai passaggi storici sommariamente ricordati, si comprende come forte e significativa sia stata, nel bene e nel male, l’attenzione italiana per l’Albania.
Oggi, a trent’anni dagli sbarchi del ’91, da quel momento in cui ci riscopriamo fratelli, possiamo e dobbiamo pensarci come un’unica regione costituita da due terre unite da un “ponte d’acqua”.
Siamo vicini, vicinissimi, e questa vicinanza deve divenire un’occasione di integrazione e sviluppo. Talvolta, nelle mattine limpide di tramontana, da Otranto o da Leuca pare possibile allungare un braccio per afferrare un pugno di neve dai monti Acrocerauni.
Fuor di metafora: le istituzioni amministrative e quelle scientifiche – e per quel che mi riguarda più direttamente l’Università del Salento – non possono non investire la loro intelligenza e il loro multiforme impegno strategico verso il “fronte albanese”. Un fronte ora definitivamente e irrevocabilmente di pace, di collaborazione, di scienza condivisa, di sviluppo sostenibile.
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