ARRESTATO IL PRESUNTO OMCIDA / HA CONFESSATO. HA AGITO PER INVIDIA. TUTTI I PARTICOLARI EMERSI ‘STAMATTINA DALLA RICOSTRUZIONE DEGLI INQUIRENTI
(g.p.)______“Da quanto tempo mi stavate pedinando?”, ha detto, quando se li è visti davanti, ai Carabinieri che ieri sera, alle 22, erano andati ad arrestarlo all’uscita del turno al Vito Fazzi. Così, senza segni di apprensione, o pentimento, o rabbia, niente, al momento dell’arresto, Antonio De Marco, 21 anni, di Casarano, studente del corso di laurea di scienze infermieristiche, accusato del duplice delitto di Eleonora Manta e Daniele De Santis, avvenuto a Lecce la sera di lunedì 20.
Poi – una delle novità e dei nuovi elementi emersi in mattinata – ha confessato.
Una settimana esatta dopo il cerchio degli inquirenti si è stretto intorno a lui.
Lo stavano pedinando, come ha detto lui, per meglio dire: indagavano su di lui, da cinque giorni. I primi due li avevano persi appresso alla falsa pista del fantomatico Andrea, il nome sentito quale invocazione delle vittime da un inquilino: in realtà Andrea non era l’assassino, ma uno dei condomini, che era andato a vedere che cosa stesse succedendo al piano di sotto, allarmato dal trambusto che si sentiva provenire da là, ma chiamato – richiamato indietro – ad alta voce dalla moglie.
Da qui l’equivoco. Una volta chiarito, magistrati e Carabinieri hanno preso in esame gli ex inquilini di quell’appartamento, che era stato affittato a stanze singole a studenti.
L’ultimo era stato Antonio De Marco, c’era stato fino a fine luglio. Poi, aderendo, di buon grado – ha detto il colonnello Paolo Dembech, raccontando ai giornalisti questo come tutti gli altri particolari che stiamo riferendo qui adesso, in una affollatissima conferenza stampa (nella foto) tenutasi a mezzogiorno davanti il Comando Provinciale dei Carabinieri, davanti una folla indescrivibile di giornalisti e operatori – alla richiesta di Daniele De Santis, se ne era andato, cercandosi un’altra sistemazione.
Infatti gli era stato chiesto se poteva lasciare la stanza affittata entro la fine di agosto, perché il proprietario voleva ristrutturare l’alloggio, con cui contava di andare a convivere con Eleonora; Antonio aveva aderito senza alcuna protesta, anzi, se ne era andato un mese prima, e si era sistemato in un’abitazione di via Fleming, insieme ad un altro studente.
Ma ritorniamo agli elementi per cui Antonio è diventato il sospettato principale: in primis, il fatto che l’assassino fosse entrato nel cortile del palazzo prima e nell’abitazione delle vittime poi senza lasciare tracce. Quindi ne aveva le chiavi, o ne aveva fatta una copia, è stato il ragionamento logico, come appunto solo un ex affittuario poteva fare.
Gli inquirenti hanno cominciato a incrociare elementi a suo carico, fino a che non ne hanno avuti tali e tanti da arrestarlo con la terribile accusa di duplice omicidio premeditato.
Cosa hanno in mano?
I fotogrammi delle telecamere di videosorveglianza, che lo ritraggono più volte, e in alcuni di essi in maniera nitida.
Uno degli ‘errori’ commessi è stato quello di sottovalutare la portata, il campo delle telecamere, di cui pure aveva annotato la posizione per evitarle: credeva che bastasse camminare dal lato opposto della strada, invece le riprese arrivavano fino a lì.
E’ andato sempre a piedi, non è auto munito. Un’immagine successiva a quella mentre passa nei pressi del cavalcavia di piazzale Rudiae lo ritrae subito dopo nei pressi della sua abitazione, la sera del delitto, lo stesso paio di jeans la felpa col cappuccio, lo zainetto a tracolla verso via Fleming, che del resto è a poche centinaia di metri da piazzale Rudiae, è una strada interna che arriva poi sulla statale per Gallipoli, prima del bar Sofia.
Poi, ci sono le testimonianze degli inquilini.
Ancora, le analisi grafologiche sull’ormai famoso bigliettino-mappa-pro memoria trovato nei pressi della scena del crimine.
Ancora, le risultanze dei primi rilievi scientifici e tecnologici nel frattempo effettuati, mentre se ne annunciano altri ancora più probanti a breve.
Infine, l’ammissione di responsabilità, di cui si è detto, arrivata questa mattina.
L’arma del delitto non è stata ancora ritrovata, probabilmente se ne è disfatto lungo il tragitto, comunque – ha rivelato sempre il colonnello Dembech sempre questa mattina – non si tratta di un coltello da sub, bensì di un coltello da caccia, da cacciatore.
E il movente?
Antonio De Marco, pur avendo confessato, non ne ha parlato: non si è proprio espresso al riguardo.
L’invidia per quella coppia felice, con il rancore che ne è derivato, è l’ipotesi accusatoria, cui comunque manca ancora un movente chiaro e articolato.
Nel profilo psicologico tracciato dagli inquirenti, Antonio De Marco è un ragazzo chiuso, introverso, di poche parole.
Solo, però.
Lasciata la famiglia di origine, per venire a studiare a Lecce, fra l’altro con buoni risultati, si è ritrovato, si sarà sentito così, terribilmente solo.
Non ha amici veri, non ha fidanzate.
Va detto anche che, dalle indagini effettuate a suo carico, viene da una famiglia normale, per bene, secondogenito di un papà pensionato e di una mamma casalinga, come tante, non ha precedenti di nessun tipo, non beve, non si droga, non ha frequentazioni sentimentali o sessuali nascoste, o ambigue.
Comunque, come ribadito dal colonnello Dembech, va esclusa la pista passionale.
Durante i mesi della sua permanenza in quell’alloggio nella sua stanza affittata da studente diligente per laurearsi da infermiere, deve essere successo qualcosa, forse con Daniele, forse con Eleonora, forse con entrambi.
Questo qualcosa non è la richiesta di lasciare la stanza.
E cosa, allora?
Non avendo in mano altro al riguardo, gli inquirenti propendono per l’invidia, per quella giovane coppia bella, affermata, solare, piena di interessi, di frequentazioni, tutto quello che a lui mancava, un sentimento covato a lungo nei mesi precedenti, che ha avuto effetti devastanti nella sua psiche solitaria e introversa, a tal punto di lucida follia da sfociare in un rancore potentissimo, da fargli maturare l’idea del duplice omicidio e da trovare la forza disperata e disperante di metterla concretamente in pratica.
L’invidia per quella tenerezza, quella comprensione, quella felicità, che lui non aveva.
Il rancore che ne è scaturito.
Si può uccidere per una vicinanza condominiale degenerata giorno dopo giorno? Sì, si può, il caso di Olindo Romano e Rosa Bazzi della strage di Erba lo dimostra, anche se là c’era pure dell’altro.
Si può uccidere una coppia per ‘invidia’ degenerata giorno dopo giorno? Sì, si può, il caso di Giosuè Ruotollo del duplice delitto di Pordenone lo dimostra, anche se là c’era pure dell’altro.
Al momento, nella lucida follia che avrebbe portato per invidia Antonio De Marco a commettere un crimine così efferato, non c’è altro.______
LA RICERCA nei nostri precedenti articoli di questa notte e di questa mattina
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