di Elena Vada______
Il fenomeno dell’imprenditore italiano, che non sa parlate la propria lingua, è comunissimo.
Il “g-i-ometra’ Flavio Briatore (nella foto), ‘parla come mangia’, come suol dirsi. Traduce, pedestremente, il piemontese langarolo, (è nato a Verzuolo, provincia di Cuneo) senza adeguare il dialetto, alla sintassi italiana.
Gli imprenditori, self-made-man anni 60/70, in gran parte, fanno così (ho esempi vicini). Non si preoccupano di come s’esprimono, anzi, credono d’aver ottenuto un’autorizzazione speciale, acquistato la “licenza d’uccidere” la lingua italiana.
Passivo e condizionale inesistenti o errati. Il congiuntivo, un rebus. (… e lasciatemelo sottolineare: mi chiamo “Vada”!). Le citazioni poi, specialmente se latine, danno il colpo di grazia, nei discorsi impegnati.
I: “Pro tono sua” – “Deus ut do” – “Gustibus non est sputandum” e così via, si sprecano.
Ma, importante, per questi imprenditori, è il successo economico/sociale ed il prestigio, raggiunti.
Non facciamoci venire il “patė” d’animo, lasciamoli parlare a modo loro… “Che gli vogliamo tanto bene” lo stesso, soprattutto se ci pagano lo stipendio, a fine mese!______
LA RICERCA nel nostro articolo del 3 settembre scorso
Category: Costume e società, Cronaca