GIUSEPPE DE DONNO RICEVE LA CITTADINANZA ONORARIA DEL COMUNE DI LEQUILE E RACCONTA LA SUA CURA CONTRO IL CORONAVIRUS: “Non lasciamoci sfiduciare”
di Carmen Leo______ “Sono veramente molto commosso, non mi aspettavo, a dirvi la verità, una cerimonia di questa importanza, e per questo ringrazio il sindaco di Lequile e tutti coloro i quali hanno collaborato con lui per concedermi tale onorificenza e, naturalmente, tutti gli intervenuti a questa bellissima serata. Mi sento, però, in dovere di ringraziare più in generale le autorità civili, militari, religiose della mia regione, la Lombardia, e dell’Italia intera, come anche i sindaci dei vari comuni, che in occasione di questa grave emergenza causata dalla diffusione del Coronavirus, hanno collaborato fattivamente con noi medici e con tutto il personale sanitario per gestire e arginare questa pandemia, di cui sicuramente avremo triste memoria”.
Così Giuseppe De Donno (nella foto), 53 anni, nato a Mantova, ma originario, per parte di padre, di Morigino di Maglie, attualmente primario del Reparto di Pneumologia dell’ospedale Carlo Poma del capoluogo lombardo, ha esordito nella cerimonia organizzata ieri sera dal Comune di Lequile in suo onore, alla presenza di numerose autorità civili e militari.
Gli è stata conferita la cittadinanza onoraria, per onorare le sue origini e sottolineare le importanti strategie mediche da lui messe in atto per i malati di Coronavirus.
“La città di Curtatone, in provincia di Mantova, e il Comune di Lequile, in provincia di Lecce, uniscono idealmente le proprie comunità in un ponte di amicizia, poiché nella terra leccese ci sono le radici della famiglia De Donno. In occasione del conferimento della cittadinanza onoraria al dottor Giuseppe De Donno, Curtatone si unisce in questo importante momento a Lequile, riconoscendo il prezioso lavoro svolto dal medico mantovano, con caparbietà, spirito di sacrificio e doti da vero leader in grado di fronteggiare, sempre al totale servizio dei cittadini, i momenti più critici dell’emergenza sanitaria, che ha tenuto sotto assedio la nostra nazione, e che ha visto in tutta Italia i medici ed il personale sanitario combattere in prima linea e pagare, purtroppo, anche un alto tributo in termini di vite umane”. Questa la motivazione del riconoscimento e del gemellaggio culturale tra i due comuni, letta direttamente da Carlo Bottani, sindaco di Curtatone, dove De Donno ha la residenza, alla presenza del sindaco di Lequile Vincenzo Carlà, che faceva gli onori di casa.
Giuseppe De Donno è salito agli onori della cronaca mondiale negli ultimi cinque mesi, sino ad oggi, di questo “famigerato” 2020, tra elogi, plausi, ma anche feroci critiche e attacchi mediatici, per aver avuto la provvidenziale intuizione, in stretta collaborazione col suo collega e amico fraterno Massimo Franchini, primario del reparto di Immunologia dello stesso ospedale mantovano, di sperimentare un protocollo medico vecchio di un secolo, nel disperato tentativo di salvare gli ammalati colpiti in modo grave da Coronavirus.
Si è trattato essenzialmente di avviare a tempo di record, essendo proprio il tempo il nemico più cruento e temibile di questa emergenza, la registrazione di tale protocollo, orgogliosamente primi nel mondo occidentale, per consentire l’utilizzo del plasma dei pazienti convalescenti, ossia quelli ormai usciti dalla fase critica della malattia e che si avviavano verso la guarigione, plasma che avrebbe avuto efficacia nel curare i malati in fase acuta.
Cercheremo di spiegare in breve, e con linguaggio distante da quello prettamente scientifico e sconosciuto ai più, la ri-scoperta dei due medici italiani, che ha condotto alla guarigione di moltissimi malati affetti da Coronavirus, molti dei quali pericolosamente vicini al trapasso da questa vita.
Il plasma rappresenta la componente liquida del sangue, grazie alla quale le cellule sanguigne possono circolare, ed è costituito prevalentemente da acqua, per oltre il novanta per cento ( 90%), nella quale sono disciolte e veicolate molte sostanze, quali proteine, zuccheri, grassi, sali minerali, ormoni, vitamine, ma soprattutto gli anticorpi, grazie ai quali un determinato paziente è riuscito a sconfiggere una certa malattia.
L’utilizzo del plasma, attraverso la donazione, assume per questa ragione, una notevole importanza.
Non si tratta di una recente scoperta scientifica, ma di una metodologia già utilizzata con successo lo scorso secolo, durante la devastante epidemia dell’influenza definita “Spagnola”, in quanto prese a diffondersi proprio dalla Penisola Iberica.
È iniziata, pertanto, presso la struttura ospedaliera di Pavia, dove il dottor Perotti, in quello stesso periodo, si stava adoperando in un suo scritto proprio sull’uso del plasma, una tempestiva raccolta del prezioso liquido organico dei pazienti guariti.
“È stato il 18 marzo il giorno in cui ho iniziato ad ‘arruolare’ con maniacalità, in modo ossessivo e compulsivo, pazienti con gravi insufficienze respiratorie, applicando il protocollo, preventivamente sottoposto e poi approvato dalla Commissione Etica. Ho vegliato sul primo paziente per tutta la notte, dopo l’inizio della somministrazione del plasma, e dopo poche ore sono riuscito già a staccarlo dal ventilatore artificiale. Il plasma aveva prodotto l’effetto sperato, e in tempi miracolosamente ridotti. Ho svegliato, dunque, alle due di notte il mio collega Franchini per comunicargli i risultati sorprendenti della sperimentazione. Eravamo entrambi increduli e soddisfatti e ricorderemo per tutta la vita quella notte, perché da lì è partita un’avventura meravigliosa, ma al contempo difficile, iniziata con grande sacrificio ed esponendoci ad una serie di attacchi durissimi, che abbiamo sopportato con pazienza, perché quando si crede in un’ideale nobile, che è quello della salvaguardia della salute e della vita anche di un solo essere umano, non esiste odio, invidia, terrore. Si va coraggiosamente avanti, sempre e solo per il benessere dei tuoi pazienti”.
Continua così il suo emozionate racconto De Donno, in piedi dinanzi ad una Piazza San Vito occupata da circa quattrocento persone, silenziose e attente, con addosso le mascherine richieste e ordinatamente disposte dagli addetti alla pubblica vigilanza, secondo il distanziamento prescritto dalla normativa vigente in materia di sicurezza nei luoghi pubblici.
Dopo quella prima guarigione, tra Mantova e Pavia sono stati trattati ottanta pazienti con gravissimi problemi respiratori, nessuno dei quali è deceduto.
“La mortalità del nostro protocollo finora è zero” – ha sottolineato il cinquantatreenne pneumologo – “per tale ragione a Mantova abbiamo immediatamente istituito una banca del plasma. Abbiamo potuto così donare diverse sacche di plasma a molti altri ospedali. Creando altre banche in giro per l’Italia riusciremo ad arginare un’eventuale seconda ondata della malattia. Mantova è una piccola città e noi siamo dei ‘medici di campagna’, e non dobbiamo vergognarcene, perché nel nostro piccolo abbiamo dimostrato che con coraggio e determinazione, ma soprattutto grazie alla generosità dei donatori, alla loro democraticità si riescono a fare grandi cose. Mi piace affermare che il plasma è democratico, perché viene dal popolo e tutto ciò che viene dal popolo è più che giusto che ritorni al popolo”. Queste le toccanti parole del De Donno uomo, più che dello scienziato.
Al termine della cerimonia, siamo riusciti ad avvicinare il protagonista di questa bella serata, chiedendogli quello che molti Italiani, ma anche la restante parte della popolazione mondiale, vorrebbe sapere, per ricevere magari una rassicurazione ai timori, le fobie, le psicosi che hanno caratterizzato tutto il periodo della nostra reclusione involontaria, ossia se la comunità scientifica, in cui egli stesso occupa oggi un ruolo determinante e rilevante, prevede che si possa verificare nei prossimi mesi una nuova ondata della pandemia.
In esclusiva a leccecronaca.it, il dottore ha così generosamente e cordialmente risposto:
“A tutt’oggi è difficilissimo fare previsioni. In questo momento quello che possiamo dire è che il Coronavirus si presenta meno aggressivo, si trovano addirittura meno copie di questo nei tamponi faringei. Ciò si deve soprattutto ai tre mesi di ligio lockdown ed anche al fatto che ci avviciniamo all’estate e, durante il periodo estivo, i virus RNA notoriamente fanno più fatica a replicare. Non possiamo sapere cosa succederà all’inizio dell’autunno prossimo, ma abbiamo indubbiamente imparato molto dagli studi effettuati e dai nostri comportamenti volti alla cautela e prevenzione. Possiamo affermare, però, con certezza che il COVID-19 non sarà così aggressivo come nei mesi appena trascorsi. Dobbiamo imparare a convivere con questo reale pericolo, ma non con la drammaticità che ha sconvolto le nostre vite”.
Su questa terapia sperimentale di vanto tutto italiano, buona parte del mondo scientifico invita ad adottare non poca cautela, certo è che i risultati si presentano più che confortanti: i pazienti con più seria sintomatologia, in poche ore, si sono ritrovati senza febbre, tosse e difficoltà respiratorie
Il primario salentino-lombardo, oltre che essere impegnato in continue e numerose call conference con colleghi di tutto il mondo, è stato di recente contattato anche dall’ONU: “Da parte della comunità scientifica internazionale – ha detto De Donno – è stato manifestato grande interesse a conoscere i risultati del nostro studio”.
Non solo. Una seconda chiamata è arrivata direttamente da un consigliere del Sottosegretario alla Salute, che ha spiegato come anche negli Stati Uniti si guardi con molto interesse alla terapia italiana e ferve l’attesa per i risultati della sperimentazione condotta, appunto, a Mantova e Pavia.
Sebbene quotidianamente alle prese con diffidenza e lungaggini burocratiche, quest’ultime è risaputo costituiscano la parte più invalidante del nostro sistema istituzionale, De Donno, con il suo fare rassicurante, i toni pacati ed i modi garbati da gentiluomo d’altri tempi, oltre che da medico di un’umanità rara e disarmante, si sente di rassicurare l’opinione pubblica con una frase che appare come una confortante e speranzosa promessa: “Non ci lasceremo mai sfiduciare!!!”.
Intanto in queste ore in redazione è arrivato un comunicato dell’Asl di Lecce, che si unisce al plauso, ecco i passaggi essenziali della dichiarazione del direttore generale Rodolfo Rollo: “Sono lieto di aver preso parte ala cerimonia. Da quando il Comitato Etico della Asl di Lecce ha approvato il progetto per la immunoterapia passiva con plasma abbiamo avviato la sperimentazione con il Servizio Immunotrasfusionale del Vito Fazzi di Lecce diretto dal dottor Nicola Di Renzo, iniziando da subito ad accogliere la disponibilità alla donazione di pazienti guariti.
Oggi è un giorno importante perché è stato dimesso l’ultimo paziente dal Reparto Covid Dea del Fazzi. Colgo l’occasione per ringraziare i tutti i sindaci della provincia perché siamo riusciti a contenere i numeri del contagio anche grazie a una filiera di responsabilità che ha funzionato”.
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