INVITO ALLA LETTURA
UN RITRATTO PER IL VERSO GIUSTO DI CHIARA EVANGELISTA, LA GIOVANISSIMA POETESSA LECCESE RIVELAZIONE LETTERARIA ITALIANA
di Giuseppe Puppo______
Le sue prime poesie, Chiara Evangelista (nella foto) le ha pensate fra i banchi del liceo classico Palmieri di Lecce, fra una lezione di greco e una di latino, fra un’assemblea di classe e un seminario di laboratorio.
Ma non erano per fremiti adolescenziali, o amori ancora acerbi, no. Il suo primo amore è stato la poesia. In quelle lunghe ore, prima inconsapevolmente, via via con sempre maggiore sorpresa e forte determinazione, inseguendo i suoi pensieri che volavano oltre le circostanze contingenti, scoprì che ogni parola ha un suono che inventa mondi nuovi.
Fu una coincidenza significativa.
Ci lavorò su, per un po’, per meglio dire ci giocò su, per un po’: e niente, nessuna cosa è più seria del gioco.
Proprio come aveva fatto cento anni prima Aldo Palazzeschi, anche lei si divertiva così.
Poi, presa la maturità, beata gioventù, si fece dare il numero di telefono di un editore emergente, anch’egli leccese, e pensò bene di prendere pure il coraggio, a modo suo, a due mani, a due mani armeggiando sull’apparecchio, non osando altrimenti.
Così, in uno dei lunghi e afosi pomeriggi dell’estate salentina di quattro anni fa, Stefano Donno, stropicciandosi gli occhi, e forse anche altro, scoprì la segreteria degli sms del suo telefonino intasata di messaggi: le poesie che Chiara gli aveva mandato.
Giuste lamentele e sacrosanti rimbrotti successivi del caso a parte, non sfuggì all’editore la fresca novità di quei versi, per dirla tutta, la portata rivoluzionaria, di quel canto libero, vera e propria rapsodia rap.
Ci lavorò su, questa volta nel senso professionale dell’editing, e dopo qualche mese i Quaderni del Bardo furono pronti a dare alla luce una nuova raccolta.
Il titolo? Ma il titolo era già là, fresco di studi dell’autrice, anch’esso dirompente: quante volte la prof. di latino e greco, leggendo, traducendo e commentando i classici in classe, aveva spiegato che non c’è incipit migliore di quello In medias res?
E in medias res fu dunque pure l’esordio poetico di Chiara Evangelista, debuttante assoluta.
L’amore? Sì, certo, c’era posto anche per lui…
“Amo i miei occhi azzurro-cielo che si perdono
nei tuoi occhi verde-sottobosco
e non mi accorgo che siamo precursori di un corso
già percorso”
E via in un crescendo di delirante fermento, in un’ apoteosi di limpida meraviglia, con I Cognomi-gnomi, con Il nulla annulla, con gli oggetti come un estintore, come gli occhiali, o come una panchina che parlano, con I Pronomi che ballano e con la coscienza di Chiara che si esprime, fra un’assonanza, un’allitterazione, o una rima inventata per il ritmo.
Ottimo esordio.
Sì sì, pure il papà di Chiara però sapeva bene di latino, “Carmina non dant panem”, sentenziò, e così lei intraprese gli studi di giurisprudenza, e non tanto per, ma alla prestigiosa università Cattolica di Milano.
Da un verso, quello giurisprudenziale, non lo sappiamo, ancora non possiamo saperlo; ma di sicuro, dall’altro verso, quello letterario, è stata una fortuna.
Fra un diritto romano e un diritto civile, infatti, Chiara poté così conoscere poeti affermati, ai quali era arrivata chiarissima l’eco della sua prima raccolta e ai quali quel talento non poteva sfuggire; caso mai, stiamo parlando di Giuseppe Yusuf Conte, Tomaso Kemeny, Nicola Crocetti, Vivian Lamarque, Giampiero Neri, Franco Buffoni; poté organizzare serate, come quelle della Casa della Poesia Alda Merini, e frequentare occasioni, come i reading e gli happening, le cerimonie e i premi, ebbe i primi riconoscimenti ufficiali, poté conoscere e far lievitare dentro di sé nuovi fermenti.
Intanto, ebbe l’onore di essere tradotta per il mercato internazionale: “In medias res” diventò in un incanto “Where did we leave?” e cioè, più o meno: dove eravamo rimasti?
Eravamo rimasti che dopo la prima raccolta, Chiara Evangelista pensò dunque di scriverne un’altra.
Ci ragionò per un po’, chiese consigli in giro, poi fece di testa sua, seguendo la sua vocazione.
Nel 1981, dopo lo straordinario successo, vero e proprio fenomeno sia artistico, sia sociale, della sua opera prima “Ricomincio da tre”, chiesero un giorno a Massimo Troisi se stesse pensando ad un secondo film. “No, no, sono tutti pronti a darmi addosso, caso mai non mi esce bello come il primo” – rispose lui, con la sua solita, ineguagliabile, malinconica ironia – “Il secondo film, non lo faccio. Passo direttamente al terzo”.
Chiara invece ricominciò da due, ricominciò da dove era rimasta.
Ed ecco uscire, sempre per iQdB, I Quaderni del Bardo di Stefano Donno Editore, “Più probabile che non”, con prefazione di Tomaso Kemeny, e postfazione di Donato Di Poce, i quali, e giustamente, e da par loro, la collocano in scenari letterari internazionali, le cuciono addosso opportune, quanto appropriate citazioni, e un po’ insomma, il primo da nonno, il secondo da zio, se la coccolano pure.
Sostanzialmente, in “Più probabile che non” – e certo era appunto più probabile che non – Chiara prosegue il cammino intrapreso nella stessa direzione, ma strada facendo intravvede nuovi scenari.
Due esempi, con brevissimi estratti, perché la poesia bisogna leggerla, direttamente e per intero, sui libri, cartacei o digitali che siano, in cui è stampata, per poterla cogliere e sentire.
Per il primo versante, ecco che l’amore di cui dicevamo è diventato
“A volte un aforisma,
altre una risma di asma
che ansima per l’ansia
di una pessima grafia”
e comunque
“sarà sempre una
proposizione concessiva
e mai prescrittiva”.
Per il secondo versante, ecco una folgorante intuizione poetica, in un attimo di eternità, quale quella della donna che dice al suo uomo “Avrai una donna con le occhiaie”, sì,
“autobiografie di battaglie
vissute tra le rime delle palpebre
e profondissime tenebre.
Avrai una donna con le occhiaie,
cronologie delle sue giornate
passate a riemergere da macerie”.
E qui ritorna Massimo Troisi, ritorna l’emozione allo stadio puro, ritorna un telefono cellulare, e ritorna pure il papà di Chiara.
Ma andiamo con ordine e vediamo.
Intanto era Massimo Troisi che diceva “La poesia non è di chi la scrive, ma di chi gli serve”.
Poi, allora, in uno dei lunghi e afosi pomeriggi dell’estate salentina, l’ultima appena trascorsa, al papà di Chiara squillò il cellulare. Era un video. Un amico gli aveva mandato un filmato, che stava girando sul web, una scena da un matrimonio, e che in breve diventò virale.
Nel video si vedevano gli sposi seduti al termine della cerimonia con rito civile, col sindaco con tanto di fascia tricolore in piedi davanti a loro che nell’unanime attesa era pronto a dare lettura, come da consuetudine, degli articoli del codice civile che regolano il matrimonio.
Ma che fa il sindaco, fra il compiaciuto stupore degli invitati? Invece di aprire il codice, tira fuori di tasca un foglietto, e agli sposi si mette a leggere una poesia.
Se non avete ancora indovinato di quale poesia si tratti, potete scoprirlo qui, ciliegina sulla torta la gamba di una delle invitate che piglia a battere il tempo come un metronomo:
“Mi ha fatto un effetto incredibile pensare che quelle parole che avevo scritto io potessero servire a qualcuno per dichiarare pubblicamente il valore dell’ amore“, ha commentato Chiara Evangelista.
Ora le è più facile far capire a tutti che la letteratura per lei non è un hhhobby fantozziano.
E che l’ha coltivata, con grandi sacrifici: “Non è stato veramente facile in questi anni restare in regola con gli esami e continuare la letteratura che pian piano mi ha occupato sempre più tempo e spazio”.
Beh, però ora è più facile, ora che, fra le altre cose, negli ultimissimi tempi ha tenuto su invito, da relatrice, una conferenza sulla propria poesia, intitolata “Con il rispetto della parola e con l’autenticità dell’anima”, alla prestigiosa università Iulm di Milano, e ha preso a collaborare, scrivendo recensioni, con prestigiose riviste letterarie e importanti istituzioni culturali, fra cui l’edizione on line del “Corriere della Sera”.
Le farà benissimo per la sua maturazione artistica.
A proposito, mi pare di ricordare vagamente di tanti giovani di belle speranze che ebbero modo di formarsi e di scrivere iniziando a collaborare al “Corriere della Sera”…Meglio non fare i nomi.
C’è tempo.
C’è tempo pure per la poesia, che si sente e basta, se c’è, quando c’è.
Ci sarà. E verrà di nuovo, come sempre, da sé.
Sì sì, ma adesso è tempo di affrontare l’esame di procedura penale, tosto, un mattone pesantissimo, che però non può più aspettare, sulla strada per la laurea in legge.
La scrivania di Chiara Evangelista in questi giorni è così
Ma ciò nonostante, fra un articolo del codice di procedura, e un comma bis e ter, in medias res, lei continua a crederci, ora giustamente più di prima, perciò più probabile che non che si racconti nel silenzio dello studio, che un nuovo carme le sta nascendo dentro, spontaneamente e nei versi più giusti, e sente un’eco lontana:
“Sponte sua carmen numeros veniebat ad aptos,
et quod temptabam dicere versus erat”.
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