LECCECRONACHE / AMARCORD DEL PRECETTO PASQUALE
di Raffaele Polo______
Sembra ieri che, a scuola, facevamo ‘il precetto’, ovvero ci recavamo, in fila sotto la guida di un paio di professori, in una chiesa (io ricordo Santa Rosa, per tutte) ad assistere alla Messa e fare la Comunione, nell’appressarsi della Pasqua.
Era una bella ricorrenza perché ci consentiva di non stare in aula e ci apriva ufficialmente la vacanze pasquali. E ricordo che il tempo è stato sempre clemente, in quella occasione: una splendida giornata primaverile, proprio adatta a…
Ecco, voglio essere sincero: a quell’età, il nostro pensiero era dominato da due grandi argomenti: giocare a pallone e avere la ragazza.
Potete girarci attorno quanto volete, ma allora era così. Non so adesso, sicuramente le cose sono cambiate e ci sono altri interessi, io parlo di un altro mondo, del secolo scorso, dei miei ricordi che mi sembra ieri che mi mettevo in fila, dietro, con gli altri, pronti a scappare, in vista della chiesa. Sì, perché il nostro programma era quello di non entrare in chiesa, ma andare nei campetti di Santa Rosa a giocare a pallone. Dopo un paio d’ore, ci saremmo riuniti alla folla che sciamava fuori dall’edificio sacro e, allora, ci saremmo dedicati al corteggiamento e all’accompagnamento delle ragazze. Il programma, ogni volta, era questo. E ogni volta lo abbiamo messo in atto, con accurata preparazione.
Ad esempio, passando davanti al mercatino di Porta Rudiae, due di noi si occupavano di ‘fare i filoni’. Con una colletta preimpostata e considerando che un filone di pane costava 45 lire, si prendevano le ordinazioni dei compagni e si portavano al salumiere che, anche lui legato alla tradizione, l’ aspettava con ansia, delegando il giovane di bottega alla bisogna. I filoni, che poi tagliava a metà, diventavano ottimi panini, riempiti con i tradizionali tonno, svizzero e capperini oppure svizzero e mortadella. Una volta, su suggerimento, ho provato i pesciolini con la ricotta forte, ma non l’ho più fatto…
Poi, col prezioso fardello delle cose da mangiare, ci accodavamo di nuovo al gruppo, fino a raggiungere la chiesa, dove ascoltavamo impassibili l’arringa e le minacce dei professori e del preside. Non appena gli alunni venivano fatti entrare (prima le ragazze, era consuetudine) sparivamo, per ricomparire all’uscita…
Il campetto era a due passi dalla chiesa, c’erano già le due rozze pietre a simulare la porta, pochi accordi per formare le squadre e poi via, tutti dietro al pallone per una lunga tenzone intervallata dalla consumazione veloce dei mezzi filoni che, quasi sempre, erano addentati ‘in gioco’ ovvero senza sospendere la partita…
Poi, rientro alla normalità: e con facce contrite, eccoci ad aspettare le ragazze fuori dal portone, incuranti degli sguardi accigliati dei professori.
“Non ti ho visto in chiesa, dove eri?” mi diceva la mia compagna preferita.
“Come, proprio dietro di te…” mentivo con forza.
“Sì, sì, sei andato a giocare…” diceva lei.
Allora, le prendevo la mano e le sussurravo “Ma ho pensato sempre a te”. E l’accompagnavo fino a casa, fermandomi un po’ prima, caso mai ci vedessero i suoi.
Eh si, sembra ieri che, a scuola, facevamo ‘il precetto’…
N.B.
Cosa c’entra il Coronavirus? Non so, oggi non avremmo potuto fare neanche il precetto, ammesso che questa usanza sia ancora in voga. E neppure i panini, e neanche la partita.
E niente pesciolini con la ricotta forte che mi disgustarono quella volta, ma adesso li mangerei volentieri….