INSTANT STORY, UN RACCONTO SCRITTO A QUATTRO MANI SULL’ATTUALITA’ / L’ultima Dea
di Sara Foti Sciavaliere e Giuseppe Puppo______
Illustrazione di Giuseppe Mauro______
Non si ricordava più come cominciò. Si vive solo due volte, è chiaro: della sua prima vita Luisa Savoldiani sapeva tutto, della seconda, che aveva comunque iniziato, ancora niente, lo sentiva, o comunque ancora troppo poco.
Dell’una sfilava i giorni tutti uguali come granelli di un rosario che non portavano mai da nessuna parte, dell’altra prendeva in maniera ingorda i momenti di felicità.
Dio mio, perché amiamo così tanto quello che non conosciamo? Perché ne siamo attratti in maniera tanto perentoria, quanto irresistibile? Perché di grazia ci piace quello che è proibito? E perché, perché si gode così tanto, a far peccato?
Se lo chiedeva spesso, senza rispondere, solo per cercare di giustificarsi, mentre si dibatteva fra i rimorsi per la sua purezza perduta. La contrapposizione fra purezza e peccato in Alessandro Manzoni fu il tema della maturità che aveva oramai dimenticato, se non quando, un giorno, all’improvviso, tanti anni dopo, si ritrovò a riscriverlo, ma questa volta fra le pagine chiare e le pagine scure della sua esistenza.
Comunque cominciò che voleva parlarle.
Embè, i grandi amori si annunciano in maniera inequivocabile: appena lo vedi, pensi – Ma adesso chi è questo stronzo?
“Stagadré!”, le disse la prima volta che lei vide gli occhi suoi. Nei secondi precedenti in cui aveva fatto irruzione nella stanza degli infermieri senza nemmeno che lei lo guardasse, impegnata come era a finire le note sulle cartelle cliniche dei pazienti, l’aveva pregata di badare in maniera particolare al vecchio padre che avevano appena ricoverato, perché – aveva spiegato, o almeno così le era sembrato di capire – timido e bisognoso di attenzioni, più che di cure, ora che, cadendo per strada, si era fratturato un femore.
“Stagadré!” furono però le prime parole che percepì nitidamente, anche perché non furono più sottovoce, ma si infransero in maniera stentorea nel silenzio ovattato del reparto, per quanto fossero un’accorata implorazione, più che un invito perentorio.
Non le disse con le labbra, le disse con gli occhi. Non finirono nei suoi orecchi, finirono nel suo cuore.
“Tegn a mènt….Sta so de dos!” – gli rispose. La prima frase arrivo pressoché integra, la seconda le si strozzò in gola. Forse fu per questo che ottenne praticamente l’effetto contrario.
All’uscita a fine turno, quel giorno stesso se lo ritrovò al parcheggio dell’ospedale. Le aveva portato un regalo a suo dire preziosissimo, una maglietta della Dea autografata a pennarello dai calciatori, vuoi mettere?
Nera e azzurra. Nera come le sue ciglia, azzurra come gli occhi suoi.
Dea cioè l’Atalanta, come era chiamata dai suoi tifosi la squadra di calcio.
Dea cioè Dipartimento Emergenza Accettazione, come era chiamato dai sanitari il posto dove lavorava lei.
Un segno del destino, forse?
Carlo Alberto Bonomi Locatelli, per tutti semplicemente Bonom, non sapeva cosa fosse l’eterogenesi dei fini.
Voleva solo essere gentile, con lei che era addetta alle cure quotidiane per l’anziano genitore, come aveva scoperto dopo una rapida indagine, le spiegò qualche giorno dopo, la prima volta che si baciarono, subito dopo quel primo bacio, lungo, lento, profondo.
Chiusi in macchina, erano stati a lungo a parlare, raccontandosi e il parcheggio del centro commerciale, nell’hinterland di Bergamo, dove erano andati a fare apericena in un bar gestito da un suo amico, era diventato deserto, spettrale quasi, con l’effetto delle luci che bucavano sempre più a fatica il velo di nebbia tutt’intorno.
Non faceva tutto sommato nemmeno tanto freddo.
La radio passava “Stupid love” di Lady Gaga.
“È stupido l’amore?” – chiese Bonom, approfittandone per rompere quel silenzio denso di significati subentrato all’improvviso dopo tanti discorsi.
“Ma no!” – rispose Luisa, sorridendo, e, forte dei corsi di Inglese che, un po’ per piacere personale, un po’ per esigenze lavorative, ma anche per la speranza di socializzare, aveva frequentato negli ultimi anni, cominciò a tradurre.
“Sei quello che stavo aspettando
Devo smettere di piangere, nessuno sentirà
Guariscimi se non aprirò la porta
Difficile da credere, devo avere fiducia in me” Guarda che dice così, la canzone” – gli disse, guardandolo negli occhi.
Le loro mani si cercarono, e si trovarono.
“E poi? Che dice poi?” – chiese lui.
“Impazzisci! Dice di impazzire” – rispose lei – Dice: impazzisci, impazzisci, impazzisci. Guardami negli occhi. Fermati, fermati, fermati…Guardami negli occhi. Impazzisci, impazzi…impa…”.
I loro respiri diventarono uno solo.
Forse chiamiamo amore solamente quello di cui abbiamo bisogno in un determinato momento, quando, in un determinato momento, lo troviamo.
Bonom non ci credeva più da tempo, era stanco di tutte quelle storie inutili che poi lo lasciavano sempre solo come prima, più di prima.
Da anni ormai si riempiva le giornate di lavoro, andando in giro fra i paesi della Bassa e delle valli, e poi su e giù intorno a Lodi, e fino alle porte di Milano. A casa dai suoi ci stava giusto poche ore per dormire, così tutti i santi giorni, a fare il rappresentante di articoli sportivi.
Poi, arrivava il fine settimana: c’era l’Atalanta da seguire, gli amici del club, il pre partita, la partita, il post partita in pizzeria, e spesso pure le trasferte, in giro per l’Italia, la Dea la sua passione.
Ma mancava qualcosa, e certo.
Luisa nemmeno lo cercava, aveva smesso di farlo. Delusa, disillusa, disincantata, si appagava del suo lavoro che considerava una missione, felice che tutti la considerassero una professionista generosa, altruista e competente, e poi a casa c’erano i genitori da accudire, dal momento che stavano diventando insomma un po’ anziani, e le giornate si sovrapponevano le une alle altre, ma andava bene così, era per tutti proprio una brava ragazza, considerata e stimatissima, e pure il gruppo di volontariato prendeva con lo stesso impegno, quando era libera dai turni in ospedale.
Ma i conti non tornavano, e certo.
Quell’amore appena sbocciato faceva quadrare i conti a tutti e due, e dava ad entrambi ciò che mancava, quello di cui avevano bisogno.
Nessuno dei due nei giorni seguenti cercò di cambiare l’altro. Nessuno dei due era andato mai oltre quel po’ che si erano raccontati la sera del primo bacio. Magari per paura di apparire inopportuni, o invadenti, o forse per timore di rompere l’incantesimo con qualche mossa sbagliata.
Le uscite serali si intensificarono, il desiderio di ritrovarsi in un’auto, col freddo ancora pungente fuori, con calore del sesso dentro, aumentava di giorno in giorno sempre di più.
L’ultima volta, però, lui le aveva fatto una proposta indecente. Che non era quella di fermarsi in albergo a Milano, la notte, no, era inevitabile che prima o poi dovesse accadere, che si ritrovassero con più tempo e, diciamo così, maggiori comodità. La proposta indecente che proprio non si aspettava era un’altra, per quanto strettamente collegata.
L’Atalanta, squadra delle meraviglie, oltre a dare soddisfazioni nel campionato nazionale, aveva passato il turno preliminare di Champion League, la prestigiosa competizione europea cui partecipava per la prima volta, ed era arrivata al turno successivo, a eliminazione diretta, andata – ritorno contro il Valencia.
L’andata era a San Siro, il 19 febbraio, annunciò Bonom, con tutta la solennità del caso, per poi aggiungere, con tutta la dolcezza del caso: “Ci vieni insieme a me? Magari ehm ci fermiamo a Milano dopo la partita, passiamo la notte insieme, ehm, sì insomma possiamo fermarci a…a dormire…da qualche parte in un albergo vicino allo stadio. Che ne dici? Vuoi, sih? Se ce la fai ad aggiustare i turni in ospedale?”.
Luisa, Luisa che in vita sua non aveva mai visto una partita di calcio e che non era mai scesa in una camera d’albergo clandestina, non ci pensò su neanche un attimo, e alle due proposte indecenti, in contemporanea fece segno di sì con la testa, una dopo l’altra, e poi aggiunse: “Non sono mai andata in uno stadio e non sono mai andata in una camera d’albergo con un uomo…Ma…C’è sempre una prima volta, no?”.
Chi ama non riconosce niente e nessuno, è straniero ad ogni evento, qualunque esso sia.
Pure chi non ama, però, difficilmente riesce a capire con lucidità quello che sta accadendo da qualche altra parte del mondo, nelle nostre città oramai pressoché tutte uguali, metropoli globalizzate, problematiche, anonime, ipocrite, indifferenti, egoiste ed emarginate.
Le cronache dei giornali radio sentiti in macchina durante gli spostamenti, i telegiornali visti di sfuggita al Bar dello Sport, o lavando i piatti del dopo cena, cominciavano a raccontare in quei giorni di una strana malattia che si era sviluppata in Cina, messa in stato di assedio dalle autorità: facevano vedere una specie coprifuoco di isolamento in una zona grande quanto l’Italia intera, dove, dicevano, ci si ammalava e si moriva per un virus misterioso, fino ad allora sconosciuto.
Ma la Cina è lontana dalla Lombardia, pensavano tutti, nonostante in tanti facessero i pendolari per lavoro Milano e zone limitrofe con Pechino, e regioni varie collegate, per non dire dei turisti cinesi che regolarmente venivano a fare shopping nelle nostre città d’arte e di made in Italy.
È lontana pure da Valencia, pensavano là, e poi, dai, sarà un’influenza appena più pesante, dicevano rassicurati dalle prime notizie.
Bonom continuò regolarmente a fare la spola fra Bergamo, Lodi, Legnano, Crema, Cremona e dintorni.
Luisa continuò regolarmente a fare i turni al Pronto Soccorso dell’ospedale.
Ma tutti e due non pensavano ad altro se non a contare i giorni che mancavano a quel fatidico mercoledì 19 febbraio.
San Siro è il quartiere di Milano che più piaceva a Bonom. San Siro non è solamente lo stadio, che, fra l’altro, adesso ufficialmente si chiama Giuseppe Meazza, ma un’intera zona, fatta di altri complessi sportivi, come il trotter, l’ippodromo e il palasport, ma anche grandi strade piene di auto e palazzi, viali alberati, giardini, palazzine e villette.
Quante volte l’aveva girato in lungo e in largo, fra i parcheggi stracolmi a perdita d’occhio, prima di qualche partita, in cui giocava in trasferta l’Atalanta, da solo, senza gli altri del suo club di tifosi?
La sera di mercoledì 19 febbraio 2020 Bonom rifece tutti quei dintorni, ma non da solo. Aveva Luisa affianco a sé.
Erano arrivati con largo anticipo, ora se ne stavano là davanti, nei dintorni aspettando di prendere posto fra quelli del club dei suoi amici.
Si baciavano con gli occhi.
Si erano già ubriacati, correndo per la Stazione Centrale, per l’affollatissima Metropolitana, e non con le bottiglie di birra che avevano bevuto, scambiandole in segno di amicizia anche con i tanti tifosi del Valencia, che erano nel frattempo arrivati anch’essi numerosi: si erano ubriacati di felicità.
Da Bergamo, muovendosi per tempo, fin dal primo pomeriggio, avevano anticipato l’esodo di proporzioni bibliche che dalla città si gonfiava verso la metropoli.
Quella sera a San Siro erano in quarantacinque mila a sostenere l’Atalanta, tanti pure dalla provincia di Lodi, visto i tanti tifosi della Dea residenti a Codogno e a Crema.
Sugli spalti, era una bolgia gioiosa.
Il dio Eros fece poi visita alla Dea Atalanta, più tardi, prima che spuntasse l’alba sul piazzale alberato che si vedeva dalla loro camera d’albergo.
Tira e molla fra autorità varie ed eventuali più o meno competenti, alla fine, giusto in tempo per i preparativi necessari, per la seguente trasferta dell’Atalanta fu deciso che la partita si sarebbe disputata regolarmente, domenica 1 marzo 2020, e che si sarebbe disputata a porte aperte, con la presenza dei tifosi sugli spalti.
Bergamo è lontana da Lecce.
Per Luisa Savoldiani e per Carlo Alberto Bonomi Locatelli detto Bonom, quella loro seconda volta fu una decisione improvvisa e inventata, in maniera uguale e contraria a quanto fu attesa e organizzata la prima.
Detto fatto, insomma, rapidamente come le auto a Brembo Nord.
Al casello autostradale, dove si erano dati appuntamento, appaiono per un attimo e subito dopo sono già scomparse, portandosi via quelli che ci sono sopra, le loro gioie e i loro dolori, storie che passano veloci e se ne vanno via per sempre, e c’era molto di affascinante, tanto di terribilmente strano in tutto questo.
Quel sabato mattina, un attimo fu pure raggiungere trafelati il gate di Orio al Serio prima che chiudessero l’imbarco, e ritrovarsi all’arrivo, mano nella mano seduti accanto a bordo, così come erano partiti, all’aeroporto del Salento a Brindisi.
Scesero all’Hotel Tiziano, da là mossero a piedi al pomeriggio per un lungo giro nella città degli splendori del Barocco.
Una calma anomala per le vie di quel centro che dalle immagini televisive sembravano in genere tanto animate. Un tempo quasi sospeso che facevano gustare ancora di più la loro vicinanza e la camminata rilassata per i vicoli e le corti.
Una sosta in quel bar che guardava i resti dell’anfiteatro nel cuore della piazza principale, sotto a una colonna imbragata dalle impalcature. A un caffè e uno di quei dolci golosi di cui avevano sentito parlare, di pasta frolla e crema pasticcera, non potevano proprio rinunciare.
Si ritrovarono poi con gli altri a cena in una pizzeria dalle parti di Porta San Biagio.
Furono di nuovo soli nella loro camera d’albergo per una lunga notte d’amore, che durò fino al mattino successivo della domenica, appena il tempo, sempre impazziti di splendore, di muoversi verso lo stadio di Via del Mare e poi a sera di nuovo in navetta all’aeroporto e con l’aereo di nuovo verso Orio al Serio, da là un passaggio fino al casello di Brembo Nord, da dove ripresero le loro auto e fecero ritorno a notte fonda alle loro rispettive abitazioni.
Sapevano, Luisa e Bonom, ne erano perfettamente consapevoli, che il dio Eros aveva tenuto insieme a sé, per tutti quei giorni, l’ultima Dea Atalanta.
Non sapevano però, non potevano saperlo, che li stava seguendo ed era già sulle loro tracce il dio Tanatos.
Non si videro a Bergamo nei giorni seguenti.
Bonom rimase a casa, il suo fisico possente cominciò a debilitarsi ora dopo ora, fino a che nel letto si sentì come sdraiato per terra sull’asfalto su cui era passato sopra un Tir.
Luisa non rispondeva al telefono, rimasero senza risposta pure i vocali su WhatsApp e i messaggini.
Poi, non ebbe più la forza nemmeno di riprovarci.
Vennero a prenderli con le ambulanze, a lui e a suo papà, i marziani dell’altro mondo.
L’ultima percezione che Bonom ebbe, fu che Luisa non c’era, al Pronto Soccorso dell’ospedale, in quella bolgia infernale, più terribile della più cruenta scena di guerra che avesse mai potuto immaginare
Poi lo intubarono, e non capì più nulla.
Il lunghissimo corteo di camion militari si mosse lento, disperato e disperante, nell’ultimo freddo di quell’inverno micidiale del Nord che non conobbe primavera, da Bergamo, verso Modena.
Le bare custodivano i corpi dei morti destinati alla cremazione.
Erano tutte uguali.
Solo due si distinguevano, nella tragica fila del dolore atroce, a pochi metri di distanza.
Sopra l’una aveva una maglia neroazzurra, con un numero e una scritta, ILICIC 9.
Sull’altra pure c’era una maglia neroazzurra, autografata a pennarello da tanti nomi strani.
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Lecce, 29 marzo 2020
Gli avvenimenti qui raccontati sono di fantasia. Ogni riferimento a fatti o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.______
Sara Foti Sciavaliere, 37 anni, giornalista/blogger, guida/accompagnatrice turistica, di origini pugliesi, è vissuta tra Calabria e Sicilia, ma ha deciso di mettere radici in Salento. “Piacevolissimo, avvincente, intrigante“: è stato definito così dalla critica il suo romanzo d’esordio, appena uscito, da pochi giorni, per le Edizioni Il Raggio Verde, “La Sposa del Chiostro“.
Giuseppe Puppo, 62 anni, giornalista di cronaca, attualità e cultura, leccese, ha collaborato a quotidiani e settimanali, ed ha scritto diversi libri di inchieste e approfondimenti, e cinque opere teatrali. Da dieci anni è tornato nella sua città di origine, dove ha fondato il quotidiano leccecronaca.it che dirige.
Giuseppe Mauro, 23 anni, di Galatina, dopo la maturità classica ha intrapreso gli studi di “Design della Comunicazione” presso il Politecnico di Milano. Nel 2018 pubblica per iQdB Edizioni il suo primo ebook, Onda Type, che si posiziona al primo posto nella classifica Amazon, nella sezione “Design”. È appassionato di cinema e fumetti.
Category: Cultura
Bello, amaro…Bravi!
Complimenti ancora. Ottima gestione della dimensione narrativa, tra realtà e fantasia…