LECCECRONACHE / E DAI, FATTI UN GIRO…
di Raffaele Polo______
Dove si va?
“Esci!” dice mia moglie. “Fatti un giro qui attorno, respira un po’ d’aria e poi ti fai venti minuti di tapis roulant.”
Lei la fa facile, con quel maledetto tappeto che scorre non sono mai andato d’accordo: anche all’aeroporto, dove ci sono i nastri trasportatori, mi sento a disagio e non vedo l’ora di raggiungere la terra ferma.
“E non mettere 1,50, aumenta un po’ la velocità” aggiunge con tono ironico la consorte. Il citato 1,50 è la velocità, ovvero una camminata sostenuta che, già di per sé, mi esaurisce, dopo venti minuti e 400 metri percorsi. Mia moglie si vanta perché lei utilizza 2,50, addirittura 3,00 e fa molto più di venti minuti.
Questo maledetto oggetto che scorre mi sta proprio sullo stomaco, sopporto i venti minuti di condanna solo perché metto lo schermo del televisore difronte e scelgo un film, possibilmente in bianco e nero, mi appassiono alla trama e dimentico che sto ‘camminando’, pur rimanendo fermo, in un angolo del mio studio, circondato dalle usuali cose di tutti i giorni, meno male che c’è questa forma di stabilità che infonde sicurezza. Non mi spostate i libri, per carità! E quel quadro, adesso è storto, ma non ve ne accorgete? Sono fissato, forse; ma mi accorgo subito se qualcuno tocca le ‘mie’ cose, e mi sento a disagio.
Torniamo a noi.
Con insofferenza e difficoltà, infilo il giubbotto (il cappotto no, è troppo pesante, ormai siamo in primavera) ed esco fuori, oltrepasso il cancello e guardo attorno a me. Niente, nessuno, solo le vie deserte, con qualche auto ferma davanti alle villette.
Io abito in periferia, quasi in campagna, mi piace perché ho sempre dei gatti in giardino, l’altro giorno ho intravisto una volpe, in lontananza, e la Natura mi fa udire cinguettii e fruscii che, in città, non si notano.
Vado a sinistra, ho deciso di fare il giro dell’isolato (in realtà sono due villette adiacenti) e mi accorgo che, dietro casa, la strada finisce e c’è una parvenza di bosco, chiuso poi da un alto muro.
Non ci avevo fatto caso, mi addentro in quella piccola foresta abbandonata e mi sembra di essere nel bosco di Academo…
Sì, proprio alle porte di Atene, dove si riunivano i filosofi amici e antagonisti di Platone, attorno al monumento funebre di questo mitico eroe greco che la tradizione voleva fosse sepolto lì. E mi sembra di vederli, paludati con le loro tuniche, a discettare di tutto quello che, ancora oggi, ci assilla: chi siamo?, dove andiamo?, come dobbiamo vivere?, meglio una vita lunga e tranquilla o corta e gloriosa?
Domande che non avranno mai una risposta o, al contrario, con una risposta diversa per ognuno di noi, alla perenne ricerca di risposte sicure e precise…Ma, pensandoci bene, ci conviene avere una risposta a questi interrogativi? No, meglio di no.
Mi sposto a sinistra, compio la circumnavigazione del mio isolato, eccomi di nuovo davanti al cancello di casa, la gatta è ancora incinta, mi fa le fusa, lei non si chiede nulla, forse è felice per i croccantini che riesce ad avere da me, che sono per lei una sorta di gran Demiurgo.
Rientro in casa, scelgo sul televisore l’ennesimo film di Totò (ne fanno sempre qualcuno, su canali diversi) e metto in moto il tapis roulant: terminano le mie elucubrazioni ‘accademiche’, mentre cammino da fermo, lascio perdere il Coronavirus, Platone, l’Accademia e il Mistero della Vita.
E mi scopro a sorridere ancora una volta alla storica frase: “ Per andare dove dobbiamo andare noi, dove si va?”