INSTANT STORY, UN RACCONTO SCRITTO A QUATTRO MANI SULL’ATTUALITA’ / “Ce la faremo”
di Sara Foti Sciavaliere e Giuseppe Puppo______
Illustrazione di Giuseppe Mauro______
Non c’era niente da fare, troppo forte quel pensiero che gli ricordava un destino condiviso da tutti gli amanti senza speranza. Al settimo giorno di arresti domiciliari forzati dall’emergenza sanitaria in atto, l’avvocato Ronzino Rizzo prese le sue decisioni: se proprio doveva morire, almeno sarebbe morto contento.
Si convinse pertanto di quello che già sapeva, che l’amore brucia la vita, e fa passare il tempo.
Guardò allora con sopportabile sufficienza fra le stanze del suo Mulino Bianco, quell’attico ai Salesiani diventato da una settimana le sue prigioni.
Si era svegliato presto, dibattuto fra il tormento del vano desiderio e l’inquietudine dei sogni convulsi, e si era rifugiato nel suo studio, per mettersi in ordine le idee.
Ora che lo aveva fatto, rifece il percorso domestico all’incontrario.
Fece finta di risistemare le cartelline delle pratiche ammassate le une sulle altre, in attesa di tempi migliori, come se avesse lavorato.
Non osò entrare né nella camera della figlia più grande, da cui non veniva nessun suono, nessun rumore, immaginandola alle prese con il telefonino in modalità aereo, né in quella del figlio minore, da cui giungeva invece l’eco ridotta di un brano musicale, scivolando imbarazzato davanti alle porte chiuse.
Sbirciò appena, in un soprassalto di dignità, nella camera del loro lettone, in cui stava ancora la moglie, apparentemente addormentata. Apparentemente. Quei pochi secondi di uno sguardo furtivo con gli occhi abbassati per la vergogna, le erano bastati per chiedergli di andare vicino a lei, come se gli avesse letto nei pensieri di quella mattina.
L’avvocato Ronzino Rizzo deglutì a fatica.
Era un anno ormai – se ne rendeva conto – che aveva ridotto al minimo sindacale i doveri coniugali, di dimensioni sempre più ridotte e di qualità sempre più scarsa. Per riuscirci, sia pur in quel modo pessimo, poi, doveva pensare a Lucia.
Funzionava, almeno per quelle poche volte da cui non poteva esimersi, più o meno a cadenza mensile, quando proprio non riusciva a trovare più nessuna scusa plausibile. Allora, faceva sesso con la moglie, mentre pensava di far l’amore con Lucia: chiudeva gli occhi, la vedeva mentre si spogliava di fretta nei loro incontri clandestini, si focalizzava su un particolare della biancheria intima vagamente feticistico, e…
Adempieva.
Adempieva, e poi non vedeva l’ora di girarsi dall’altro lato e di dormire.
Con Lucia, invece, era tutto diverso, più o meno una volta alla settimana: aveva riscoperto con lei la voglia, il piacere, l’idea, e tante altre cose che sembravano dimenticate, o che forse non aveva mai conosciuto, almeno così. E quando ‘finiva’, aveva voglia di stare accanto a lei per sempre.
Forse l’amore questo è: se quando finisci, ma subito dopo, un attimo dopo che hai finito, hai voglia di girarti dall’altro lato, o di alzarti e di andare via; mentre se quando finisci invece non desideri altro che restare abbracciato, l’ istante reso eternità.
“Vado a fare il caffè” – rispose con malcelato imbarazzo – “Te lo porto”, aggiunse come per farsi perdonare di aver declinato più o meno gentilmente l’invito.
Il caffè venne su male.
Uscì amarissimo, come i suoi pensieri mentre lo preparava, perché non sopportava più l’idea di sapere Lucia da una settimana chiusa in casa con il marito, senza nessuna possibilità di sottrarsi, nemmeno per un po’.
L’idea del marito accanto a Lucia senza soluzione di continuità gli faceva ancora più male del fatto di non poterla vedere e meno male che riusciva almeno a non approfondire quei pensieri, almeno evitava di addentrarsi nei particolari, se no, lo sapeva già, sarebbe impazzito.
Una settimana, anzi erano oramai dieci giorni dall’ultimo appuntamento nel suo studio, gli sembrava un secolo.
Il tempo si dilatava come una tortura.
Ce la faremo, dicevano tutti in questi giorni, ma certo lui non ce la faceva più, a stare senza, e non era il Tribunale, lo Studio, il Partito, il Rotary e quant’altro con cui riempiva le sue giornate sempre fuori di casa, che gli mancava: gli mancavano le gambe di Lucia, con cui da un anno misurava la Bellezza del mondo.
Ce la faremo a vederci ancora, ce la faremo a stare insieme, pensò lui.
Non poter nemmeno comunicare liberamente era poi un supplizio ulteriore.
Basta, non ce la faceva più!
“Più tardi vado a fare una passeggiata in bici, almeno quello si può fare, da solo, vado a fare un giro in campagna verso Frigole, o Torre Chianca” – annunciò alla moglie, bevuto il caffè – “Non ce la faccio più a stare chiuso in casa…“.
Lei lo guardò stupita. Senza la Porsche, che usava ogni giorno regolarmente pure per andare al bar?
Sì, senza la Cayenne…E spiegò: se lo beccavano in auto, non avrebbe saputo come giustificarsi, per aver infranto la quarantena. Ma in bici, a fare una passeggiata in campagna, da soli si può, l’ha detto pure Giuseppi, più o meno.
“Mettiti la mascherina, i guanti, copriti almeno“, concluse subito lei, senza voler approfondire quella strana decisione, che comunque – ci voleva poco a capirlo – le era sembrata strana, molto strana.
“Sì, certo, prenderò una delle vecchie bici dei ragazzi in garage, userò tutte le precauzioni ” – la tranquillizzò, almeno così credette. E aggiunse sempre più a bassa voce. “…E mi vestirò sportivo, da atleta in allenamento, un casco ce l’abbiamo? Non vorrei che mi fregassero per il casco…“.
Bene, era andata.
Almeno questo, e si complimentò con sé stesso.
Ora, però, il casco, l’abbigliamento, la bicicletta se vogliamo erano il problema minore.
Ora arrivava il difficile.
Ora, bisognava dirlo a Lucia, avvertirla, sperare che potesse assecondarlo, e subito.
Sì, certo….Ma come fare?
Il suono della notifica di WhatsApp l’aveva strappata ai suoi pensieri. Tutto quel tempo a disposizione poteva investirlo in mille modi e invece troppo spesso si ritrovava a pensare a lui.
Si fermò a guardare lo smartphone con le mani impastate di terra e fertilizzante, alle prese con il travaso di una peonia che aveva comprato in un vivaio prima che tutto quel pandemonio avesse inizio, poi era rimasta in attesa in quell’anonimo vaso di plastica nera in un angolo della terrazza.
Quella mattina, con una tazza di caffè in mano, sulla soglia della porta-finestra dell’open space, sbirciava il cielo azzurro, quando un paio di passerotti saltellarono sul muretto dove aveva sbriciolato qualche biscotto per i suoi piccoli visitatori e allora scorse con la coda dell’occhio quella chiazza di colore acceso contro l’intonaco ingrigito.
Lucia Pierri era ancora inginocchiata ai piedi dell’ampia fioriera, con le mani sospese sul terriccio e lo sguardo sulla lucina che pulsava dietro la custodia di pelle del cellulare. Era lui? Rino. O almeno lo sperava, e il cuore le scalciò nel petto.
Erano dieci giorni dall’ultima volta che si erano visti e, in quello stato di isolamento, le sembrava un tempo infinito. Neanche un messaggio, giusto un like su un meme cretino che aveva postato su Facebook un paio di sere prima, esasperata dalle notizie assurde che intercettava sui social e annunciate in ogni programma TV sull’irresponsabilità di chi perseverava a ignorare il decreto governativo e le sue restrizioni.
Era necessario restare a casa, e a lei mancava l’aria, mancava lui.
Quindi sperava davvero che quel messaggio fosse il suo. Sapere che anche Rino la stesse pensando. Quella notte lo aveva sognato, ma forse solo perché era stato il suo ultimo pensiero prima di riuscire a prendere sonno e si era svegliata con la sensazione viva delle sue mani addosso, della sua bocca che la cercava, del suo desiderio intenso ogni volta come la prima.
Sobbalzò quando percepì il contatto di labbra che le sfioravano la pelle sensibile del collo, scoperto dai capelli alzati in uno spartano chignon.
“Che fai qui imbambolata?”. Era la voce di suo marito, chino alle sue spalle. Quel bacio improvviso sul collo aveva rimescolato le sue fantasie con la realtà e si trovò impreparata a rispondere. Temette di essere perfino arrossita per l’imbarazzo, come se fosse stata colta in flagranza. Evitò di guardarlo negli occhi e batté le mani l’una contro l’altra per ripulirle dalla terra, mentre prendeva tempo.
“Pensavo se questa storia durerà a lungo“, rispose alla fine. La prima cosa che le venne in mente, quella più banale ma anche la più vera, dopo il fatto che le mancava Rino e si rimproverò tra sé di non aver guardato ancora di chi fosse il messaggio che aveva ricevuto.
“Abbiamo più tempo per noi, quando ci ricapita?“, replicò il marito, bonario e comprensivo, scostandole una ciocca di capelli dalla fronte.
Lucia non disse nulla, si limitò a un sorriso tirato. Gli voleva bene malgrado conoscere Rino le avesse fatto capire che non lo amava più. Tradirlo la faceva sentire in colpa, i rimorsi erano diventati più forti in quei giorni di quarantena.
Poteva essere quel distacco forzato dal suo amante il momento per dare un taglio a quella follia?
Si rese conto che stava stringendo il cellulare in mano. Con un gesto non curante, attivò lo schermo dello smartphone e vi lasciò scivolare un dito che aprì la finestra delle notifiche.
Avv.Rizzo.
Era lui.
Il cuore accelerò di nuovo i suoi battiti.
Era diventata peggio di un’adolescente. Suo marito le parlò, ma aveva smesso di ascoltarlo. Si strofinò la punta del naso con il dorso della mano impolverata di terra e starnutì nella piega del comodo, le istruzioni su ovvie norme di condotta erano diventate uno snervante ritornello che riempiva ogni pausa pubblicitaria in TV e lasciava un’eco tra i pensieri.
“Vado a lavare le mani” – annunciò interrompendo qualunque cosa stesse dicendo il marito. Sparì nel bagno e chiuse la porta dietro di sé, portando a termine la pratica di igiene personale con il sapone all’olio di tea tree e, asciugando in fretta le mani, si sedette sul bordo della vasca idromassaggio.
Lesse il messaggio e si sentì avvampare fino alle orecchie. Non avrebbe mai creduto che Rino arrivasse a quello. Erano stati sempre molto cauti, nessun passo azzardato.
Adesso però voleva vederla, mentre il mondo era scosso da una pandemia e l’Italia tremava sotto gli assalti invisibili e inarrestabili di quel virus sconosciuto.
L’invito stringente a non uscire, i contagi che aumentavano e gli hashtag #iorestoacasa e #cela faremo che si moltiplicavano, eppure lui l’avrebbe aspettata su quella strada di campagna.
Lo ricordava il casolare dalle parete rosse stinte. Era parte di lascito, una questione contorta tra eredi in disaccordo. Lei era il perito chiamato a stimare la proprietà e lui l’avvocato della beneficiaria. Così si erano incontrati un anno prima.
Poteva essere la più ragionevole tra i due.
Non sapeva però quanto quelle restrizioni potevano andare avanti. Il 3 aprile non era dietro l’angolo, e se poi ci fosse stata un’ulteriore proroga?
Lucia voleva vederlo, era inutile girarci intorno.
Avrebbe rischiato.______
Lecce, 19 marzo 2020
Gli avvenimenti qui raccontati sono di fantasia. Ogni riferimento a fatti o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.______
Sara Foti Sciavaliere, 37 anni, giornalista/blogger, guida/accompagnatrice turistica, di origini pugliesi, è vissuta tra Calabria e Sicilia, ma ha deciso di mettere radici in Salento. “Piacevolissimo, avvincente, intrigante“: è stato definito così dalla critica il suo romanzo d’esordio, appena uscito, da pochi giorni, per le Edizioni Il Raggio Verde, “La Sposa del Chiostro“.
Giuseppe Puppo, 62 anni, giornalista di cronaca, attualità e cultura, leccese, ha collaborato a quotidiani e settimanali, ed ha scritto diversi libri di inchieste e approfondimenti, e cinque opere teatrali. Da dieci anni è tornato nella sua città di origine, dove ha fondato il quotidiano leccecronaca.it che dirige.
Giuseppe Mauro, 23 anni, di Galatina, dopo la maturità classica ha intrapreso gli studi di “Design della Comunicazione” presso il Politecnico di Milano. Nel 2018 pubblica per iQdB Edizioni il suo primo ebook, Onda Type, che si posiziona al primo posto nella classifica Amazon, nella sezione “Design”. È appassionato di cinema e fumetti.
Category: Cultura
Ottimo incipit di quello che mi auguro sia più che un semplice racconto. Bravissimi i nostri Frutteto e Lucentini
Bella storia! Attendo la continuazione..
Bellissimo inizio! Come finirà? L’amore salverà il mondo? Attendiamo il seguito.
È bello sapere che questa Istant Story nata quasi per caso e scritta davvero in poche ore abbiamo riscontrato tanti apprezzamenti… ma rispondendo ai commenti qui, e ad altri simili ricevuti in privato, il racconto non avrà un seguito, non è stato pensato come una lunga narrazione.
Che ne sarà allora dei due protagonisti?Come finirà la loro storia?…Lo lasciamo decidere a voi, sicuramente ciascuno avrà una propria idea.. Se dovessi dare il mio finale così in estemporanea? Forse i due alla fine non si incontrerebbero e lascerei il loro destino al decorso dell’allontanamento forzato.Ma è solo la mia idea
E chi lo sa, come andrà a finire?
Concordo con Sara.
Ma sì, un racconto è un racconto, mica un romanzo, brucia in fretta e si brucia in una momento, quello che vuole fissare.
Qui, prendendo spunto dall’attualità, abbiamo voluto fissare una situazione, “un destino condiviso da tutti gli amanti senza speranza” in questo momento particolare e già storico.
Beh però sono contento dei tanti riscontri positivi che abbiamo avuto, per questo esperimento “nato quasi per caso”.
Grazie a tutti dell’attenzione.
Sperimenteremo ancora su questa strada?
E chi lo sa?
Vorrei farvi sapere che ho letto questo meraviglioso e “fresco” racconto breve il giorno stesso della pubblicazione.
Ho voglia di commentare, di dirvi ciò che mi è piaciuto e ciò che mi ha fatto riflettere, ma per farlo, avrò bisogno di dividerlo in due commenti.
D’altronde, Sara e Giuseppe si sono impegnati tanto per crearlo, quindi il minimo che io possa fare è scrivere un mezzo papiro (scherzo! … mica tanto).
Commento sulla parte di LUI:
Quando ho iniziato a leggerlo, credevo di aver inquadrato il personaggio maschile fin da subito:
il solito sborone, che se le fa tutte, nonostante sia “non felicemente” sposato.
Ma poi, eccola, la frase che mi ha bloccato, mi ha terrorizzato per un attimo, che mi ha fatto cambiare espressione facciale, per un minimo secondo:
«Aveva riscoperto con Lucia la voglia, il piacere, l’idea, e tante altre cose che sembravano dimenticate, o che forse non aveva mai conosciuto, almeno così. E quando ‘finiva’, aveva voglia di stare accanto a lei per sempre.»
Credo di aver avuto questa reazione di sbigottimento iniziale, perché, è vero: tutti noi abbiamo paura di essere felici, perché forse significherebbe che poi alla fine andrà sempre male qualcosa, allora tanto vale essere un po’ tristi, no? Tanto per essere sicuri, dico.
Però questa frase ha messo a tacere la mia acidità e mi ha fatto capire quanto Rino fosse sensibile, gentile, amorevole…. ma con un’altra donna, non quella con cui era legalmente imparentato.
E alla fine ho pensato, è poi così sbagliato essere felici, dopo tanto tempo, ma al momento sbagliato?
Non so se il Dott. Puppo leggerà mai il commento per intero, ma se così non fosse per favore ditegli che la sua versione mi è piaciuta molto.
Alla fine, ho pensato “Dai, magari non sono tutti così stronzi eh”.
Commento sulla parte di LEI:
leggendo le prime righe di Lucia, ho subito pensato che le somigliassi molto… Mica per il pollice verde, io riuscirei ad uccidere anche una pianta di plastica.
Credo che siamo un po’ identiche perché entrambe smettiamo di fare quello che sta occupando il nostro tempo ora, se qualcosa di più importante legato al cuore ci sfiora, anche se per un attimo.
Quando ho letto questo pezzo, sono ritornata indietro di qualche anno, non so bene di quanto, ma non mi trovavo di sicuro in questa dimensione:
«Aprì la finestra delle notifiche.
Avv.Rizzo.
Era lui.
Il cuore accelerò di nuovo i suoi battiti.
Era diventata peggio di un’adolescente.»
Non ho mai smesso di essere un’adolescente sentimentalmente, ma era da un po’ che non provavo queste sensazioni..
Il cuore che ti batte, tu che sorridi per un messaggio, il battito che ti arriva fino ai timpani, ti guardi attorno per non sembrare una stupida e sperare che nessuno abbia visto il lato più vero di te.
Bhè, Lucia mi ha ricordato cosa mi piaceva tanto dei messaggi dei miei LUI: il fatto che fossero la cosa che più avrei voluto al mondo e che una volta arrivati, il mondo avrebbe avuto un altro sapore, anche solo per un attimo, per poi ritornare alla normale insipidità.
Non lo nascondo, mentre la leggevo pensavo che fosse una scema a pensare anche per un secondo di andarci, di vederlo…
Rischiare una multa (o peggio), per cosa?
Vederlo, baciarlo, anche solo abbracciarlo?
Ma in cuor mio mi ripetevo “Mamma mia, speriamo che ci vai, se no sei proprio scema Lucia, eh!”.
Perché è proprio vero:
critichiamo gli altri per quello che fanno, per come si atteggiano, ma alla fine sappiamo che noi vorremmo essere in grado di fare la stessa, identica cosa!
Sara, sei meravigliosa a capire Lucia e la sua situazione, quando vuoi, potrai aiutare anche me a trovare il mio Rino!
Un bacio alla redazione, un buon lavoro a tutti!