CLAUDIA ABATINO: LA MIA AFRICA (DEL SUD)
(g.p.)______“Una volta, la famiglia che mi ospitava per le mie interviste a Mutamba, mi offrì carne di elefante essiccata. Un atto di riguardo per me ospite, anzi di onore. Il consumo di carne è assai limitato, si nutrono prevalentemente dei prodotti agricoli. L’allevamento è diffuso, ma non a scopo alimentare. I bovini sono la vera ricchezza, sono come moneta. E capre e pecore, cedute al bisogno, servono ad acquisire nuovi capi di bovini, in caso di necessità, come per esempio in vista di un matrimonio, per la dote degli sposi”.
Visibilmente commossa, con i postumi dell’Africavirus della nostalgia, quella di Karen Blixen, di Hernest Hemingway, di Alberto Moravia, e di tanti altri, Claudia Abatino definisce il suo soggiorno in Sud Africa di due anni “un’esperienza bellissima, che vorrei assolutamente rifare”, e contagia sul momento anche il direttore del Museo Storico Archeologico dell’UniSalento, Jacopo De Grossi Mazzorin, anch’egli protagonista di viaggi di studio, presente questa sera in sala a fare gli onori di casa, ai banchetti del sapere, di questo meritorio ciclo di conferenze divulgative, “Ricerca che passione!”, giunto al secondo appuntamento.
Ma Claudia Abatino non è una scrittrice. Che c’è andata a fare laggiù, al Sud del Sud dei santi, e, con buona pace di Carmelo Bene, pure degli dei?
La ricercatrice, appunto. Ha vinto una borsa di studio e ha passato due anni fra i laboratori dell’Università di Pretoria e i villaggi al confine fra Sud Africa, Botswana e Zimbabwe, a studiare la gestione delle risorse animali in quella regione del Sudafrica, in particolare nel piccolo villaggio agro – pastorale di Mutamba (foto sotto, con la relatrice), nonché, attraverso gli scavi condotti nell’importante – nel Medioevo – centro di Mapungubwe (nella foto di copertina), ora posto sotto l’egida dell’Unesco, ad analizzare i resti faunistici nel frattempo rinvenuti, fra passato e presente.
E la pesca, vista la vicinanza del fiume Limpopo? Niente, non mangiano pesce, anzi lo ritengono un alimento non idoneo, al massimo sono i bambini a pescare, sulle rive del grande fiume, ma per gioco.
E la caccia? Poco e anzi niente, da parte degli indigeni. Rimane il problema dei controlli ai bracconieri, soprattutto per le specie protette, in via di estinzione, purtroppo sempre all’opera, data anche la scarsità di mezzi necessari per fermarli, e rimangono le riserve private, sfruttate economicamente: ma rimane soprattutto una mentalità diffusa fra gli Africans, i bianchi del Sud Africa, che la vede ancora come un atto ‘eroico’.
C’è molto ancora da lavorare, insomma, a livello culturale, l’unica soluzione possibile, per il futuro.
Per il resto, un’ora volata via con l’ insostenibile leggerezza dell’ essere, fra diapositive, analisi di documenti, di reperti, di testi, e racconti dei risultati acquisiti di etnoarcheologia.
Fra le rievocazioni delle grandi migrazioni dei Bantù, popolo di agricoltori e allevatori, dei secoli remoti, a quelle di quelli più recenti.
Fra i misteri, come la presenza di conchiglie – verosimilmente adoperate a scopo ornamentale e religioso – a più di quattrocento chilometri di distanza dal mare; o come della così detta ‘ambra grigia’, secrezioni delle balene, usate per i profumi: circostanze queste ultime che spingono a formulare l’esistenza di una vasta rete commerciale pure in tempi antichi, dal Medio Oriente, dall’India e dalla Cina.
Fra la comparazione di abitudini antiche e contemporanee di una vita quotidiana semplice, povera, ma bella.______
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LA RICERCA nel nostro articolo dell’ 11 febbraio scorso
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