ANTONIO ROTUNDO DEL PD C’HA AVUTO UN’IDEA. CARLO SALVEMINI L’HA DIFESA ED ESALTATA. E SI E’ BECCATO UNA VALANGA DI CRITICHE. LA PIU’ AUTOREVOLE QUELLA DI MICHELE CARDUCCI. TOCCATO, IL SINDACO SI E’ DETTO OFFESO. MA IL DOCENTE UNIVERSITARIO NON ARRETRA, ANZI: “Abbiamo il dovere di pretendere decenza”
(g.p.)______Da lunedì, divampa la polemica, su un argomento evidentemente sentitissimo, quale i gasdotti Tap e Snam, che negli ambienti di certa ‘sinistra’, fra Pd e dintorni, scorrono come veri e propri nervi scoperti.
Riportiamo in fondo il link del nostro articolo di lunedì mattina, con tutti i commenti che nel frattempo leccecronaca.it ha registrato sia direttamente, sia indirettamente, per completezza dell’informazione, in modo tale che chi avesse tempo e voglia di consultarli, possa farsi liberamente il proprio convincimento.
‘Stasera c’è però una novità. Il dibattito è salito di tono.
Fra le critiche, spicca quella del docente universitario Michele Carducci, fra i massimi esperti a livello internazionale di legislazione ambientalista.
Una scossa, per certi nervi scoperti.
Il sindaco Carlo Salvemini ha creduto di replicare.
E Michele Carducci gli ha risposto pochi minuti fa.
Crediamo che ai nostri lettori interessi approfondire almeno quest’ultima parte della questione, e perciò qui di seguito riportiamo integralmente quanto scritto dai due tramite social.
MICHELE CARDUCCI:
Gli argomenti del Comune di Lecce sono privi di qualsiasi ragionevolezza ecologica e sono molto preoccupanti.
Pensare ancora che i danni ambientali siano “adeguatamente compensabili” si può giustificare solo con l’ignoranza (nel senso non offensivo della parola, ossia “ignorare che cosa ignoro sulla dinamica dei danni ambientali nell’epoca del collasso ecosistemico e climatico, denunciato dall’intera comunità scientifica mondiale”).
Infatti, la letteratura scientifica dimostra che la (pseudo)soluzione degli “impatti rilevanti … adeguatamente compensati” non compensa proprio nulla, perché non incide sulla (anzi, contribuisce alla) c.d. “Chronic Disturbance” che ci ha portato ai problemi ecosistemici di oggi (è come presumere che siano “adeguatamente compensabili” gli “impatti rilevanti” che si continuano a perpetrare su un corpo malato). E’ francamente una pena che la politica non si renda conto di questa trappola e non si accorga dei tempi drammatici di emergenza ecosistemica e climatica che stiamo vivendo. Non si accorga che il corpo della Terra è malato.
Non c’è speranza con questi argomenti di para-responsabilità.
Non c’è speranza nel paese della “a-legalità” ambientale e delle “immunità speciali”, perennemente sotto diffida della UE per le traduzioni elusive italiane su VIA, VAS, partecipazione dei cittadini.
A che serve una politica “responsabile” che non si ribella a questa “a-legalità”? Che utilizza il dispositivo dello scambio col denaro per ritenere “adeguatamente compensabili” i “rilevanti impatti” consumati nella notoria elusione del diritto ambientale europeo da parte delle Istituzioni italiane? A che serve questa “responsabilità” piegata alla sola logica del denaro?
Nelle condotte individuali, orditi argomentativi come quelli del Comune di Lecce sarebbero prossimi, come minino, all’incauto acquisto. A livello istituzionale, sono inverosimilmente decantati come “responsabilità verso i cittadini”.
Ma a che serve questa “responsabilità” mercantile verso i cittadini? Che se ne fanno i cittadini dei soldi “responsabilmente” acquisiti da chi (garantito e reso immune dalla “a-legalità” ambientale italiana) violenta la natura e quindi il futuro stesso dei cittadini?
Il solito supporto argomentativo, poi, che tutto questo “impatto rilevante” sia legale e incontestabile perché avallato dalla giurisprudenza (da quella giurisprudenza amministrativa che, in Italia, ancora cavalca le formule magiche ottocentesche dell’ “atto politico” e della “insindacabiltà” della discrezionalità sulla “strategicità”: arcane alchimie, ignote alla Costituzione e figlie di una “legalità” autoritaria che vorremmo lasciarci alle spalle), è preoccupante e ridicolo. E’ preoccupante, perché si tratta, com’è noto, di un argomento non “logico”, né “valoriale” né di altro, ma solo ed esclusivamente di “autorità”; e gli argomenti di “autorità”, in un sistema di discussione democratica, dovrebbero essere sempre gli ultimi, mai i primi (lo si impara leggendo le straordinarie discussioni dei nostri Padri costituenti). E’ anche ridicolo, perché, in ambito ambientale, quello della “legalità” è l’argomento più debole, da ultima spiaggia, in quanto, nella realtà del rapporto tra natura e azione umana, la legalità è necessaria ma non è sufficiente a conoscere in profondità i problemi ambientali e soprattutto l’utilità ecosistemica delle decisioni “legali”. Il diritto ambientale è un meccanismo complesso, di cui la legalità formale è solo una delle componenti, e neppure la più significativa e risolutiva (come dimostra tutta l’evoluzione storica della disciplina).
Invocarla in sé e per sé, di conseguenza, è piuttosto riduttivo (è come “credere alle favole”, ha scritto il grande giurista belga F. Ost).
Ma da dove si informano questi politici sul mondo devastato che li circonda? Come fanno a non indignarsi di fronte alla indecente “a-legalità” ambientale italiana (comprovata, a livello di studi, da autorevoli fonti istituzionali internazionali di comparazione)? Come fanno ad accontentarsi del formalismo della “legalità” all’italiana? Avranno mai letto qualcosa sulla dannosa inefficacia prodotta dalla (pseudo-)”legalità” ambientale italiana, da loro invocata? Tra l’altro, su questo, il Salento offre purtroppo l’imbarazzo della scelta.
Dire no sarebbe stato un atto di coraggio politico da assumere di fronte ai problemi ecosistemici, avrebbe sollevato un dibattito sano sulla sostenibilità e sulla importanza di una legislazione ambientale non elusiva; sarebbe servito a responsabilizzare la coscienza civile dei cittadini, senza doverli ogni volta “responsabilmente” imbonire col denaro; avrebbe assunto come referenza non generici “cittadini”, ma il futuro di decenza che dobbiamo ai giovani e alle generazioni future per indirizzarli verso una visione della politica meno cieca alla distruzione della natura e più seria e intransigente sul piano delle legalità ambientali.
Invece, nulla; solo vuota “responsabilità” verso anonimi “cittadini”, cui proporre “denaro”, al posto di coscienza critica al passo col dramma dei tempi.
Confidare nel coraggio politico dei nostri “responsabili” rappresentanti è amaramente diventato surreale.
Sul piano più strettamente assiologico, inoltre, è noto che la logica delle “adeguate compensazioni” per i “rilevanti impatti” ambientali e paesaggistici appartiene alla filosofia della natura del neo-liberismo più ortodosso e cinico, quello secondo cui la natura è ridotta a merce appunto “compensabile” col denaro. Che tale logica sia “responsabilmente” fatta propria da chi pur manifesta vocazioni sociali, e non meramente monetarie, nell’azione politica, è una paradossale ma tristissima contraddizione.
La scelta “responsabile” delle “adeguate compensazioni” è dunque solo miopia e “mediocrazia”: ossia pratica della democrazia, nell’assunzione, come virtù repubblicana, della mediocrità del “ma” (“siamo contrari, ma…”; “vorremmo, ma…”; “siamo consapevoli, ma…”; “siamo per l’ambiente, ma…”; “dobbiamo impegnarci tutti, ma…”; “provvederemo in altro modo, ma…”); un film vecchio già visto e rivisto, che ha solo prodotto illusioni e danni peggiori dei “rilevanti impatti” da “compensare adeguatamene”.
Veramente un peccato imperdonabile di chi si proclama dalla parte dei più vulnerabili, “ma” contribuisce alla vulnerabilità, purché, per senso di responsabilità, “adeguatamente compensata”.
Un grande costituzionalista weimariano, Hermann Heller, non distante dalle lucide premonizioni di un genio come Walter Benjamin, scrisse un testo che insegna molto sulla “responsabilità” dei rappresentanti dei cittadini: la responsabilità dei governanti dovrebbe essere “terrestre”, non solo “politica”.
Erano gli anni Venti del Novecento: un secolo fa.
Dopo un secolo, la politica “responsabile” continua a suonare come un disco rotto, intorno al “ma”.
E’ desolante.
CARLO SALVEMINI:
Gentile Michele Carducci
ero indeciso se rispondere alla tua nota relativa alla polemica sulla TAP, densa di aggettivi e giudizi pesanti nei confronti dell’Amministrazione Comunale:
“Ignoranza/pena/senza speranza/ridicolo/disinformato” solo per ricordarne alcuni.
Oltre all’accusa di aver contribuito alla realizzazione di Tap.
Sono abituato a misurarmi con le asprezze del dibattito e non sono quindi impressionato, semmai sorpreso, che anche un intellettuale del tuo profilo ceda alle consuetudini del “linguaggio ostile” e s’incarichi di pubblicare un messaggio falso nei contenuti. Espresso nei confronti del Comune di Lecce. Anche in considerazione dell’incarico da te ricoperto all’interno di una istituzione importante di questo territorio, l’Università del Salento. Alla fine mi sono convinto, proprio per queste ragioni, che è giusto e doveroso che la tua presa di posizione non resti senza risposta.
Avendo nel tuo intervento liquidato come inutili sofismi la legislazione, la giurisdizione, la rappresentanza istituzionale non mi attarderò in una difesa delle istituzioni sulle quali si regge la convivenza civile. Personalmente continuo a pensare che la fatica del processo democratico sia comunque preferibile all’idea di organizzare e regolare la nostra società attraverso le campagne sui social network.
Ribadisco che l’avvio di procedure di compensazione non ha nulla a che vedere con l’assenso o il dissenso verso l’opera.
Su questo aspetto il Comune di Lecce si è espresso con un parere sfavorevole, ampiamente motivato, in Consiglio comunale. Un organo che non è una riunione di perdigiorno ignoranti, come lasci intendere, ma l’espressione massima della volontà popolare dei cittadini leccesi.
Ti posto il link la delibera, nel caso volessi perdere 5 minuti del tuo prezioso tempo per leggerla.
Dissenso poi ribadito in sede di conferenza di servizi: nel corso della quale il Comune ha manifestato l’incompatibilità del metanodotto nel proprio territorio, oltre alla a contrarietà alla scelta dell’approdo di TAP, evidenziando che: “l’autonomia dei processi autorizzativi relativi agli aspetti ambientali non ha determinato fino ad oggi un’analisi integrata degli impatti complessivi ed unitari, ovvero comprensivi degli effetti che si determinano su tutti i territori che sono contestualmente attraversati dai metanodotti”.
Nella stessa delibera – che è quindi di censura al progetto TAP e al metadonotto SNAM – viene ribadita l’intenzione di richiedere, nel quadro di un percorso istituzionale normato (che noia, queste norme, dirai), adeguata compensazione ambientale per gli impatti dell’opera. È una possibilità che la legge accorda agli enti locali che il Comune di Lecce, così come la Regione Puglia, intende perseguire esplicitandolo negli atti. Le istituzioni locali sono fatte così. Agiscono sulla base di istruttorie, votazioni da parte di rappresentanti eletti, delibere di organi legittimati democraticamente. Che meritano rispetto, in particolare da chi esercita responsabilità pubbliche.
Tentare di stabilire adeguate compensazioni ai danni ambientali, aggiungi, è operazione da ignoranti. Mi chiedo dunque se consideri allo stesso modo la costituzione di parte civile da parte della Regione Puglia, del Comune di Melendugno e altri nel procedimento penale nei confronti dei vertici Tap, essendo la stessa finalizzata alla richiesta di un risarcimento danni, che – giocoforza –dovrà essere quantificato (in casi di condanna).
E’ legittimo domandarti quale sia la tua posizione nei confronti dell’Istituzione nella quale presti la tua opera intellettuale, l’Università del Salento. Della quale alcune articolazioni hanno offerto – legittimamente – collaborazione alla progettazione e realizzazione del gasdotto. Non ricordo tue prese di posizione pubbliche su questo, tese a ispirare la condotta di tutti noi “verso il futuro di decenza che dobbiamo ai giovani e alle generazioni future”. Mi chiedo se – oltre che nei confronti del sindaco, degli assessori e dei consiglieri comunali di Lecce – abbia censure da esprimere anche nei confronti della Università e di tuoi colleghi.
Ciò che mi incarico di rappresentare quotidianamente nel mio ruolo di amministratore pubblico è il dovere di parlare il linguaggio della verità anche quando è scomodo farlo.
Quando non converrebbe. Di prendere posizione coerentemente alle proprie idee in ogni contesto e non solo quando si fiutano gli umori dei social.
Mi auguro che in futuro tu possa avere maggiore rispetto verso le istituzioni e chi le rappresenta quando esprimono posizioni che ritieni non adeguate a farsi interprete della complessità del tempo. Anche in ragione del ruolo che ricopri.
Cordialmente.
MICHELE CARDUCCI:
Mi dispiace sinceramente per il Sindaco di Lecce e se la sintesi del Suo sentimento è quella dell’offesa, ovviamente mi scuso pubblicamente di aver offeso il Suo Ruolo e la Sua Amministrazione.
Come osservava Niccolò Tommaseo, commentando la Divina Commedia, le parole forti servono a scuotere l’intelligenza.
Per questo, come Persone umane abbiamo il dovere di indignarci.
Come Cittadini, abbiano il dovere di criticare duramente chi ci amministra (solo la dura critica salva la democrazia).
Come Esseri viventi, abbiamo il dovere di far presente che le c.d. “compensazioni ambientali” non servono a nulla, perché non “compensano” (è il c.d. meccanismo “win-lose” economia/ecosistema, noto dai tempi della formula di Lotka-Volterra). Dobbiamo farlo, perché non possiamo pensare di non essere responsabili dell’ecocidio in corso, per il solo fatto di non commetterne direttamente l’atto lesivo.
Abbiamo allora il dovere di manifestare pubblicamente la delusione, se questo sfugge a chi ci amministra, si tratti del Sindaco o del Rettore o di altra persona che assume responsabilità per la cosa pubblica.
Abbiamo il dovere di farlo pubblicamente.
La delusione è un sentimento che riapre opportunità.
Abbiamo il dovere di giudicare e giudicarci su quello che stiamo facendo alla natura, anche indirettamente, anche con le c.d. “compensazioni”.
Abbiamo il dovere di farlo per pretendere coraggio intellettuale della verità e pratica politica discontinua rispetto al passato.
Abbiamo il dovere di farlo verso le giovani e le future generazioni.
Abbiamo il dovere di farlo proprio perché amiamo la democrazia e prendiamo sul serio la missione della politica
Abbiamo il dovere di farlo, perché dobbiamo cambiare registro nei rapporti verso la natura.
Abbiamo il dovere di farlo, perché la posta in gioco è altissima, spaventosamente vicinissima, drammatica.
Siamo in emergenza ecosistemica e climatica.
Allora abbiamo il dovere di informarci e di pretendere informazione su tutto questo.
Leggiamo tutti noi, con onestà e umiltà intellettuale, questi appelli che nessun quotidiano italiano ha avuto il merito di pubblicare:
– World Scientists’ Warning to Humanity: A Second Notice (Pubblicato su BioScience, 67, Issue 12, December 2017, 1026-1028, sottoscritto da oltre 20.000 scienziati di tutto il mondo).
– World Scientists’ Warning of a Climate Emergency (Pubblicato su BioScience, 70, Issue 1, January 2020, 8-12, sottoscritto da circa 12.000 scienziati di tutto il mondo).
Leggiamo questi articoli, che qualsiasi persona che ricopre responsabilità pubbliche dovrebbe umilmente studiare:
– AA. VV., Human and Nature Dynamics (HANDY): Modeling Inequality and Use of Resources in the Collapse or Sustainability of Societies, in Ecological Economics, vol. 101, 2014, pag. 90-102.
– T.M. Lenton, J. Rockström, O. Gaffney et al., Climate Tipping Points: too risky to bet against, in Nature, 575, 28, 2019, 592-595.
Leggiamo questo Report della più antica Banca sovranazionale della storia (una Banca, non un movimento ambientalista):
– P. Bolton, M. Despres, L.A. Pereira da Silva et al., The Green Swan. Central Banking and Financial Stability in the Age of Climate Change, Basel, Bank for International Settlements, 2020.
Stiamo andando a sbattere contro un muro, ma ci offendiamo per le parole.
Stiamo andando a sbattere e pensiamo di compensare l’urto con il denaro.
Abbiamo violentato la natura come nessun altro essere vivente, ma citiamo la “legalità”.
Abbiamo perso il rispetto per la vita in armonia e quindi per noi stessi nello stare in vita con tutta la vita della Terra.
Siamo “ciechi” e pensiamo di vedere.
Abbiamo allora il dovere di pretendere nuove “responsabilità” da tutte le Istituzioni (a partire dall’Università del Salento, che vive e cresce – tra le poche in Italia – grazie alla libera dura critica e non all’educata uniformità di pensiero).
Dobbiamo pretenderlo da noi stessi e da tutti.
Abbiamo il dovere di dichiarare da che parte si sta rispetto al pessimo futuro che tutti noi abbiamo contribuito a consegnare ai nostri giovani con queste “offese”, meno eclatanti della parola che turba ma molto più violente per la sottile, irreparabile lesione reale che hanno prodotto e continuano a produrre nell’ “educato” gioco di parole.
Abbiamo il dovere di non accontentarci di una “legalità” contro natura.
Abbiamo dunque il dovere di arrabbiarci per scuotere coscienze e pretendere decenza.
Abbiamo il dovere di fare tutto questo perché è giusto e perché è necessario.
Viviamo un inedito tempo a-normale e in un tempo a-normale abbiamo il dovere di gridare all’allarme e di pretendere che si agisca con un coraggio fuori del normale.
Purtroppo per noi, non ci sono alternative e, se rinunciamo, abdichiamo alla speranza, magari in buona educazione.
Ma “la rabbia è il sentimento necessario per recuperare e alimentare speranza”: Sant’Agostino.
E in quest’epoca di tramonto, meglio arrabbiati che rassegnatamente “educati”. ______
LA RICERCA nel nostro articolo del 17 febbraio scorso