DISCHI / ASCOLTO RAGIONATO DI“Vento e pietre”DEGLI E.P.
di Roberto Molle______
La città di Altamura è famosa per il pane, le speciali lenticchie e il ritrovamento nella sua grotta di Lamalunga dei neanderthaliani resti del noto “uomo di Altamura”; a questo ci aggiungerei anche il fatto che lì ci vivono due musicisti speciali che ho avuto il piacere di scoprire recentemente. Trattasi della contrabbassista Eufemia Mascolo e del percussionista Pino Basile (nelle foto).
Ho avuto modo di vedere Eufemia in azione sul finire dell’estate a Tricase porto in occasione dell’Irregolare festival, una manifestazione itinerante della provincia di Lecce; c’era questa giovane donna che si alternava – dando man forte a diversi musicisti di ambito world-music – tra il suonare il contrabbasso, il sitar e il prendersi cura di un bambino.
Questa cosa mi ha colpito molto e quando è arrivato il momento di mettere mano al mio nuovo progetto dedicato a Ian Curtis, cantante dei Joy Division (saranno un libro e un cd con l’omaggio di una quarantina tra scrittori, poeti, musicisti e critici musicali n.d.r.) ho pensato di coinvolgerla nella realizzazione di un brano da inserire nella compilation. È venuto fuori che era sposata con Pino, un percussionista con background Jazz e mille esperienze sonore un po’ in giro per il mondo, e si è deciso che avrebbero partecipato entrambi come duo con il nome di E.P.
In realtà con l’acronimo E.P. i due musicisti da tempo si muovono sia in Italia che all’estero sulle coordinate di musiche sonorizzanti performance live per il circo contemporaneo e la danza.
Partendo da quelle esperienze è maturata l’idea di esplorare le interazioni tra le radici musicali delle Murge e le atmosfere dei suoni contemporanei, tenendo come punto di riferimento le potenzialità espressive di alcuni strumenti tradizionali come cupa cupa (tamburi a frizione), bubbù e colalcola (flauti globulari) una volta messi in osmosi con le mille lusinghe dell’elettronica e sublimati da uno strumento trasversale come il contrabbasso.
Il passo successivo è stata la pubblicazione di un disco che si chiama “Vento e pietre”; e quello appena detto converge all’interno di undici brani che se proprio si volesse si potrebbero definire di popular-ambient-etnic-music.
Quello che segue è il resoconto emozionale di un ascolto notturno influenzato da un cielo rosso-fuoco, da una veglia alle prese con un gatto in amore ridotto malconcio dal confronto con un rivale che non gliele ha mandate a dire, e una pace che solo i nottambuli possono sapere.
MURGESE. Un intro ipnotico scandito dal lamento sincopato di una cupa cupa adagiato sulle note liberate da uno xilofono, ed è subito vento che accarezza l’erba a ridosso delle colline. Cinque minuti giocati sul filo dell’interazione tra suoni e riverberi che simulano reali gorgheggi umani in lingue immaginarie.
ORME. Le percussioni sono il punto nodale di quest’album, d’altra parte la metà di E.P. è Pino Basile, percussionista eclettico e autore sensibile ai ritmi del mondo. Un tamburello pestato fuori da schemi italici e vicino molto più a certi ritmi tribali dell’Africa nera apre il fronte, quasi un rito propiziatorio affinché venga la poggia, o chissà, a scacciare malefici spiriti impossessatisi di giovani corpi.
GNAWA. In questo brano jazz e rock entrano in osmosi in un crescendo di suoni reali e campionati, poi l’esplosione magica di una tromba dà vita a mille suggestioni visive che catapultano in una dimensione sonora tridimensionale.
NIJI. Un lamento; un’elegia impalpabile ed etera. Nasce e muore nello spazio di un’alba livida. Un brano d’atmosfera scandito dal ritmo di un tamburo e un contrabbasso che si fa strada a voler segnare il territorio. Fascinazione e bellezza.
ASFODELO. Uno scacciapensieri e un contrabbasso che si fa violoncello ad unire un sud d’Italia e – idealmente – del mondo; un crescendo maestoso che conduce ad un tramonto fatto di profumo di mandarino e colore d’amaranto sotto un cielo terso di primavera.
VENTO E PIETRE. Il suono grave del contrabbasso apre la title-track, e una malinconia leggera s’insinua fino a quando a stemperare arriva un tamburello. Poi di nuovo le corde s’impennano fino a lambire territori che sanno d’Oriente per poi placarsi in un inquietante finale.
CUPAPHON. Un soliloquio scarno e sottile tra un contrabbasso e altri strumenti che si inseriscono in sordina. Notturno come un brano di Tom Waits senza Tom Waits a scardinare le parole, penetrante come un preludio gotico, lancinante come una sonata di Mark Lanegan al funerale dell’amico Jeffrey Lee Pierce, ci aggiungo anche: come un passo della colonna sonora di Breaking bead con in primo piano la spianata di Albuquerque. Bello, onirico, evocativo.
SPACCAPETR. L’istantaneo e sequenziale passaggio ai raggi x di quel suono popolare identificato con la pizzica, uno spettrometro sonoro che rimanda forme desu-inconsuete di note raccolte a grappolo e liberate da gabbie spazio-temporali. Un groove proteso alla sperimentazione e alla scarnificazione dell’intreccio sonoro isolato da ogni contesto definito.
VALLE DEI BUBBÙ. Sottofondo per scenari desertici: le Murge pugliesi-lucane come gli altopiani del Messico al confine con gli Stati Uniti, queste sono le immagini sferzate dal vento di tramontana che mi sovvengono all’ascolto di questo brano.
LA FABBRICA DELLE PIETRE. Djembe e percussioni sintetiche in un vorticoso loop che s’inerpica simmetrico a simulare il lavorio di fucine calcaree. Un salto lungo ad agganciare sonorità trip hop e farsi quasi sonorità industriale.
MO MOURE. Tutto finisce da dove è iniziato. La popular-music vira, devia, si contamina, si rifonda. In chiusura uno splendido brano tradizional trasfigurato dalle influenze che s’incrociano tra Puglia e Lucania; e non importa quale sia l’influenza maggiore, quel che conta è cosa la tradizione trasporta intatto attraverso i secoli e la capacità dell’uomo a preservarla.
La musica di E.P. è così, riesce a farti staccare dall’ascolto ossessivo-compulsivo dai due album dei Joy Division che da giorni girano sul piatto del giradischi restaurato da poco. E la cosa più bella è che non entra in conflitto con le sonorità post-punk del gruppo mancuniano, anzi insieme si fondono in un’unica, totale alchimia di suoni, parole e suggestioni. Il gatto ferito finalmente riposa, è quasi giorno e il cielo ha quel colore che vira dal blu notte al grigio minaccioso di pioggia.
Suonano in “Vento e pietre”, oltre a Eufemia Mascolo e Pino Basile (voci, contrabbasso, tamburi a cornice, elettronica, strumenti effimeri dell’area murgiana: bubbù e colacola, cupaphon, set di cupa cupa); Sergio Altamura: chitarra/lapsteel; LaurentDelforge: elettronica; Michele Ciccimarra:drumset.
Per ascoltare la musica di E.P.
https://www.youtube.com/watch?v=0Rx1kmtO8Pg
https://www.youtube.com/watch?v=R1L7Da1pDYc
https://www.youtube.com/watch?v=QP28jlJtrik
Category: Cultura