LA SOLITUDINE DEL NUMERO PRIMO
di Giuseppe Puppo______
LA CRISI IN MEDIO ORIENTE______( Aggiornamento delle ore 14.00. Nostre fonti: BBC – CNN – REUTERS – IRIB – THE INDEPENDENT)______
Donald Trump appare in crisi, confuso, disorientato, isolato, dopo aver dato l’ordine di uccidere il generale Qasem Soleimani, del quale si sono celebrati questa mattina nuovi funerali a Teheran, con la partecipazione di una folla oceanica.
Un gesto sconsiderato, in aperta violazione del diritto internazionale, immotivato, dettato chiaramente dal desiderio di trascinare l’Iran in una guerra a medio se non lungo raggio, che, secondo i suoi calcoli, gli verrà buona nei prossimi mesi, per assicurarsi la nuova elezione a novembre, facendo leva sul patriottismo americano, mentre serve subito per evitare un dibattito al Congresso in cui è oggetto di procedura di destituzione.
In queste ore però il presidente statunitense ha incassato tutta una serie di reazioni negative, che come un boomerang lo stanno colpendo a ripetizione.
Un uomo solo, in crisi profonda.
Il che aumenta la sua pericolosità.
Rimane solamente la speranza che possa ravvedersi e limitare con ciò le conseguenze di quanto ha provocato.
Ecco i fatti.
E’ emerso che il generale Solimani si trovava a Teheran con i suoi fedelissimi per una missione diplomatica di trattative se non di pace, almeno di allentamento delle tensioni con l’Arabia Saudita, mediatore l’Iraq, in funzione anti Isis.
Altro che terrorista: un uomo che, giova ricordarlo ancora, era stato decisivo nei successi militari della coalizione occidentale contro quello che viene comunemente definito il terrorismo internazionale dell’Isis.
Isis che, fra parentesi, nelle ultime ore è tornato a colpire, con un attacco ad una base militare americana in Kenia che ha fatto tre vittime.
Insomma, ha risvegliato l’Isis.
Poi, ha ricompattato il regime iraniano, unendo falchi e colombe, religiosi e laici, pesantemente provato dalle sanzioni economiche cui era sottoposto.
Il governo iraniano per giunta – lo ha annunciato ieri – ora si sente libero di proseguire il suo programma nucleare e ora a scopi anche militari, uscendo dal trattato apposito stipulato con la comunità internazionale
Intanto il parlamento iracheno ha votato una risoluzione che chiede il ritiro di tutti i soldati stranieri, dunque principalmente americani, presenti sul proprio territorio dai tempi delle due così dette guerre del Golfo. Trump ha minacciato sanzioni economiche, piccato ed ha contemporaneamente replicato così: “Abbiamo una base aerea straordinariamente costosa che è lì. Ci è costata miliardi di dollari per costruirla. Non ce ne andremo, a meno che non ci rimborsino”.
Ancora più scomposte e sconsiderate le reazioni del presidente americano alle minacce, per ora verbali, violente, certo, ma era inevitabile, mentre le azioni concrete si sono limitate per ora al lancio di razzi contro le vicinanze dell’ambasciata a Baghdad a opera di milizie filo iraniane, ripetutesi ieri, del governo di Teheran. L’impressione è che, al di là dei modi, i tempi saranno lunghi e le azioni circoscritte, per le ritorsioni.
Trump non pare aspettare altro, per proseguire nella sua folle strategia di escalation bellica.
Ieri ha contro minacciato l’Iran, dicendosi pronto a colpire cinquantadue siti iraniani nel caso fossero attaccati in qualunque modo i soldati americani. Fra cui anche quelli culturali. Ha detto proprio così, incredibile, ma vero.
Un patrimonio culturale immenso, che ha sede in Iraq, delle sue antiche civiltà, che appartengono alla cultura del mondo. Ora il problema non è se ciò avverrà veramente: il problema è che una roba del genere non doveva proprio nemmeno dirla, o pensarla.
Ma c’è ancora altro, che fa dubitare della lucidità in questo momento del presidente americano.
Sempre a proposito delle contro reazione degli Usa in caso di reazioni iraniane all’assassinio politico del generale Soleimani da lui voluto, ha avvertito il Congresso che la decisione l’ha già presa lui e non gli serve altro per iniziare una vera e propria guerra: “reagiremo rapidamente e in modo assoluto, forse in modo sproporzionato”.
L’ha fatto su Twitter. Dico, una decisione di tal genere, notificata su di un social network.
Immediate repliche scandalizzate dei parlamentari statunitensi, che non gliele hanno mandate a dire, gliele hanno dette direttamente: “Non sei un dittatore. I poteri di guerra sono del Congresso ai sensi della Costituzione degli Stati Uniti. Vatti a rileggere il War Powers Act. Mai prima d’ora nella storia degli Stati Uniti nessun presidente è stato così irriverente e irrispettoso nei confronti della nostra Costituzione” e così via.
In effetti, è proprio così, Storia e Legge alla mano.
Infine, fa discutere un articolo pubblicato dal prestigioso quotidiano britannico The Independent, che dà notizia di una petizione firmata da trecentocinquanta – sì, trecentocinquanta, mica uno, e vanno aumentando – psichiatri americani, pronti a presentarla al Congresso, fra i quali Bandy X. Lee, professore di psichiatria presso la Yale University School of Medicine; Jerrold Post, ex analista presso la Central Intelligence Agency; e John Zinner, uno psichiatra della George Washington University. La sintesi della tesi che con dovizia di argomentazioni essi sostengono è che la salute mentale di Donald Trump si è “pericolosamente deteriorata“, scrivono proprio così, con possibili conseguenze brutali e distruttive per tutti.______
LA RICERCA nel nostro articolo di ieri
Category: Politica