LE IDEE / SORVEGLIATI DI TUTTO IL MONDO, UNITEVI
/ leccecronaca.it HA TRADOTTO GLI SCRITTI E ANALIZZATO IL PENSIERO DELLA STUDIOSA AMERICANA SHOSHANA ZUBOFF. ECCO COSA E’ IL “capitalismo della sorveglianza”
di Carmen Leo______
LE NUOVE FRONTIERE DEL CAPITALISMO SONO QUELLE DELLA SORVEGLIANZA. PEGGIO DEL GRANDE FRATELLO, SIAMO TUTTI CONTROLLATI E SFRUTTATI. COME KARL MARX NON POTEVA CERTO PREVEDERE
“ L’esperienza umana è ormai materia prima gratuita che viene trasformata in dati comportamentali e poi venduta come prodotti di previsione in un nuovo mercato, quello dei mercati comportamentali a termine, dove operano imprese desiderose solo di conoscere il nostro comportamento futuro.
Il capitalismo di sorveglianza è devastante soprattutto perché rischia di provocare la sparizione dell’umanità, intesa come modo umano di ragionare e di comportarsi, di cui l’autonomia e la dignità sono i tratti distintivi, esso rischia di fare all’Umanità quello che il capitalismo industriale ha fatto alla Natura.
Ho dedicato parte della mia vita alla comprensione e alla concettualizzazione della transizione verso una civiltà dell’informazione.
C’è molto lavoro da fare, se vogliamo costruire ponti per il tipo di futuro che possiamo chiamare casa”.
Ecco quanto afferma Shoshana Zuboff (nelle foto), 58 anni, americana, scrittrice, sociologa, una delle prime donne, precisamente dal 1981, ad avere una cattedra di ruolo nella facoltà della Harvard Business School, all’interno della Harvard University, il prestigioso ateneo statunitense.
Nel 1993, presso la stessa scuola, ha fondato diversi programmi educativi, tra cui Odyssey: School for the Second Half of Life – trad. Odissea: Scuola per la Seconda Metà della Vita – che ha affrontato i temi della trasformazione e il rinnovamento della carriera alla mezza età.
È anche autrice di diversi libri che approfondiscono i legami dell’era digitale e i suoi impatti sulla società, la storia e il futuro del capitalismo.
La rivoluzione digitale e l’evoluzione del capitalismo sono i temi che si pongono al centro dei suoi testi, da In the Age of the Smart Machine – trad. Nell’Era della macchina intelligente – sino al più recente e importante tra le sue produzioni letterarie: The Age of Surveillance Capitalism: The Fight for a Human Future at the New Frontier of Power – trad. L’Era del Capitalismo di Sorveglianza: La lotta per un futuro umano alla nuova frontiera del potere.
L’espressione “capitalismo di sorveglianza”, è stata usata per la prima volta da J. Bellamy Foster e R. W. McChesney in un articolo apparso nel 2014 sulla storica Monthly Review, la rivista mensile pubblicata a New York sin dal 1949, di cui Foster è l’editore. Nella loro accezione quell’espressione denotava una sorta di insaziabile desiderio di dati derivante dalla progressiva finanziarizzazione dell’economia.
Nel capitalismo di sorveglianza, per dirla in breve, ci si appropria di dati relativi agli umani comportamenti, quelli online ma anche quelli offline. Dopo accurata elaborazione questi dati sono in parte utilizzati per migliorare genericamente beni e servizi, dunque, in qualche modo, per scopi socialmente utili. Ma per il residuo confluiscono in quei ‘prodotti di previsione’ commerciati nei nuovi ‘mercati comportamentali a termine’. Coloro che si appropriano di quei dati e li elaborano accumulano così immense ricchezze. Ed è facile immaginare a chi si riferisca Zuboff: principalmente a Google, considerata l’artefice più insigne di tale nuovo genere di capitalismo.
Questo “terrificante” fenomeno è una diversa espressione di capitalismo, in cui i dati acquisiti sorvegliando, monitorando e tracciando, sono il nuovo “petrolio”, scaturito dal pozzo inesauribile di informazioni relative alla persona, che costituiscono ora un potere forte, il quale a sua volta genera una nuova tipologia di economia basata, non più sulla produzione di beni o sulla speculazione finanziaria, ma sulla raccolta di dati personali e comportamentali e la loro conseguente mercificazione.
Il capitalismo della sorveglianza si nutre, dunque, dello sfruttamento non del solo lavoro umano, come nella visione tanto combattuta da Marx, ma della complessiva esperienza umana, e con esso si impone una nuova forma di potere che Zuboff, sempre allo scopo di rimarcare la novità del presente, definisce strumentale.
Questo potere permette di conoscere il comportamento umano e di influenzarlo a vantaggio di altri, la sua forza deriva, non da armi o eserciti, ma da un’architettura computazionale di dispositivi intelligenti, di cose – Internet of Things – e spazi tra loro connessi.
Proviamo a pensare al dato più che evidente di come Facebook, il più noto e utilizzato social network al mondo, riesca a processare milioni di informazioni su di noi ogni secondo, e di conseguenza a realizzare milioni di previsioni. Per la Zuboff, non si tratta di iniziative atte a risolvere problemi come la fame nel mondo, l’analfabetismo, le epidemie. Si tratta, invece, semplicemente di attività che mirano a realizzare profitti per le aziende che raccolgono e vendono dati.
Siamo ormai in una situazione in cui ogni nostro click sul web, sui portali medici, su qualsiasi sito, genera informazioni di cui i Big Data sono affamati. Informazioni che, attraverso algoritmi matematici, sono trasformate in dati, e questi producono poi previsioni, le quali, elemento ancora più dirompente, mettono i soggetti che li posseggono in grado di manipolare il mercato e la società tutta. Noi crediamo di cercare informazioni, in realtà, ad ogni digitazione sulla tastiera, sono altri che raccolgono informazioni su di noi, in un processo in cui la nostra vita e il nostro quotidiano diventano merce di scambio tra le diverse lobby che governano l’economia mondiale.
In questa nuova forma di capitalismo, come ha ripetuto più volte la Zuboff, la preminenza assoluta è data agli algoritmi e alla capacità previsionale, dove a dominare sono la governance del controllo, della certezza assoluta, tanto che potremmo denominarla “governance dell’algoritmo”.
Il grave rischio, secondo la studiosa americana, è che alla logica della libertà venga gradualmente sostituita la logica della certezza.
È come se fossimo costretti a vivere in una casa di vetro dove non esiste più privacy. I Big Data, a chi sostiene con fermezza il diritto alla privacy, oppongono la retorica di affermazioni che recitano: “Se non hai nulla da nascondere di che cosa hai paura?”
Grande merito della Zuboff è quello di opporsi, da sempre e con forza e determinazione, a questi refrain, sostenendo che: “Se non hai niente da nascondere non sei nessuno. Perché la nostra fonte interna a cui attingiamo è una fonte intima, segreta, che va protetta. Non cresce in una casa di vetro”.
Questo è quanto ella ha dichiarato nel suo intervento di sabato 5 ottobre u.s. al Teatro Parenti di Milano, dove è stata una delle protagoniste della grande maratona dal titolo Onlife, organizzata da Repubblica e dal network di giornali europei LENA.
Secondo Shoshanna, né le leggi sulla privacy né le norme antitrust forniscono un’adeguata protezione dalle pratiche senza precedenti del capitalismo di sorveglianza, che è ormai divenuto un vero e proprio potere strumentale, ossia una conseguenza di tali operazioni capitalistiche che minacciano l’autonomia individuale e la democrazia, e per questa ragione va combattuto, non soltanto per motivazioni antiche, perché è monopolistico e viola la privacy, ma anche e soprattutto, perché riduce a merce i comportamenti umani e attraverso il loro commercio consente arricchimenti straordinari.
Un capitalismo che non si accontenta “di automatizzare i flussi di informazioni su di noi, ma mira ad automatizzare noi stessi” , defraudandoci della nostra umanità, l’unico vero valore che dovremmo difendere, invece, con ogni mezzo lecito, in un mondo dove trovano sempre più risonanza le intelligenze artificiali e macchine via via più sofisticate ed autonome.
Un mondo dove l’essere umano ricopre ormai un ruolo marginale, non più di creatore dei vari sistemi operativi del vivere sociale, ma di vittima consapevole e quasi del tutto inerme di quei sistemi che egli stesso ha generato.______
LA RICERCA nel nostro articolo del 2 ottobre scorso
LE IDEE / ANTICIPAZIONE / LO STADIO FINALE DEL CAPITALISMO. SORVEGLIATI DI TUTTO IL MONDO, UNITEVI
Condivido il post e la mia risposta ad un argomento molte volte dibattuto sui social.
Naturalmente ognuno parli per se: neanche io so verso dove sto andando mo’ immaginiamo se il G.F. potesse saperlo, … anzi se mi desse una mano in questo gliene sarei grato.
A parte gli scherzi, molto dipende dalla conoscenza degli strumenti che noi adoperiamo per “migliorarci” la vita, supponendo “ingenuamente” che tutto sia gratis.
Se io col mio cellulare che mi sono loggato (registrato con un account) a Google, nel quale ho comunicato pure quanti peli ho in testa, per non dire altrove, neanche mi stessi confessando; se inoltre non so’ quando il GPS (comunemente chiamato “navigatore”) è attivo sul mio cellulare, e poi faccio delle ricerche su Google senza usare la modalità in incognito; con un comportamento tale, ovviamente, siamo noi con la nostra incoscienza o superficialità a dare le chiavi di casa a chi aspira a volerci derubare dei nostri “preziosi dati”.
In tal caso abbiamo 2 scelte: o proni, come diceva l’amico Luciano Gala, ma consapevoli di esserlo con la nostra impreparazione nell’uso dello strumento oppure come, meglio ancora diceva l’amico Massimo Colazzo, in una sintesi lapalissiana: me ne fotto!
In fondo che sarà mai se sanno se mi piace la cioccolata o la crema: tanto sarò sempre io a scegliere, o supporre di scegliere!
Mi scuso per la frase lapidaria che evoca tristi memorie.
Avrei espresso più compiutamente il mio pensiero usando un verbo, ed estendendolo all’universo mondo, che richiama metaforicamente quell’innato rilesso del neonato a voltarsi, spalancare la bocca, cercare qualcosa cui attaccarsi e suggere con voluttà
Articolo, scientificamente, apprezzabile. Resta, però, il fatto che, almeno per le persone medie, per il, “popolo” assume una importanza marginale. Molto marginale. In pratica, non è un grosso problema. Ne esistono altri. Per quel che riguarda me, invece, io ho il problema opposto. Come me, credo, anche tutti quelli che non hanno niente da nascondere. il “GF” usa molto la razionalità, mentre io sono un perfetto irrazionale in continua ricerca dell’irrazionalità perfetta. Semplicemente perché nell’irrazionalità puoi incontrare la felicità ed essere libero veramente.
Io, d’altronde, vivo una vita condivisa e da condividere e resto dispiaciuto per tutto, che è tanto, quello che non “posso” condividere”. Che poi è l’unico modo per conoscersi e conoscere.