ALLA SCOPERTA DELLA ROTTA PERDUTA…
(Rdl)______“Da dove viene la conoscenza segreta del Disco del Cielo di Nebra e chi l’ha portata in Germania?”. Un comunicato della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Brindisi, Lecce e Taranto, firmato direttamente dal Soprintendente, annuncia che
“un gruppo di ricercatori della Landesamt für Denkmalpflege und Archäologie Sachsen-Anhalt di Halle, Saale, proverà a cercare delle risposte lungo la costa adriatica del Salento dal 16 al 19
luglio”, sotto la sua guida.
Poi sempre l’architetto Maria Piccarreta ci spiega di cosa si tratti, facendoci la storia di questa importante questione storica e culturale.
Leggiamola.
“Il Disco di Nebra è un manufatto in bronzo decorato con delle applicazioni in lamina d’oro che
compongono la più antica raffigurazione nota del cielo.
Fu rinvenuto nel 1999 da clandestini tra i boschi del Mittelberg dove era stato deposto, probabilmente attorno al 1600 a.C., insieme ad armi ed ornamenti in bronzo.
La conoscenza astronomica documentata dal Disco di Nebra viene dal Mediterraneo. Ma come è
arrivata questa informazione alla Germania centrale? Un team di ricercatori e archeologi subacquei cerca risposte in Italia meridionale.
La Soprintendenza con l’Amministrazione Comunale di Melendugno e la riserva di Torre Guaceto
guidano da qualche tempo un rinnovato fermento culturale in questi luoghi.
Grazie a questa ricerca l’attenzione si concentrerà in particolare sul ricco patrimonio subacqueo prospiciente Roca Vecchia e Torre Guaceto.
La ricognizione eseguita con i colleghi tedeschi ci permetterà di svelare qualche mistero su queste affascinanti vicende che legano sorprendentemente il nostro Salento alla Germania dove si trova oggi il disco
La parola poi, nello specifico, direttamente ai ricercatori.
Dice il professor François Bertemes, titolare della cattedra di Archeologia preistorica dell’Europa Centrale presso la Martin-Luther Universität di Halle-Wittenberg: “Si cerca il collegamento mancante, il missing link. Sappiamo che le origini delle immagini – la rappresentazione dei fenomeni astronomici – sul disco del cielo di Nebra sono in Egitto e in Mesopotamia. Ma non sappiamo concretamente in che modo questa informazione è arrivata in Europa settentrionale.
Ci sono degli indizi.
Sulla costa adriatica dell’Italia meridionale sono stati trovati frammenti ceramici che si datano a circa 3700 anni fa e che si riferiscono alla grande civiltà minoica sviluppatasi sull’isola di Creta nel corso dell’età del Bronzo. Frammenti di ceramica micenea sono documentati successivamente, nel corso della tarda età del Bronzo, anche più a Nord fino alla Pianura Padana lungo la direttrice adriatica di comunicazione con l’Europa centrale.
Il modo più semplice per viaggiare dall’Egitto verso il Nord Europa era quello di attraversare il
Mediterraneo in nave facendo sosta a Creta.
A partire all’incirca dal XVII secolo a.C. numerosi insediamenti fortificati punteggiano, talvolta a distanze regolari di pochi chilometri gli uni dagli altri, la costa adriatica pugliese allineati come su un filo di perle. Correnti e venti sono ideali qui, cosi che le navi non possano mancare i porti locali. Dall’Italia meridionale si andava avanti via terra o via mare, lungo costa adriatica fino alla Pianura Padana, da lì attraverso le Alpi si raggiungeva la Germania centrale”.
Spiega ancora Teodoro Scarano, specialista per gli studi sull’età del Bronzo in Puglia che collabora da diversi anni con il gruppo di ricerca di Halle: “Le indagini si concentreranno in questa fase in due dei più importanti villaggi costieri dell’età del Bronzo in Puglia, due luoghi strategici per la navigazione e gli scambi commerciali nell’area del Canale d’Otranto, prima a Torre Guaceto.
Le operazioni si sposteranno poi novanta chilometri più a sud, a Roca Vecchia, che fu occupata
dall’uomo senza soluzioni di continuità a partire almeno dal XVII secolo a.C. fino al II secolo a.C.
Roca nell’età del Bronzo era uno dei più importanti insediamenti fortificati del Mediterraneo centrale, un luogo noto anche per la presenza di un complesso carsico con una grotta-santuario che è stata utilizzata per millenni dall’uomo: la Grotta della Poesia.
Oggi la volta della cavità è crollata e la grotta è parzialmente allagata dal mare.
Le pareti sono coperte per una superficie complessiva di almeno 600 metri quadrati da migliaia di segni grafici preistorici e di iscrizioni messapiche, greche e latine che si intersecano e si sovrappongono gli uni alle altre. Di particolare interesse è la rappresentazione di una nave, probabilmente di ispirazione egea. E una nave è raffigurata anche sul Disco del Cielo di Nebra...”.
Conclude poi il Soprintendente professor Harald Meller: “Inoltre, la grotta era un luogo di culto, un santuario rupestre che conserva eccezionali testimonianze di contatti con le comunità del Mediterraneo orientale. All’interno della grotta verranno realizzate indagini per valutare l’eventuale presenza e la consistenza di depositi antropici posti al di sotto dei crolli e cercare l’accesso ad eventuali altre cavità o cunicoli”.