FRATELLO GIORGIO, SORELLA ANNA. E LUCHINO AMOR…RITRATTO ANTICONFORMISTA DI FRANCO ZEFFIRELLI, L’ULTIMO GRANDE NOME DELLA CULTURA ITALIANA DEL NOVECENTO MORTO OGGI ALL’ETA’ DI 96 ANNI
(g.p.)______E’ morto oggi nella sua casa di Roma sulla via Appia Franco Zeffirelli. Aveva 96 anni. Era di Firenze. Era da tempo malato, negli ultimi giorni le sue condizioni si erano aggravate a tal punto che già una settimana fa gli era stata impartita l’estrema unzione. Gli erano accanto i due figli adottivi.
Iniziò la carriera artistica da aiuto regista e scenografo con Luchino Visconti, con il quale ebbe un lungo e contrastato rapporto non solo artistico, ma pure sentimentale.
Poi firmò la regia alla Scala di Milano di alcune importanti opere liriche.
Poi, altre ancora più importanti, tantissime nel corso degli anni, a Londra, New York, Parigi, Verona, Roma e di nuovo a Milano.
Fu anche regista televisivo di importanti eventi, e di una produzione televisiva internazionale come il Gesù di Nazareth.
Opere teatrali come l’Amleto con Giorgio Albertazzi, Chi ha paura di Virginia Woolf? con Enrico Maria Salerno e Sarah Ferrati, e La lupa con Anna Magnani sono la storia stessa del Teatro italiano.
Portò il suo adorato William Shakespeare al cinema fin dagli anni Sessanta, poi sempre con estrema cura per ambienti e personaggi, la lezione che aveva ereditato dal suo Maestro e che valorizzò al massimo, alcuni, magari non hanno proprio tutti i torti, dicono esasperò, fece film su Giovanni Verga, su San Francesco ( una vera e propria chicca fascinosa, il suo ‘Fratello sole, sorella luna’), su Maria Callas.
Che grandi nomi! Bastano da soli a spiegare tutto.
Con lui se ne va l’ultimo dei grandi nomi della cultura italiana conosciuti e apprezzati all’estero, in tutto il mondo e negli ambienti più prestigiosi.
Era cattolico, possiamo immaginare in conflitto con la propria omosessualità.
Era omosessuale, in conflitto con i gay: “Il movimento omosessuale mi ha sempre fatto schifo. L’omosessuale non è uno che sculetta e si trucca. È la Grecia, è Roma. È una virilità creativa“.
Era appassionato di calcio, tifosissimo della Fiorentina e protagonista di memorabili polemiche con gli Juventini, la più violenta delle quali sulla Coppa dei Campioni vinta dopo la tragedia dell’ Haysel.
Amava i cani: “Li ho sempre amati perché sanno dare quello che gli uomini, ormai, non sanno dare più: la fedeltà, l’amore completo e totale, il rispetto. Un cane ama chi ti ama, ma non esita a difenderti da chi vuole farti del male. E non è poco”.
Alla sua ‘discesa in campo’, quello della politica, seguì appassionatamente Silvio Berlusconi e fu eletto due volte, nel 1994 e nel 1996, al Senato della Repubblica: “Essere di destra non vuole dire stare con i padroni. Il mio credo è: fa il tuo lavoro, sii generoso con chi ha avuto meno fortuna, riconosci ed esalta il merito altrui”.
Gli piaceva Gianfranco Fini: “Rappresenta la parte positiva del fascismo” – si sbilanciò nel 2009 – “C’era un fascismo di straordinaria qualità nelle arti e nella cultura. Fini mi piace perché non è una camicia nera ma rappresenta il sogno del buon fascismo. È il numero uno che potrà succedere a Silvio“.
Non gli piacevano i giovani registi di sinistra diventati i nuovi protagonisti del cinema italiano, dei quali non perdeva occasione per parlare male, imputando loro scarso spessore culturale e artistico.
E da sempre ce l’aveva con la cultura di sinistra, in Italia sempre egemone: “Perché ero il solo a essere anticomunista. Mi odiavano perché non mi accodavo. Addirittura perché credo in Dio. Ma l’odio dei comunisti mi ha solo spinto a fare di più e meglio. Anche se l’ho pagato caro. Non solo con pregiudizi e ostracismi di tutti i tipi, non a caso ho svolto la mia carriera soprattutto all’estero. Contro di me prepararono perfino un attentato. Erano gli anni Settanta. Doveva sembrare un incidente automobilistico. La scampai solo perché un amico mi avvertì in tempo”.
Si è ricongiunto oggi al suo Dio dopo una lunga vita d’arte e di cultura, prodiga per lui di grani soddisfazioni: “La bellezza è la sola qualità che ci rende uomini fin dalla nascita. Un corpo, un gesto e un colore che ci inebriano sono l’unico incentivo consentito all’uomo per creare l’opera d’arte e congiungersi a Dio”.
Chissà che cosa c’è dopo la vita, chissà se c’è qualcosa, o se davvero la morte è il niente per noi.
Se c’è qualcosa, se pure ci sia solo un eterno ritorno, comunque da ‘stasera Franco Zeffirelli è lassù, a discutere con Luchino Visconti su come meglio mettere in scena William Shakespeare, o Luigi Pirandello, a organizzare un recital della Maria Callas e, a tempo perso, ma non con meno foga, a litigare con Giampiero Boniperti, ora che se ne è andato dalle scene di questo mondo.