I “Canti all’autru mundu” DI GINO MARAGLIULO
di Raffaele Polo______
Da secoli, l’idea di trasportarsi nell’Aldilà, per compiere un ricercato rendez vous tra diavoli e creature angeliche, è stato il motivo dominante per tanti scrittori e poeti.
Naturalmente, affrontando l’immaginario percorso per elencare e collocare personaggi e famosi nomi di contemporanei in una dimensione da cui scaturisca che il Giudizio Divino (abilmente pilotato dall’autore di turno) confermi il giudizio umano… E, inoltre, si possono inserire i propri amici, i propri ‘mentori’ in un rilievo che faccia emergere le loro qualità e l’identità di vedute con l’estensore dello scritto.
E’ stato così con il Padre Dante ed è così, in chiave certamente minore, anche per chi si è cimentato in questa ardua impresa, magari in dialetto, come ha fatrto Giuseppe De Dominicis con la sua classica raccolta della Poesia salentina del ‘900 dall’espicito titolo di Nfiernu, Purgatorio, Paraisu e Uerra an Paraisu.
Ora, è la volta del bravo Gino Maragliulo che pubblica con le Edizioni Panico “Inti canti all’autru mundu: lu ‘Nfiernu e lu Paraisu” (euro 10,00) con interessante prefazione di Giovanni Invitto e copertina di Francesco Santoro.
Maragliulo, tra i più accurati poeti dialettali della nostra terra, coglie la ghiotta occasione per rendere subito omaggio a quelli che considera, giustamente, i capisaldi della poesia dialettale leccese: lo stesso Capitano Black e il Conte di Luna, ovvero Enrico Bozzi. E sono nomi dai quali non si può prescindere per avere una sicura ‘guida’…anche nell’aldilà.
Maragliulo, però, fa ancora di più: inserisce la figura del vivente Niny Rucco, rompendo una conclamata consuetudine che vuole strade e presenze in Paradiso dedicate solo ai trapassati… Eppure la figura di Niny Rucco che si frega le mani con soddisfazione non stona assolutamente affianco agli altri due importanti testimoni della cultura leccese.
Naturalmente, nella delicata immaginazione del Poeta, altre figure, altri momenti rendono vieppiù interessante questo percorso che è, anche, motivo per stigmatizzare alcune pessime consuetudini della nostra età contemporanea che vanno dalla malasanità al carrierismo politico più egoistico, rivestendo toni di condanna di chiara ispirazione dantesca.
Spicca, tra le figure positive, quella di Sant’Oronzo che sorprende il poeta perchè gli parla in un linguaggio lontano dal dialetto: il latino. Ma è vero che, come spiega poi in vernacolo il Santo protettore dei leccesi, ai tempi della sua presenza in terra d’Otranto, quello era il linguaggio corrente…
Insomma, la fantasia e le belle trovate non mancano a Maragliulo che diverte e castigat ridendo mores, finendo per giustificarsi con il trovarsi in un luogo conosciuto: ‘Era lu liettu te la casa mia/ addunca ieu sti fatti m’ia sunnatu./ Appena tisu me l’aggiu ppuntati,/ ca ancora frishi li tenia te nanti,/ a tutti quanti ui l’aggiu cuntati,/ e bu li lassu scritti intru sti canti.’
Un buon esercizio poetico, quello di Gino Maragliulo, un vero e proprio divertissement che ci consente di ritrovare la verve e la dimestichezza di questo poeta con il dialetto, che volutamente sfronda di accenti e segni grafici, rendendo la lettura agevole e, soprattutto, non appesantendola con la traduzione del testo a fronte.
La scelta di Maragliulo è ampliamente condivisibile, apre alla completa innovazione, oserremmo dire alla completa semplificazione dei ‘poemi in dialetto’ che, altrimenti, sarebbero stucchevoli e di difficile digeribilità.
Un aspetto, peraltro, ci ha particolarmente colpiti nel procedere poetico di Maragliulo: quel voler sempre più spesso insistere sulla sua pochezza, a fronte dei ‘Maestri’ del vernacolo nostrano.
Ormai, caro Gino, ci sei anche tu, con merito, tra i maggiori esponenti della cultura dialettale salentina. Lo certificano, senza alcun dubbio, i tuoi scritti e la tua limpida anima leccese, che non ha mai dimenticato le proprie radici e la terra dei padri…