L’APPROFONDIMENTO / L’OLIVICOLTURA INTENSIVA INDUSTRIALIZZATA AL TEMPO DELLA XYLELLA
di Giuseppe Vinci______
Ecco come funziona l’Agricoltura Intensiva Industriale nella Piana degli Olivi Secolari e Monumentali.
Un patrimonio protetto dalla L.R. 14/07, dalla Costituzione Italiana e dal Piano Agricolo Integrato Nazionale che norma l’olivicoltura e le consociazioni, ma ignorato da agricoltori, politici e organismi di controllo.
Si prende un terreno e lo si ara, meglio lo si fresa, cioè si fa del suolo un substrato soffice, ma allo stesso tempo pressoché privo di vita; si stende l’impianto irriguo generalmente di plastica (dal quale non passa solo acqua!); si mette a dimora una coltura: piantine prodotte da semi pre trattati (chimicamente), resistenti a questo o quel patogeno, come sedano, bieta, finocchio, cicoria, prezzemolo, carciofo, pomodoro, rapa, cavolo, rughetta, ravanelli, ecc., piantine dal costo variabile di pochi centesimi.
Grazie alle ingenti quantità di acqua arricchita di fertilizzanti chimici, a seconda delle colture, talvolta in poche settimane si raccoglie. Da anni ormai capita che il raccolto il mercato lo paga spesso sotto costo, nemmeno quanto basta a soddisfare il ciclo produttivo. Una piantina di bieta da mettere a coltura ad esempio può arrivare a costare 5 centesimi di euro e dopo il ciclo produttivo il mercato la paga quando va bene 6 o 7 centesimi. Accade così che molti contadini rinunciano a raccogliere e preferiscono distruggere il campo. Pochi giorni dopo aver raccolto o interrato, si diserba (in foto i campi oggetto di diserbo appaiono di colore rosso arancio). Ancora pochi giorni e si ara, anche troppo, anche oltre il consentito, e via quel che resta della vitalità del suolo, pronto per una nuova coltura, per la felicità dei mercati e la morte (non solo) dei contadini.
Il guaio, grosso, davvero, è che spesso in Puglia l’agricoltura industriale, intensiva, l’orticoltura in questo caso, è consociata all’olivo, secolare, monumentale. Spesso la consociazione, quando va bene è quella sconsigliata, il più delle volte quella non è consentita, vietata dal Piano Agricolo Integrato. Fa male. Arreca danno all’olivo e alla salute. Porta l’olivo spesso alla morte. Le arature fino al pedale peggiorano il tutto, tranciano le radici principali, causano il proliferare dei patogeni e costringono all’uso continuo di ulteriori presidi chimici. È un sistema drogato. Una tossicodipendenza che porta alla morte dell’ecosistema.
C’è chi sostiene che l’agricoltura industriale, e quindi anche l’olivicoltura, intensiva, di precisione, meccanizzata, non solosia il futuro, ma ancor di più sia l’unica via per sfamare il pianeta, fare reddito e distribuire ricchezza. Insomma la rivoluzione verde, seconda, terza e quarta serie, punto zero, menzogne e ricatti vari.
Che voi sappiate, dopo più di cinquanta anni di proclami e promesse, l’agricoltura industriale, ad oggi, ha centrato un solo obbiettivo, a parte quello di avvelenare tutto e tutti, ogni essere vivente? Chimica, pesticidi, fertilizzanti di sintesi, sterilità dei suoli (distruzione della rizosfera e quindi dei microrganismi utili che lasciano il posto a patogeni di ogni sorta), erosione della biodiversità, cemento, serre, consumo di suolo, alterazione degli equilibri ambientali, disastri climatici, la salute che va a farsi benedire, non solo quella umana. Questo ha prodotto l’agricoltura industriale, di precisione (per la “precisione” di morte e distruzione).
Ma torniamo ai profeti, di sventura, politicanti a libro paga di lobbisti e multinazionali. Costoro sostengono, ad esempio, che l’agricoltura e l’olivicoltura tradizionale, quella che in Puglia si fonda sull’olivo secolare, millenario e monumentale è obsoleta, non produce, tanto meno produce qualità e costa troppo.
È insostenibile, dunque bisogna innovare. Ovvero, sradicare tutto e sostituire con nuove piante “favolose”, brevettate, per soddisfare i mercati e l’industria che bontà loro contengono i prezzi (è un mondo merdaviglioso!). Vero!?
E visto che da qualche anno siamo invasi (taluni politicanti invasati) dal pericoloso batterio Xylella, capro espiatorio che distrugge tutto, allora, diamoci da fare e diamogli una mano a questo povero batterio e questi sciacalli e politicanti criminali, unici veri negazionisti di madre natura, abbattiamo e irroriamo tutto con sublimi pesticidi da bere, consigliati da professoroni super esperti, millantatori di titoli cattedre inesistenti, e non se ne parla più.
A sostenere questa visione avveniristica (della morte a venire!), non sono i nostri poveri contadini, che l’olivo e la campagna, conoscono da sempre e con i quali hanno un rapporto non solo empatico ma anche spirituale.
Queste favolose visioni vengono da uomini sempre più traviati, senza identità, polticanti, (im)preditori, nuovi Conti e Baroni, neo latifondisti e aspiranti tali, burocrati e lobbisti, sciacalli di ogni sorta a cui unicamente interessa potere e profitto, anche quando sono a due passi dalla loro fossa, quasi fossero eterni.
È bene avere consapevolezza del danno che le chimere di questa folle mentalità ha causato a chi coltiva (traviandolo e allontanandolo da un rapporto diretto con la terra), a colture come l’olivo, che abbiamo avuto in eredità, solo per il breve arco di tempo della nostra vita, per poi tramandarlo a chi verrà dopo di noi e all’ecosistema.
Terre non più coltivate dal contadino ridotto a bracciante (generalmente donne sottopagate), di un sistema dittatoriale che impone, ne riduce la libertà e la funzione di custode erede, lo pone costantemente sotto ricatto costretto alla canna del gas. Una sorta di caporalato per ex contadini neo proletari imborgesiti, affamati e ammalati, mandati a spasso nelle corsie dei reparti di oncologia.
E allora è anche il caso di domandarsi, oltre a cosa i mercati ci danno da mangiare (quale tossica spazzatura), anche cosa stiamo lasciando, in nome di una innovazione per ricchezza di pochi prenditori, a coloro (innocenti e inconsapevoli), che verranno dopo di noi, avvelenati e impoveriti ancora prima di venire al mondo?