UN SUCCESSO LA MANIFESTAZIONE NO TAP DEL GIORNO DELL’IMMACOLATA A MELENDUGNO. L’ OTTO PER MILLE, PURE DUEMILA, DI TESTIMONIANZA , DI PRESENZA E DI LOTTA CHE NON SI ARRENDE: “La Storia può cambiare”
di Giuseppe Puppo______
C’è da spostare una macchina. Gracchia il megafono, è una Renault, è messa male, fa ostacolo. Piazza Pertini a Melendugno sonnecchia, all’ ora fissata per il concentramento, qualche cane gironzola ringalluzzito dalla pettorina No Tap che porta addosso, qualche altro si stende sotto le panchine al sole caldo, di questa bella giornata invernale salentina. Giocano tanti bambini, rincorrendosi con le bandierine, incuranti dei nuvoloni neri che transitano senza conseguenze, del vento che soffia, un poco, poi si placa. C’è pure la banda, che poi si allontana a ritmo solenne.
C’è da spostare una macchina, ripete quello del megafono, se no il camion alla testa del corteo non potrà girare. Ma qui, se c’è una cosa da spostare, da smuovere, da levare e da buttare via, è l’indifferenza, di fronte alla devastazione del territorio che il gasdotto Tap, opera inutile, pericolosa e dannosa, sta compiendo, nel tradimento di chi aveva promesso, nel perdurante menefreghismo dei più, singoli e partiti e movimenti così detti della ‘società civile’, che poi usano le logiche dei vecchi partiti, del trasformismo, del tiriamo avanti, del tengo famiglia, del chi me lo fa fare, dell’insostenibile leggerezza del non essere.
L’indifferenza è ancora dei più, e ora si nutre dell’ alibi dell’ impossibilità a reagire, della supina accettazione dei fatti compiuti.
Compiuti?
Non è ancora detto. Certo, “la Storia può ancora cambiare”. La Storia siamo noi, la facciamo noi, nel nostro quotidiano, di giornate come questa.
Ci provano, a smuoverla, l’indifferenza, a indicare la strada del benessere, del agio contro il disagio, della felicità di opporsi, comunque, di dire no, di credere e sperare ancora, gli organizzatori di questa giornata di lotta.
Devono ancora spostare la macchina, comunque è ancora presto. Ho il cuore pieno d’amore, mentre fumo e guardo la piazza che piano piano si riempie, guardando chi c’è, tante facce che diventano una, volti che conosco, e tanti nuovi, sconosciuti, che abbraccio nel sole, nel vento, nel sorriso e nel pianto.
Annibale gira per il ‘corto’ che sta preparando per il Festival del Cinema Europeo, Tina fa di continuo foto e video con il suo smartphone, Elena prende appunti sul suo taccuino, gli operatori delle tv e i fotografi scaldano le macchine, un bellissimo esemplare di cane lupo ora si stende a terra beato, più innocuo di un agnellino, i bambini ora sono davvero tanti, e cercano di rincorrersi l’un l’altro, risuonano i primi cori, i fischietti, qualcuno si è coperto di un cartello, uno dice, pesantissimo, ma non per chi lo porta addosso, per quelli ai quali si rivolge: “AI SINDACI IN VENDITA, E A TAP: La vita non ha prezzo“.
Si parte alle 10.30. Saranno in sette/ottocento, alla partenza, dietro il camioncino batti strada, gli striscioni. All’ arrivo, a Masseria del Capitano, davanti l’inizio del Cantiere, due ore dopo, saranno almeno il doppio.
Sono questi giovani, questi ragazzi e queste ragazze, questi bambini, queste mamme, queste zie, queste nonne, la speranza, e la certezza al tempo stesso, del senso di un giorno come questo, “Io l’8”, l’ otto per mille, e pure più.
Arranco davanti e dietro, dalla cima alla testa.
E’ un corteo che si ingrossa, strada facendo. Sempre vivace, ma composto, non c’è stata una sola nota fuori dal pentagramma, nemmeno un accenno di stonatura. Un corteo colorato, musicale, poi, ecco, musicale, in cui pizzica e reggae si sono contaminati, con i ritornelli della tradizione, e con l’immancabile “urla forte Melendugno, che paura non ne ha, sulle barricate sventola, la bandiera dei No Tap”.
C’è pure “No woman no cry”, quanto mai opportuna, a risuonare, ad un certo punto. Soste. Gli interventi, e poi si riparte. Così, per due ore. Le mamme No Tap, gli studenti liberi, quelli dell’UniSalento, non che questi ultimi non siano liberi, è che non mi ricordo come si chiamavano le associazioni che si sono susseguite, perché in testa avevo sempre un mix di Bob Marley e di Treble lu professore, a inebriarmi.
Ma poi pure i comitati di Brindisi, quelli No Tap e quelli contro Cerano, e di altre realtà locali che – chiedo scusa – non ho segnato, e certo, li ho visti, hanno esposto una gigantografia del Mostro, nella loro città bella quanto sfortunata, i Genitori Tarantini.
Un corteo colorato, musicale, pieno di vitalità e di vita. Pacifico, non violento. Non violento, pacifico. Vallo a spiegare all’elicottero che, appena usciti dal paese, ha cominciato a volteggiare sul lungo serpentone in marcia.
Marcia?
Una passeggiata, ecco, fra i profumi della campagna, i fiori del bene, il giallo dei petali, sul verde dell’ erba, cicoria, rucola e zanguni, menta, rosmarino, un profumo di cose autentiche, di presenza di Madre Natura, che testimonia la sua ostinata volontà di resistere, come questi suoi figli che oggi marciano nel suo nome, a difesa del territorio
Ma ad un certo punto, arrivati a destinazione, a Masseria del Capitano, davanti alla strada di ‘inizio cantiere’, come avverte minaccioso un cartello off limits, lo scenario cambia di colpo.
Ci sono degli strani ulivi, di lato: martoriati, storpiati, ricoperti sui rami monchi di un non so che di rivestimento bianco, che piangono, che urlano, oramai senza voce, e sembra un quadro di un De Chirico impazzito di disperazione, passato dalla metafisica all’allucinazione.
La campagna è sparita, altri alberi dei nostri fratelli ulivi si mostrano trapiantati e sofferenti.
Poi, si vedono strisce di materiale arancione, che arrivano fino al lager. E’ un cantiere lager, esattamente questo, che adesso occupa e domina la zona, un cantiere che resterà per sempre, con suo carico di veleni, di inquinamento, di potenziali pericoli, della centrale dove arriverà – dovrebbe arrivare: esiste sempre la Provvidenza Divina – il gasdotto, per poi da là ripartire e andare a devastare altre campagne, altri muretti a secco, altri fiori e altri zanguni, altra menta selvatica e altra salvia profumata, in altre zone del Salento, e via via su per tutta Italia.
Il lager è di cemento, si profila minaccioso, tetro, sinistro, davanti agli occhi, l’ arancione si stempera nel grigio, poi, come nelle più tristi memorie storiche, si alzano i rivestimenti di filo spinato.
Gli interventi proseguono là davanti. Il bellissimo cane lupo non è arrivato, se ne sta ancora al sole della piazza, tutti gli altri, molti di più di quelli che dalla piazza son partiti sì, e ora formano un disordinato, ma composto, via vai di fervore creativo. Un uomo si è messo col suo cartellone addosso a piangere insieme agli alberi di ulivo.
Qualcuno comincia a fare marcia indietro, a ritornare in paese. Marcia indietro solo in senso geografico. In pace con la propria coscienza.
Chi ha tradito questa gente meravigliosa, chi fa politica e poi non si spende in queste questioni fondamentali, chi le ignora, chi se ne occupa solo a parole, semplicemente chi oggi non c’era, i conti con la propria coscienza, prima o poi, dovrà pur farli. E saranno amarissimi.
Complimenti