LECCECRONACHE / “Perché quegli uomini tagliano l’albero?”
di Raffaele Polo______
Abbattono gli alberi. Con le ruspe, attaccano furenti tre maestosi pini, e ne decretano la morte così, in pochi minuti. I giganti rovinano a terra e subito vengono messi da parte, per farne legna, in vista di un inverno che sublimerà camini e caminetti usi ad arrostire turcinieddhi e castagne…
I bambini guardano impressionati quel lavorio, quella che sembra una operazione da nulla, ma è piena di profondi significati per chi ama la natura e ha imparato che le piante, gli alberi, gli animali sono beni preziosi e amici dell’uomo.
E un amico non si uccide, anzi. Questi operai con le divise gialle e il casco in testa, però, hanno ucciso i tre bei pini che davano bellezza e ossigeno proprio davanti a casa. Ogni mattina, li cercavamo con lo sguardo, tra i muri grigi delle case in costruzione e l’andirivieni di auto sempre più inquinanti.
Li cercavamo e loro erano lì, a confortarci con la grande chioma che si protendeva ad ombreggiare, soprattutto in estate, con un pigolio piacevole degli uccelli ospiti dei rami fronzuti.
‘Perché quegli uomini tagliano l’albero?’ mi chiede Giulio che tengo con la mano destra ed è un po’ impaurito dal rombo delle motoseghe.
‘Le radici di quegli alberi sono finite sotto la strada e la stanno facendo gonfiare. C’è pericolo per le macchine che passano…’ dico, fingendo indifferenza perché anche io non so spiegarmi quel misfatto.
‘E adesso gli alberi sono morti?’ mi dice Emma, stringendo il suo gattino di peluche, quasi a volerlo proteggere.
Cosa si può rispondere ai bambini, per far loro capire che, nella realtà, non tutte le storie sono a lieto fine?
‘Questi alberi erano pericolosi e li hanno tolti. Sicuramente ne pianteranno degli altri, più piccoli e che possono star bene in questo posto…’ Signore degli Alberi, perdonami, penso dentro di me, sentendomi in colpa per le mezze verità che sto raccontando ai bambini.
‘E gli uccellini dove vanno adesso?’ chiede Giulio, preoccupato.
Questa volta la domanda è facile e me la cavo : ‘ In quegli alberi vicini, lì staranno benissimo’, dico sicuro, indicando alcune altre piante che si vedono in lontananza.
‘Si, però mi dispiace’ dice Emma, tirandomi per la mano.
‘Anche a me. Dispiace anche a me’ dico in un sussurro.
E sarà la vicinanza dei bambini oppure quella improvvisa tragedia vegetale, ma mi viene da piangere.
Un albero no, non si può abbattere così un albero.
Ma poi mi riprendo, tiro i bambini con me, li porto via da quella scena di ruspe e denti di ferro che tagliano e sradicano.
‘Andiamo, bambini. Andiamo a dare le carote a Silvia’ li stimolo.
Di là dal muro un nitrito ci accoglie, come un grido di dolore. La cavallina Silvia pare aver capito tutto. E anche lei, a modo suo, partecipa al dolore della Natura per i tre giganti che non ci sono più, hanno già caricato i loro pezzi sugli autocarri ed è rimasta, a terra, solo una confusione di rami e foglie.
Partono con sussiego e rumore scoppiettante anche le ruspe, con gli omini in giallo, che paiono giocattoli.
Gli alberi non ci sono più, pensiamo.
E siamo tristi.
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