L’ “umanismo simbolista’ DI LINO MANCA
di Raffaele Polo______
Sapete com’è: ci capita di re-incontrare qualcuno che avevamo già frequentato, nei sentieri della Poesia che si incrociano nel grande Castello di Atlante, dove ognuno cammina indifferente con il volto proteso verso terra, senza accorgersi degli altri, tanti, che sono attorno a lui. E ciascuno insegue un suo particolare modo di fare versi, di scrivere poesie che sono prose e prose che paiono poesie. Magari dipingendo su una tela o su un foglio verticale le proprie idee, i propri sentimenti.
E così, dopo ‘Ocra’, che ricordiamo con piacere nella edizione con bella copertina di Lupo di qualche anno fa, eccoci a sfogliare di nuovo i versi, gli scritti di Lino Manca (nella foto), salentino di San Pietro in Lama, innamorato della sua terra, delle storie senza tempo che germogliano nella semplicità della campagna e dei costumi agresti, macchiati da una contemporaneità che, però, non ne ha trasfigurato i valori.
Solo che bisogna scavare, pare voglia dirci il bravo Lino, mettendo da parte tutte le nostre malformazioni intimistiche, per concentrarci sui messaggi che ci vengono dalla immota essenza del magico Salento dei poeti e delle immagini.
Sono messaggi e spunti accorati, quasi sempre intrisi di malinconiche connotazioni, che si stemperano in vicende semplici, simboliche di un mondo arcaico che non sa darsi ragione delle contraddizioni moderne ma è sempre pronto ad aprirsi ai messaggi d’amore, che vengono dalla Natura e non sono quasi mai intesi dall’uomo, troppo distratto dai suoi ‘idoli’ per potersi accorgere della delicata sensibilità di una tenera foglia o di una silenziosa lacrima…
La poesia di Manca è un coacervo di queste sensazioni, un impalpabile costrutto che ci trasporta in un mondo parallelo al nostro, dove ‘si gonfiano lenzuoli di nebbia,/ sulle finestre chiuse delle case/ si gonfiano lenzuoli di nebbia.’
Nella sua recente raccolta, edita da ‘Il Raggio Verde’ ( Il giardino del bisogno, 15 euro) c’è, ancora più diffuso e soffuso, il mondo in bianco e nero del poeta. Che, se pure si attarda a farci ‘immaginare’ le tinte degli oggetti e della Realtà, finisce poi a semplificare, cancellando la vividezza spontanea, a favore di una triste realtà: ‘Io rivedo/ il sorriso dell’inizio/ nei fiori/ che nascono ad ogni ora/ così bianchi/ sopra il susino ignudo,/ a compiere/ la luce del mio orto.’
Poesia , invocazione, triste e misurata coscienza del proprio essere (‘Mi chiamo Simone, e sono un impiegato di sesto livello’) tramutano quasi inconsciamente gli afflati poetici iniziali in una serrata prosa che sviluppa e conclude la silloge.
Un evidente e freudiano trait d’union tra questi due mondi paralleli (poesia e prosa) è dato dall’uso del punto esclamativo. Non ve ne sono tra le poesie, almeno dal punto di vista grammaticale (perché, in realtà, molti versi hanno l’esclamativo incorporato….) mentre nella prosa, soprattutto nel finale, si abbonda, in un misurato crescendo che spiega anche il mutare delle incasellature metriche che partono dal basso, all’inizio della raccolta, per poi svilupparsi via via nella onirica costruzione che Lino ha voluto meticolosamente offrirci, quasi senza parere, rassegnato ad una trascurata lettura che, invece, i suoi versi non meritano.
Nella prefazione, Marcello Buttazzo definisce Lino come artefice di un ‘umanismo simbolista’: siamo d’accordo con questa definizione che sposiamo accanto alla dedica che il Poeta mette in apertura della sua raccolta: Dedicato al mio paese e alla mia terra a cui ho rubato i suoni dell’anima.
Ringrazio Raffaele Polo per le belle parole che ha dedicato al mio libro “Il giardino del bisogno” e lo invito a partecipare a Lequile, nella sala consiliare , venerdì 5 ottobre alle ore 18,30, ad un incontro sul messaggio del mio libro. L’invito è rivolto a tutti gli amici e a chi ama la poesia ed i nostri paesi salentini. Vi aspetto, Lino Manca