TAPEXIT / FANTOMATICI TRATTATI INTERNAZIONALI E PRESUNTE PENALI. IN UNA NOTA DEL COMITATO NO TAP, IL PROFESSOR MICHELE CARDUCCI FA CHIAREZZA
(g.p.)______Il Comitato No Tap ha diffuso ieri sera via social una nota, a firma del professor Michele Carducci (nella foto), ordinario di Diritto Costituzionale Comparato presso l’Università del Salento. La riportiamo qui di seguito integralmente______
+++PRESUNTE PENALI? CITTADINI E ASSOCIAZIONI CHIEDONO CHIARIMENTI AL GOVERNO +++
Continuano a rincorrersi le voci sui presunti “costi di abbandono” del progetto TAP: si oscilla dai 70 miliardi ai 40, ai 12; cifre indubbiamente impressionanti, ma non supportate da fonti o documenti di riscontro.
Si cita anche l’Accordo internazionale tra Italia, Albania e Grecia, ratificato in Italia con Legge n. 153 del 2013, definendolo vincolo “insormontabile”. Ma di esso si omette di leggere tutti gli articoli, che smentiscono proprio quella “insormontabilità”.
Per esempio, si omette di ricordare che un qualsiasi Accordo internazionale è subordinato alla Costituzione italiana e ai Trattati europei (artt. 10, 11, 117 comma 1 Cost. it. e costante giurisprudenza della Corte costituzionale italiana e della Corte di giustizia UE), come – tra l’altro – esplicitato proprio dagli articoli di quel patto trilaterale.
Si omette altresì di constatare che non esiste alcun impegno italiano a siglare con TAP i c.d. HGA (“Host Government Agreement”), con le connesse clausole eventualmente “penali” (esiste risposta ufficiale confermativa del MISE, in proposito, datata 25 luglio 2017).
Si omette pure di dire che quell’Accordo non può disapplicare il Regolamento UE 347/2013, che rinvia e rende direttamente applicabile, al di là del criterio cronologico di successione degli atti nel tempo, la “implementazione” della Convenzione di Aarhus (onere del tutto omesso dai Governi della precedente legislatura e per il quale è in corso una segnalazione internazionale verso l’Italia). Ci si dimentica di informare che quell’Accordo non può derogare neppure ai principi generali del diritto internazionale (art. 10 Cost. it.), di cui ora è espressione l’Accordo di Parigi sul clima, del 2015.
Si omette anche di dire che dal 2015, proprio a seguito dell’Accordo di Parigi sul clima, nulla è più come prima, se davvero ci teniamo ai diritti delle generazioni future e se davvero vogliamo salvare questo Pianeta come luogo decente di convivenza; sicché anche la cosiddetta “analisi costi-benefici” deve inglobare metodologie di impatto nuove e coraggiose, come richiesto – tra l’altro – dall’OECD e dall’ONU.
Infine, si omette di dire che, per vincoli europei e internazionali, la “strategicità” non dovrebbe mai andare a discapito della promozione nel mondo della democrazia e della protezione prioritaria dei diritti umani; come invece accade nei confronti dell’Azerbaijan, Paese da nessuno al mondo definito “democratico” e dallo stesso Consiglio d’Europa e dalla “Commissione di Venezia per la promozione della democrazia” inquadrato come lesivo dei diritti umani (informazioni negligentemente omesse dall’informazione italiana che ha accompagnato il viaggio del Presidente Mattarella in quel Paese).
Se tutto questo si dimentica e semplicemente si comunicano cifre, senza oneri di prova né di allegazioni né di spiegazioni, si manifesta un esercizio intellettuale, che, per quanto formalmente legittimo come libertà di opinione, non per questo giova all’intelligenza dei cittadini e alla qualità della democrazia.
Per questo, si è proceduto ad esercitare un diritto di informazione, fondato non solo sulla Costituzione e la legislazione italiane, ma anche sulla Dichiarazione ONU del 1998 per la difesa dei dritti umani, di cui l’OSCE, quest’anno presieduta proprio dall’Italia, si è fatta attuatrice con le sue “Linee guida”. Per questo, abbiamo promosso la così detta FOIA, strumento civico di trasparenza, con reticenza introdotto in Italia ancorché da tempo praticato altrove a vantaggio dell’onesta intellettuale di cittadini e giornalisti.
Ne alleghiamo i due testi, appunto per trasparenza.
Chi dice che la democrazia si fonda sul consenso, dice una mezza verità: un consenso ignorante e appiattito su notizie non verificate è un consenso pericoloso, manipolabile, volgare. No, la democrazia si fonda – come scriveva un grande interprete della democrazia contemporanea, Hans Kelsen – sull’uso delle parole come conseguenza della fatica della conoscenza e dello studio per la comprensione, sull’onere della prova verificabile per tutto quello che si dice, si pensa e si giudica (a questo serve la democrazia “deliberativa” della Convenzione di Aarhus, in Italia elusa), sulla esemplarità e testimonianza quotidiane nel praticare appunto studio e informazione, per saper distinguere conoscenza e comprensione (perché “pensare non significa conoscere, e conoscere non significa necessariamente comprendere”: I. Kant).
Se siamo contrati a TAP, lo siamo in nome di una democrazia migliore, più intelligente, meglio informata, meno appiattita alla “ragion di Stato” delle “strategie” degli altri (a partire dalle interferenze USA che, conviene ricordare, è l’unico Paese al mondo ad essersi chiamato fuori dell’Accordo di Parigi, a danno del futuro dell’intera umanità). Noi, opponendoci a TAP, lottiamo per una democrazia maggiormente consapevole delle sfide climatiche del presente e del futuro; sfide che l’ONU – non noi – definisce “di giustizia sociale” (i c.d. “Goals 2030”). Se siamo contrati a TAP è perché vogliamo una democrazia “decente”, non banalmente “strategica” (ci siamo dimenticati di quante democrazie “strategiche”, USA ed Europa hanno avallato nel corso del Novecento?).
TAP è costantemente conclamata come un “affare” e una “strategia”: parole sconosciute, non a caso, dalla Costituzione italiana, dall’ONU, dal vocabolario della storia della democrazia e dei diritti umani. Per quanto “strategica”, tuttavia, nessun documento, riferito a TAP, ne fornisce una legittimazione come strumento di giustizia per le presenti e le future generazioni, né come opportunità per democratizzare l’Azerbaijan e per tutelare i diritti umani dei cittadini di quel Paese. TAP è ufficialmente presentata e avallata come una “strategia senza qualità”.
A chi ha a cuore democrazia e diritti umani, non può bastare. Noi continueremo a stare dalla parte dell’Accordo di Parigi, dalla parte delle “sfide di giustizia sociale” dell’ONU, dalla parte di una democrazia di qualità. Noi non vogliamo essere complici di un presente “strategico”, compiaciuto di scrivere un futuro “senza qualità”.
In un libro degli anni Settanta, intitolato “I sette mali capitali dell’Italia”, si trovava scritto: “Per vivere, non possiamo essere singoli onesti, che sostengono un mondo disonesto. Nel mondo, siamo tutti conniventi (non complici) e la differenza (se c’è) è di responsabilità diretta, non di corresponsabilità indiretta”.
Ecco: essere No Tap serve a marcare questa consapevolezza, ora e sempre, qui e ovunque.______
LA RICERCA nel nostro articolo dell’ altra sera