PICCIOTTI SI’, MA SVIZZERI, ALLA CONQUISTA DI LECCE. ECCO CHI E’ RENE’ DE PICCIOTTO E CHE COSA VUOLE FARE. CON MOLTE DOMANDE, PER ORA SENZA RISPOSTE
(g.p.)______Allargatosi dal primo appordo, dal residence di Savelletri acquistato per il trasferimento in Italia, in seguito al doppio amore, per i luoghi, e per una donna, come abbiamo raccontato qualche giorno fa, René De Picciotto (nella foto) approda a Lecce attraverso il calcio, acquistando qualche mese fa una piccola quota della società.
Poi, sempre qualche giorno fa, l’ annuncio: è al 30% del capitale dell’ Unione Sportiva Lecce.
Ma i termini dell’ operazione finanziaria non sono chiari.
Ha misu sordi positivi, o no?
Tradotto in svizzero francese di Ginevra: ha egli apportato aumento di capitale, e se sì, di quanto?
Oppure si è ‘limitato’ a rilevare quote da altri soci? Ha cioè fatto un normale investimento, come se avesse comprato azioni di una qualunque azienda, che è possibile quindi rivendere in qualunque momento?
In tal caso, senza sostanziale novità per la società, ma certo con un gran ritorno di immagine, crediamo per giunta non oneroso, per lui stesso?
La ‘comunicazione’ scattata in contemporanea, cioè la propaganda, fa nascere qualche sospetto, in attesa che le domande trovino risposta certa.
Infatti, sempre in questo ultimo periodo, è stata resa nota un’ altra strategia imprenditoriale e questa sì effettiva del banchiere, o ex banchiere, vedremo meglio anche questo, di nazionalità svizzera, innamoratosi all’ improvviso del Salento, a tal punto da volerci impiantare una sua creatura tipica, un mix fra centro commerciale e residence di lusso, come quelli – lo abbiamo visto la volta scorsa – che ha realizzato in varie parti del mondo.
Come Flavio Briatore, che avrebbe voluto farci il Twiga, e sappiamo come è andata a finire, e perchè è andata così.
La differenza sono altre: che Flavio Briatore al confronto è un poveraccio, che deve stare lì a combattere con l’ odiata burocrazia e deve trovare i soldi, oltre ad aver sbagliato completamente approccio con i Salentini; mentre Renè De Picciotto non ha problemi di soldi, è ricco per davvero, e per l’ approccio ha studiato e fin qui messo in atto egregiamente un sofisticato sistema di captatio benevolentiae.
L’ operazione che gli sta a cuore è la trasformazione dell’ ex sede del Banco di Napoli in mega centro commerciale e mega resort di lusso.
Lo ha detto lui stesso, anche se al momento manca ogni dettaglio.
Si tratta dell’ imponente edificio nel cuore del centro storico, proprio di fronte al Politeama, costruito negli anni Venti, pregevole esempio di munumentale architettura fascista, che ben si intona con le altre realizzazioni dei dintorni, chiuso e disabitato dal nove anni.
Non consideriamo infatti al momento la promessa – perchè appunto solo di promessa si tratta agli atti – di voler costruire un nuovo stadio, per cui manca qualsiasi riferimento concreto.
Concentriamoci su questa, per cui qualcosa è emerso.
“Nei giorni scorsi abbiamo consegnato al Comune la pratica con la richiesta del cambio di destinazione d’uso. Aspettiamo dunque che la risposta arrivi in tempi brevi e ci auguriamo ovviamente sia positiva. Solo a quel punto eserciterò il diritto d’acquisto dell’immobile“.
Così si è espresso al riguardo Renè De Picciotto in persona.
Sempre da quel po’ che ha detto egli stesso negli ultimi tempi, ha perfezionato un compromesso di acquisto con un Fondo di Investimenti, quelle società che ormai dominano nell’ alta finanza intrnazionale, di cui non si sa mai nulla, che era diventato proprietario dell’ immobile, per 2.500.00 euro. Ok, il prezzo è giusto, anzi, un’ affare, se si pensa che un normale alloggio residenziale ai Salesiani costa più o meno 250.000 euro, e certo, per tante ragioni, la storica ex sede del Banco di Napoli, più di tremila cinquecento metri quadri in pieno centro storico, vale ben di più di dieci appartamenti periferici.
E, fatto ciò, come detto, è andato subito a chiedere al Comune, cioè ai politici di Palazzo Carafa, il cambio di destinazione d’ uso, per procedere alle realizzazioni pratiche.
Anche qui, ci sono tante domande, che al momento non trovano risposta.
E’ possibile chiedere la revisione d’ uso di un immobile, di un terreno, senza averlo nemmeno comprato in effetti, ma avendo solamente chiuso un compromesso?
Quali inedite prospettive offrirebbe una prassi del genere, se ammissibile, agli operatori immobiliari e commerciali tutti?
Ma soprattutto: sulla base di quale progetto concreto, al di là delle sommarie e precarie indicazioni fornite finora, il Comune dovrbbe rilasciare il cambio di destinazione d’uso?
Quali stravolgimenti urbanistici comporterebbe?
E cosa ne pensa la Sovrintendeza alle Belle Arti, cui è demandata la tutela del patrimonio artistico e senza la cui autorizzazione non si può alzare nel centro storico nemmeno un muro in casa, figurarsi altro?
Però le domande non sono finite.
Se Renè De Picciotto è davvero animato da intenti filantropici e vuole accreditarsi come il Mecenate del Salento, perché non fare della ex sede del Banco di Napoli la banca della Musica? O la Banca del Teatro? O tutte e due, visto che di spazio ce n’è?
Un Museo per Tito Schipa, un museo per Carmelo Bene, che raccolga i loro pregevoli cimeli, a volte vere e proprie bellezze artistiche di inestimabile valore, adesso persi e sparsi in tutto il mondo, e li ricollochi doverosamente nella loro terra?
Sa Renè De Picciotto chi siano Tito Schipa e Carmelo Bene, quanto contino nella identità storica e culturale leccese? Forse no, perchè se no magari un’ idea del genere gli sarebbe venuta, oppure no?
Ove la facesse, se poi la vogliamo vedere anche dal punto di vista economico, darebbe lavoro comunque e certo di più, e dignità, a questa terra, in presenza, facilmente prevedibile, di un grosso e continuo flusso turitico popolare, di valore certo maggiore di quello di dare alloggio temporaneo ai pochi billionairini orfani del Twiga di Otranto.
In tal ipotesi, dai, un bar all’ interno potrebbe pure aprirlo, c’è in tutti i grandi musei, e potrebbe, dovrebbe appagare la sua conclamata vocazione alberghiera.
Che poi, i soldi non gli mancano certo, e non ha certo bisogno di un altro investimento commerciale per arrivare a fine mese.
Quando, come si è fatto finora, si è detto a proposito di lui, che è un banchiere, un ex banchiere svizzero, non si è detto molto.
Le cose stanno ben più in alto.
Renè infatti è fratello di Edgar, morto a 86 anni nel 2016, il quale realizzò la banca di famiglia.
Detto così, non è ancora niente, sembrerebbe il piccolo istituto rurale di provincia.
In realtà la banca di famiglia è la Union Bancaire Privée, conosciuta in tutto il mondo come UBP, fondata a Ginevra nel 1969 con 125.300.000.000 (centoventicinque miliardi e trecento milioni) di franchi svizzeri di capitali in gestione (adesso un franco svizzero vale un po’ meno di un euro, 85 centesimi, più o meno).
Da là negli anni scorsi una rapida crscita ulteriore, che ha portato la UBP ad acquisire la TDB-American Express Bank; la Discount Bank and Trust Company; la filiale svizzera del gruppo olandese ABN AMRO, riconosciuto come uno dei principali attori della gestione patrimoniale; è andata alla conquista dell’ Asia, realizzando due joint venture con la TransGlobe a Hong Kong e Taiwan; ha rilevato la Nexar Capital Group, una società di fondi di investimento a rischio con sede a Parigi e uffici a Londra e New York; poi le attività del private banking internazionale di Lloyds Banking Group; e poi dell’ analogo settore, di private banking, di Royal Bank of Scotland; in ultimo, in tempi più recenti, ha stipulato un accordo con il gruppo svedese SEB ed ha avviato un’ importante collaborazione con Partners Group, leader nella gestione degli investimenti sui mercati privati.
L’ ultimo totale di bilancio, al 31 dicembre 2017, di UBP ha raggiunto 32 miliardi di franchi, e con un indice di capitalizzazione che è il migliore in assoluto tra le banche svizzere.
Se questa è la banca di famiglia, ci sono poi gli investimenti personali: sono suoi, a vario titolo, con varie quote, tanto per fare qualche esempio, un enorme centro commerciale a San Pietroburgo, gli alberghi della catena Holiday Inn e le cliniche private di Ginevra.
Si capirà ora meglio di cosa si parla a Lecce in questi giorni, a proposito di Renè De Picciotto. E di cosa di lui si parlerà ancora per molto.______
LA RICERCA nel nostro articolo del 21 giugno scorso
Ho letto l’articolo e, come da prassi, il salentino medio pretende di attirare capitali privati decidendo poi cosa fare precisamente di quei capitali. Interessante tesi…
Riepilogando:
– Abbiamo una situazione di immobile chiuso e in cattive condizioni che nessuno vuole comprare;
– Certamente, il comune di lecce, attraverso fondi europei moooolto vantaggiosi e con gran parte di essi a fondo perduto, potrebbe acquistarlo e farci i musei descritti, ma non mi sembra che ciò sia accaduto (eppure il binomio “risorsa per la città realizzata dalla città” non è tanto assurdo);
– un investitore privato vuole investire in questo palazzo, e visto che investe vorrebbe farlo con la certezza di poter realizzare il business desiderato (ndr i soldi sono suoi, non del comune), che, tra l’altro, produrrebbe un bene prestigioso che darebbe lustro alla città, oltre al non trascurabile numero di posti di lavoro (temporanei di cantiere e permanenti di dipendenti e indotto) che l’investimento genererebbe;
– il Salentino, interpretazione dell’articolo in questione, non è contento e vorrebbe il denaro per poi decidere cosa farci, colpevolizzando l’investitore che “pretende anche di guadagnarci”.
La mia conclusione da salentino? Il Sud intero merita di essere in queste condizioni. Il no a tutto, spesso non giustificato, non porta da nessuna parte.
E intanto quell’immobile è li, chiuso e inutilizzato. Complimenti per le strategie!