CINQUANTA ANNI FA ‘IL SESSANTOTTO’ A LECCE SU DUE SPONDE. PIERO MANNI, I CAMBIAMENTI DI SCUOLA E UNIVERSITA’, E QUEL GIORNO CHE AI BORDI DELLE STRADE DI PORTA NAPOLI DIO E’ MORTO (PER UN’ORA)
(g.p.)______Ci siamo accampati per qualche ora sulla ‘riva sinistra’ del Sessantotto a Lecce e abbiamo letto e meditato tutto quello che di sinistra c’è nel già citato libro – compilation “Quei giovani ribelli del ’68 salentino”.
Rileggere queste testimonianze a distanza di cinquanta anni dai fatti rievocati, e a venti da quando furono scritte, è emblematico, per quanto alcune di esse non aggiungano niente di rilevante: muovendosi già su schemi codificati, e viaggiando su binari partitocratici.
A proposito di libri, mi ha fatto piacere trovare nei testi citati quali letture preferite dei giovani contestatori di allora, che leggevano molto, certo almeno di più dei giovani di oggi, oltre ai vari Marx e Marcuse, una chicca, ‘L’ antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters, nella storica traduzione di Fernanda Pivano per Einaudi, che insegnò loro fra le altre cose che
“Dare un senso alla vita può condurre a follia
ma una vita senza senso è il tormento
dell’inquietudine e del vano desiderio,
è una barca che anela al mare eppure lo teme”.
A proposito di libri, fra gli altri attestati sulla riva sinistra, desidero qui soffermarmi sul contributo di Piero Manni, anch’ egli ‘giovane ribelle’ dell’ epoca, e che al Sessantotto leccese arriva con qualche anno e qualche esperienza in più degli altri.
Il tempo necessario, per esempio, per seguire l’ iter burocratico e politico per la statalizzazione dell’ Università del Salento, da rappresentante di sinistra degli studenti, insieme allo storico statista democristiano Giuseppe Codacci Pisanelli, che ne divenne rettore e Commissario governativo.
Ne esce negli anni Settanta politico anch’ egli, esponente del Manifesto, e del Partito di Unità Proletaria, e poi professore di lettere.
La svolta della sua vita, però, arriva alla vigilia del nuovo Millennio, quando, a Lecce, a San Cesario per la precisione, lasciata la politica attiva e l’ insegnamento, fonda la casa editrice che porta il suo nome, insieme alla moglie.
Ora, insieme alla Laterza, Manni Editori è una realtà consolidata e prestigiosa del panorama culturale non solo meridionale, che pubblica autori e opere di assoluto prestigio (nella foto, l’ editore con Alda Merini), ed è puntualmente recensita sui quotidiani nazionali.
A proposito della moglie. Piero Manni racconta nella sua testimonianza un gustosissimo aneddoto, fra le tante vicende di allora, che egli ritiene, e giustamente, significativo.
Correva appunto l’ anno 1968, anche a Lecce, quando gli studenti universitari, fra le altre cose, protestavano per la mancanza di aule, cioè per gli spazi che non erano sufficienti in ateneo.
Alcuni di loro, fra l’ altro alcuni cattolici praticanti, e fra di loro appunto Piero Manni, “con l’ allora mia fidanzata (si diceva così), Anna Grazia D’ Oria”, pensarono bene, appunto per protesta, di andare ad occupare (beh, scattava sempre l’ occupazione facile) la cappella universitaria, che si trovava nel palazzo ex Gil a Porta Napoli, e di impedire la celebrazione della Santa Messa.
Come cantava Guccini dell’ epoca, quel giorno ai bordi delle strade di Lecce Dio morì davvero, sia pure solo per un’ ora. Se è per questo, lo faranno morire altrove, ancora e tante volte in seguito, “una politica che è solo far carriera”, “con gli odi di partito” e potremmo continuare a lungo, ma non divaghiamo.
Dire che, davanti alla Chiesa occupata, e alla Santa Messa negata, Giuseppe Codacci Pisanelli si incazzò, perché anche i democristiani nel loro piccolo si incazzavano, è adoperare un eufemismo: si allontanò nero in volto, ripetendo che era una profonazione, e a ogni passo sempre più adirato.
Ciò nonostante, i tre, il rettore e i fidanzati, si ritrovarono a distanza di appena una settimana, e di fronte ad un’ altra chiesa: quella di Santa Rosa, dove i due si unirono in matrimonio, e Giuseppe Codacci Pisanelli volle esserci, con tanto di compunto baciamano alla sposa.
La revocazione di Piero Manni dell’ esperienza sessantottina è incentrata appunto sul tema del ‘personale/politico’, e ne fa un bilancio generoso, se non lusinghiero, soprattutto sul risvolto della formazione umana, degli aspetti privati, degli usi e dei costumi nei rapporti inter personali, respingendo poi, e negandone anzi ogni responsabiità, la deriva violenta, gli sbocchi del terrorismo, il cieco fanatismo ideologico che esso finì in breve per trovare.
Per concludere, così come abbiamo cominciato, con un libro, egli cita in profondità “Lettera ad una professoressa” di don Lorenzo Milani, che, correttamente, ha letto nella prospettiva aggiornata di Pier Paolo Pasolini, di critica all’ omologazione, e di denuncia del disagio sociale: “la scuola trasmette la cultura dei ceti dominanti, e i figli della povera gente ne vengono emarginati”.
E oggi, cari Sessantottini, ragazzi miei marxisti immaginari, cosa è cambiato?
Attualissimo, mezzo secolo dopo, quel Sessantotto, che quella scuola distrusse, o contribuì a distruggere.
Nel 2018, la scuola ahimè non è più nemmeno autorevole, altro che autoritaria. Cosa è il così detto bullismo dilagante, se non un frutto velenoso di tutto questo?
E se la frequenza si è allargata, si è allargata in un limbo indistinto e indiscriminato, in cui i figli dei ricchi fanno comunque i figli dei ricchi, e sempre più ricchi, magari negli istituti e nelle università private, e i figli dei poveri i figli dei poveri, senza più quell’ “ascensore sociale” che fino a qualche decennio fa ancora la scuola pubblica assicurava anche a loro.
Ammesso che riescano ad andarci, con sacrifici indicibili delle loro famiglie, pure per una scuola pubblica sempre più costosa e a pagamento, altro che gratuita, i figli dei poveri non salgono più, anche con maturità e laurea: rimangono tristemente dove sono, e dove sono condannati a rimanere: disoccupati, sotto occupati, parcellizzati, come si diceva allora, precari del just in time, come ahimè si dice oggi.______
3 – Continua______
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