“Potranno i nostri figli non incontrare mai la guerra?” / ESCE ‘INFANTI’, IL NUOVO DISCO DI FABRIZIO TAVERNELLI

| 8 Aprile 2018 | 0 Comments

di Roberto Molle______

Negli ultimi giorni da più parti, nella rete e sulle riviste specializzate di musica, è un gran parlare del nuovo album dei Baustelle, quel “L’amore e la violenza n.2” che, se ce ne fosse ancora bisogno, arriva a ri-confermare il livello artistico di uno dei gruppi italiani più interessanti degli ultimi anni.

Contemporaneamente a quello dei Baustelle, fresco di crowdfunding è uscito anche “Infanti”, l’ultimo disco di Fabrizio Tavernelli (nella foto), musicista, autore e cantante tra i più originali che in più di vent’anni di carriera ha saputo esplorare spazi e inter-spazi dell’universo sonoro.

Come Luciano Ligabue è emiliano di Correggio, e anche se il primo è considerato il rocker nazional-popolare, il secondo è quello che (tra pochi) può portare alla considerazione che in fondo, poi, non siamo soltanto una piccola costola dell’impero (quello musicale inglese e americano, tanto per chiarire).

 

Fabrizio Tavernelli in arte “Taver” oltre che musicista e cantante, è anche un brillante scrittore. Con la sua musica ho cominciato a farci i conti intorno al 1996, quando uscì il secondo disco del suo gruppo di allora: gli AFA (ma aveva avuto già un’altra “storia” con gli EN MANQUE D’AUTRE, dalle cui ceneri nacquero poi gli Afa); quel disco si chiamava NOMADE PSCHICO, e stava alla musica italiana come “Remain in light” dei Talking Heads, stava a quella statunitense.

Stesso approccio intimista, suoni rarefatti, ritmi tribali, parole sussurrate, atmosfere ambient e un dub sporcato di elettronica meccanicizzata; in più, rispetto all’album dei Talking Heads (ma questo, probabilmente perché gli Afa arrivano in tempi più recenti), Nomade pschico è scandito da quel trip-hop che in quegli anni ha fatto strage di “menti sensibili” grazie a formazioni come Massive Attack e Portishead.

Da Nomade Pschico in poi, è stato tutto in discesa verso un’empatia mai provata prima per un musicista italiano.

La scoperta di “Materiale resistente”, una raccolta di brani realizzata nel 1995 per celebrare il cinquantesimo anniversario della liberazione dell’Italia dal fascismo, in cui musicisti e gruppi che ruotavano intorno al CONSORZIO SUONATORI INDIPENDENTI di Ferretti & c., reinterpretavano una serie di canti partigiani e loro, gli Afa partecipavano con “La guerriglia”; la partecipazione di Taver a “Il Maciste”, un bollettino periodico del Consorzio Produttori Indipendenti, ricco di recensioni, interviste e digressioni sulla musica e i musicisti del Consorzio. E a ruota, l’uscita nel 1999 di ARMONICO, quarto e ultimo capitolo per gli Afa prima del loro scioglimento in concomitanza con la chiusura di una delle realtà più interessanti della scena indipendente nazionale: l’etichetta discografica Dischi del mulo/CPI.

Il disco nasceva dopo un viaggio/studio nel deserto del Kalahari, dove i musicisti del gruppo, hanno vissuto per un certo periodo di tempo a stretto contatto con gli ultimi gruppi tribali dei Boscimani della Namibia. I suoni, le parole e le atmosfere dei brani del disco, risentono di quell’esperienza in una mescolanza di visioni futuristiche e arcaicità, note campionate e trance.

Tra gli Afa e la loro fine, in mezzo ci sono altre esperienze artistiche per Fabrizio Tavernelli, esperienze alternative ma complementari al suo percorso, con identità e nomi che rispondono a Groove Safari, Duozero, Ajello e Babel. Esperienze queste, che hanno significato una sorta di spartiacque, paragonabile a un periodo sabbatico nel suo percorso.

Il 2010 per Taver è stato l’anno del superamento della linea d’ombra che con OGGETTI DEL DESIDERIO, si presenta da solista, scevro da orpelli siglali, col suo nome accanto al titolo del disco. Nove canzoni, liberate dalle architetture complesse (che avevano caratterizzato gli ultimi dischi degli Afa), ironiche e amare al contempo, fatte di impietosi flash sulla società attuale, costantemente connessa all’informazione, ma totalmente sconnessa dalla comunicazione tra gli individui, condannati inevitabilmente alla solitudine. Con Oggetti del desiderio si inaugura “Lo scafandro”, un’etichetta voluta da Fabrizio che va a rafforzare l’idea di un nuovo inizio, una sorta di Taver 2.0, per intenderci.

Nel 2012 esce PROVINCIA EXOTICA, una raccolta di racconti post-moderni e surreali ispirati da squarci di vita e personaggi che popolano un’Emilia trasfigurata. Il disco successivo si chiama VOLARE BASSO, esce nel 2013 ed è di una bellezza spiazzante; melodia e metafisica si fondono in brani elettrici e squadrati, su tutto, la voce di Taver, capace di pungere direttamente al cuore con sfumature sorprendenti, a conferma di una maturità ormai conquistata nel canto. Tra i brani (tutti belli), toccano molto: Il ponte di Calatrava, Lo scafista dell’anima, Le alte vette dello spirito e Canzoni melense e grandi bastardi (un brano pungente e ironico sul panorama musicale italiano).

Del 2016 è l’uscita di FANTACOSCIENZA, un album che sposta l’asticella della qualità autoriale di Taver ancora più in alto. Per titolo un neologismo del critico cinematografico Callisto Cosulich, a significare una fusione tra macrocosmo e microcosmo, tra cosmo e subconscio. Nata tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, la fantacoscienza ha cercato un contatto dimensionale tra lo spazio interno e lo spazio interiore della coscienza.

A dire il vero, è un po’ incasinato come concetto, ma ascoltando il disco tutto si chiarisce, ve lo assicuro. Ancora canzoni come perle (Hollow baobab, Fauni, Fantacoscienza, Il raggio della morte, Kolosimo), sublimate dalla splendida voce di Fabrizio “Taver” Tavernelli e dalla perfetta fusione tra parole e suoni generati da musicisti/amici che ormai lo accompagnano da più di un lustro: Lorenzo Lusvardi (batteria), Marco Tirelli (basso), Marco santarello (chitarra), Alessandro Nitto (tastiere). In occasione dell’uscita di questo disco, i musicisti hanno portato in tourneè in tutta Italia la loro musica recuperando un termine che ormai risultava obsoleto: complesso; nasceva così il “Fabrizio Tavernelli complesso”.

 

Come si diceva, è di poco più di un mese l’uscita di INFANTI, l’ultimo disco di Fabrizio Tavernelli. A suonare ci sono gli stessi fedeli musicisti, ed è questo, se si può dire: il disco perfetto.

Un concept-album sopra le righe che già dal titolo parla chiaro e non fa sconti a nessuno.

I protagonisti sono i bambini, spesso sacrificati sull’altare dell’ipocrisia e dell’estetica, sfruttati dall’establishment, martirizzati dalle guerre, eppure unica speranza di futuro di un mondo globalizzato e agonizzante. Un disco, Infanti, che rappresenta il picco più alto nel repertorio di Taver, contenente testi di elevato spessore poetico, ricchi di parole che riescono a toccare in profondità anche le coscienze più refrattarie.

I suoni poi, meritano un discorso a parte. Gli anni Ottanta e Novanta ci sono tutti inzuppati leggermente nei settanta, c’è Bowie che proprio non se ne vuole andare, c’è un respiro prog che sprigiona adrenalina e profuma di suoni suonati nella cantina sotto casa, c’è una voce che riesce ad anestetizzare i dolori più reconditi e a calmare ogni tremore, per quanto è bella. Si potrebbero dire mille altre cose su questo disco se a disposizione non si avessero solo pochi ascolti, così, solo il tempo e le suggestioni personali potranno suggerirne delle altre.

Queste le parole con cui Fabrizio Tavernelli ha presenta “Infanti” in occasione della campagna di crowdfunding lanciata per la realizzazione del disco e che ha raccolto fondi ben oltre le aspettative:

Infante, bambino in tenera età, che non può parlare, che è muto. Infante contiene la parola fante e allora in-fante indica la trasformazione in soldato, un arruolamento, una resa alle armi. Il fante, quello che combatte a piedi, quello che si trova in prima linea. Ecco provate a pensare alle trincee della guerra mondiale e spostate lo scenario nelle odierne trincee mediatiche, nei campi di battaglia digitale, nelle trincee scavate nei social dove ad essere sbattuti al fronte sono i corpi dei bambini. Carne, sangue, sguardi innocenti usati sempre di più come mezzi per combattere le nostre guerre, per spostare le opinioni nel mondo e spesso ci si chiede se la massa oscena di immagini con cui veniamo bombardati sia reale o artefatta. Se dietro vi sia una regia, una sceneggiatura con effetti speciali o se stiamo davvero assistendo al massacro dei figli della terra.

Una domanda che appare relativa, perchè, vero o falso, senza filtri o costruito, si tratta comunque di un uso pornografico dei corpi degli infanti. Reportage di guerra o voyeurismo? Noi li mandiamo al fronte e osserviamo dagli schermi dei nostri terminali persi tra lo sconcerto, l’orrore e una inconfessabile morbosità. Noi non siamo stati in quei luoghi distrutti, tra le macerie, tra la disperazione e l’abbandono. 

Potranno i nostri figli avere la nostra stessa fortuna di non incontrare mai la guerra? In fondo nuove forme di conflitto sono già entrate nelle nostre città e questo lo si percepisce dalle paure confessate dai più piccoli. Le promesse di viaggi senza confini e i pensieri senza prigioni sembrano appartenere al passato idealizzato, quello che rimane e prospera è un mondo che urla.

Guerre che invadono sempre più le nostre società insoddisfatte dove i nostri bambini sono messi di fronte a un paradiso che strabocca di oggetti preziosi, di ricchezze ostentate volgarmente ma dove è necessario insegnare che è peccato desiderare, che non è possibile toccare, avere, dove gli ipermercati sono paradisi perduti. Bambini a cui si ruba il futuro, a cui non verrà mai pagato nessun riscatto.

Persino i furti delle donazioni destinati alle loro cure sono il segno dell’abuso del loro corpo, del loro essere indifesi. E’ una messa in minore che non ha più nulla di sacro. Loro sono le nostre vittime, messi al mondo per imparare le negazioni, le assenze, la chiusura di confini, le barriere, i muri, il filo spinato. Bambini a cui si nega la terra e il suo attraversamento, che saranno stranieri nella stesso luogo dove sono nati. Infine noi, nel nostro quotidiano, dove i figli diventano l’ultimo status symbol da mostrare in pegno alla società o il campo minato che ci lasciamo dietro quando noi adulti abbandoniamo le nostre postazioni di guerra.

Loro sono il nostro scudo, gli ostaggi, quello che ci terrorizzerà.”

Category: Cultura

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