QUELLA GIUDIZIARIA GIA’ ESISTENTE NON BASTA, MANCA ANCORA LA VERITA’ ‘POLITICA’ SULL’ OMICIDIO DI RENATA FONTE. ECCO PERCHE’, E DOVE BISOGNA CERCARLA

| 18 Febbraio 2018 | 0 Comments

di Graziano De Tuglie______

Il mio commento alla fiction di Canale 5 sulla tragica vicenda di Renata Fonte ha suscitato domande che da anni sono senza risposta.

Sono domande relative al dubbio che le conclusioni processuali non abbiano scoperto tutta la verità.

Come è noto, al termine dei tre gradi di giudizio, il processo ha identificato e condannare gli esecutori materiali,  Giuseppe Durante e Marcello My, mentre Mario Cesari e Pantaleo Sequestro sono stati individuati come gli intermediari tra i sicari e Antonio Spagnolo, collega del Partito Repubblicano e primo dei non eletti in consiglio, ritenuto il mandante.

E sono domande che a molti vengono in mente appena ci si allontana dalla “vulgata” che dipinge la Fonte come eroina di Portoselvaggio.

Vediamo allora se è possibile trovare qualche risposta.

 

 

 

 

Preliminarmente bisogna sgomberare il campo da un grosso equivoco.

Taluni sostengono che negare il rischio di nuove lottizzazioni a Portoselvaggio equivalga a negare il carattere di mafiosità del delitto, e restringere il movente ad ambizioni personali di Spagnolo che voleva il posto di consigliere ed assessore comunale.

 

Nulla di più falso, Renata Fonte muore per le sue posizioni rigorose verso una gestione della cosa pubblica improntata a trascurare regole e legalità a favore di chi era abituato a disinvolti percorsi burocratici per chi “contava”.

Solo che non era Portoselvaggio l’epicentro delle nuove speculazioni. Dalle aree tutelate dalla legge regionale 21 del 1980 bisognava spostarsi.

Bisognava vedere quali mire erano in incubazione e quali “aggiustamenti” venivano richiesti alla progettazione del Piano Regolatore Generale che era in redazione in quel periodo.

 

Renata Fonte, estranea alle elite cittadine e agli ambienti che contavano nell’economia di Nardò, guardava tutti con imparzialità senza riservare “vie preferenziali” ad alcuno. Era pertanto un ostacolo insormontabile per coloro che avevano mire sulla costa neritina, per coloro che volevano ricoprirla di villaggi turistici, città morte per nove mesi all’anno.

Erano in tanti scontenti di tale rigore che contrastava i progetti che fervevano, chissà con quali capitali poi, nella mente di chi agognava lauti profitti dalla vendita di villette a schiera.

 

La lottizzazione di Portoselvaggio era sfumata per legge regionale, ma aveva comunque svegliato appetiti robusti e aveva avuto retroscena e impatti economici non secondari (nel 1980 un’ispezione della Banca d’Italia alla Banca Popolare di Nardò aveva costretto l’istituto bancario cittadino a fondersi col Piccolo Credito Salentino).

Quindi gli interessi si erano spostati altrove, sempre sulla costa di Nardò ma in luoghi diversi lontani da Portoselvaggio propriamente detto.

La lettura attenta delle pratiche edilizie dell’epoca avrebbero potuto suscitare negli inquirenti, a omicidio di Renata Fonte avvenuto, altri filoni d’investigazione.

Fu fatto?

Semplici osservatori come chi stende questa nota non posseggono strumenti d’indagine sofisticati, anzi non posseggono proprio poteri investigativi; molti protagonisti della vita pubblica dell’epoca sono scomparsi così pure molti esponenti delle burocrazie connesse.

Rimarrà sempre il dubbio che Portoselvaggio sia stato, abilmente, usato come cortina fumogena per stornare l’attenzione da altre operazioni speculative che magari sono andate tranquillamente in porto.

Non si riuscì mai a sapere, nel dettaglio, l’origine dei soldi, ottanta milioni di lire, che furono il prezzo dell’omicidio: la tracciatura dei flussi di denaro era, allora, ancora allo stato sperimentale e certo più difficile di quanto sia oggi.

Come pure non sappiamo quanto si sia scavato nella candidatura a Nardò dello Spagnolo, che era di Veglie, all’ epoca  dipinta come necessità di coagulare i consensi di uno spregiudicato procacciatore di pensioni.

 

Renata Fonte fu vittima degli interessi di speculatori locali, ma anche di altri forse più lontani, forse mai cercati con la necessaria determinazione: lo fu perché estranea a certi circuiti e intenzionata fortemente a non farsi coinvolgere in certe pratiche.

Canale 5 ha prodotto una rappresentazione che non le rende onore; diversamente “La posta in gioco”, instant film del 1988 di Sergio Nasca, almeno nelle scene finali lascia il dubbio che la sentenza giudiziaria non abbia scoperto tutta la verità.

Sulla base di quanto abbiamo qui esposto, è un dubbio legittimo: qui abbiamo indicato le direzioni su cui bisogna incamminarsi per raggiungere quello che ancora manca. ______

LA RICERCA nel nostro articolo del 5 febbraio

DOPO LA DELUDENTE FICTION DI CANALE 5 / ANCORA TUTTA DA SCRIVERE LA VERA STORIA DELL’ ASSASSINIO DI RENATA FONTE. BISOGNA RICOMINCIARE DAL CAPIRE CHE PORTOSELVAGGIO NON C’ ENTRA NIENTE

Category: Costume e società, Cronaca, Cultura, Politica

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