PUGLIA, LE VIE DEL JAZZ PASSANO DA SALIGNANO. NELLA TORRE, LA SERATA DI PAROLE E NOTE DELL’ ASSOCIAZIONE LAMPUS. UGO SBISA’ A leccecronaca.it: ‘IO, ROUND MIDNIGHT, CON MILES DAVIS, STAN GETZ E FRANK SINATRA’
di Roberto Molle______
Organizzata dall’associazione culturale Lampus, si è svolta ieri sera a Salignano, frazione di Castrignano del Capo, la presentazione del libro di Ugo Sbisà: “Puglia, le età del jazz”, Adda editore. Non nuova a questo tipo di iniziative, l’associazione Lampus vanta l’organizzazione di diversi eventi culturali all’ interno del format “Parlami di Jazz”, che hanno visto la luce tra Gallipoli e Santa Maria di Leuca.
Teatro della presentazione è stato l’interno della splendida torre cinquecentesca, una delle meglio conservate in tutto il Salento. La sua struttura a botte molto particolare, e un’acustica eccezionale, hanno permesso un ascolto perfetto da ogni angolazione, anche senza amplificazione.
Tornando all’autore Ugo Sbisà, giornalista e critico musicale, tra i massimi esperti pugliesi di Jazz, si può dire che abbia scritto e curato la pubblicazione di un libro-documento molto importante che può aiutare a tracciare una mappa significativa non solo per quel che riguarda l’aspetto della musica e del jazz, ma anche di un pezzo di storia sociale e civile dell’Italia e della Puglia in particolare, dal secondo Dopoguerra a oggi.
In gioco, ci sono passione, ricerca e capacità narrativa; mille incontri, tanti concerti vissuti in prima linea, musicisti famosi e non, con cui ci si è confrontati. Un libro fatto di tante testimonianze, aneddoti, rivelazioni.
Ugo Sbisà, ha risposto alle domande interessanti e competenti di Eliana Augusti, storica e direttrice del sito web “Orilla – jazz e dintorni”, e di Fulvio Palese, musicista e compositore. Ma è stato più un parlare a braccio quello di Sbisà, caratterizzato da una grande capacità affabulatoria, attraverso il quale trapelava, in maniera per niente velata, la grande competenza di storico musicale e una passione speciale per il jazz.
Tra gli aneddoti raccontati, uno in particolare molto curioso. La volta che venne a suonare a Bari il grande trombettista Miles Davis, Ugo Sbisà, per un fortunato gioco del destino, si ritrovò in un taxi con lo stesso Davis, che nel suo inglese incomprensibile gli chiedeva se conoscesse un dottore dove poterlo accompagnare; si può immaginare a quei tempi senza internet e tecnologia, dover spiegare a Miles Davis che bisognava prima di tutto trovare una cabina telefonica, far accostare il taxi, far aspettare il “signore del jazz” e provare a chiedere a qualche amico per telefono l’indirizzo di un medico. Poi Miles suonò “Round midnight” in onore di Ugo.
A inframmezzare la lunga e interessante serata, dando un tono suggestivo alle parole, sono intervenuti lo stesso Fulvio Palese al sax e Roberto Esposito al piano, ricreando magistralmente la magia di “Round midnight”.______
Prima della presentazione abbiamo posto qualche domanda ad Ugo Sbisà. Questo il resoconto:
D.): Apprendiamo dal tuo libro che il Jazz in Puglia ha una tradizione ben consolidata. Ugo Sbisà, da dove nasce l’idea di raccontare storie, aneddoti e musicisti che dal secondo Dopoguerra, hanno visto come teatro la Puglia?
Ugo Sbisà:
L’idea di questo lavoro nasce un po’ banalmente, nel senso che in questi anni, per passione prima che per professione, ho seguito tutto quello che è avvenuto in quell’ambito; poi, grazie anche al mio lavoro, girando in tutta la regione a tenere corsi sulla storia del Jazz nei conservatori, diciamo che in questa “materia” sono stato un pioniere. Stando a contatto con tanti giovani aspiranti musicisti, e ogni volta parlandoci, mi rendevo conto di come anche per chi è della mia generazione – diciamo prossima ai sessant’anni – sembri scontato si conoscano gli avvenimenti che hanno ruotato intorno al jazz, e invece, si ha la netta sensazione di parlare del Medioevo o di fantascienza.
Allora, un po’ per consegnare una serie di racconti e di memorie che si poteva correre il rischio che andassero smarrite, e anche perché avendo io iniziato ad ascoltare il Jazz a dodici anni, e avendo avuto la fortuna di incontrare molti appassionati storici in tutta la Puglia, raccogliendo da lori racconti e dalle loro memorie, ho potuto ricostruire delle vicende particolari.
Ad esempio, chi si ricorda che nel ’45 a Bari e a Foggia ha tenuto concerti Frank Sinatra per le truppe americane? E addirittura che nel 1944-45 a Foggia ha fatto il servizio militare Stan Getz (il sassofonista statunitense ritenuto uno dei massimi esponenti del cool Jazz n.d.r.) nell’esercito americano di stanza in Italia? Non molti.
Quindi, tutta una serie di storie che secondo me, andavano raccontate prima che col passare del tempo si perdessero anche le persone in grado di ricordarle. E poi, anche il fatto di poter ricostruire anche con una certa conoscenza critica, tutto il percorso dell’evoluzione, di come è cambiato il pubblico, di come sia cambiato il modo di organizzare i concerti; di come sono cambiati anche i musicisti, ad un certo punto c’è stato un vero e proprio passaggio dal dilettantismo al professionismo, intendo per dilettantismo il suonare non male, ma non suonare certamente per vivere.
Domanda: Il Jazz è un genere che nasce come musica sociale, dal basso, poi riesce a conquistare anche altri spazi. In Puglia, in particolare, è stata o lo è ancora, da considerarsi un genere d’elitè?
Ugo Sbisà:
Se per musica d’elitè intendiamo una musica che va incontro ad un pubblico specializzato, per alcuni versi, ma solo per alcuni, la risposta è sì. In realtà c’è stato un cambiamento radicale proprio nel pubblico che segue il Jazz negli ultimi trent’anni; e devo dire che se negli anni Settanta e Ottanta c’era un pubblico che era “il pubblico del Jazz”, e non andava ad altri concerti, oggi abbiamo a che fare con un pubblico più onnivoro, che ascolta di tutto e quindi ascolta anche il jazz; e questo non sempre è un bene perché naturalmente, poi si disperde abbastanza facilmente.
Domanda: Non è alla fine una questione di corsia dedicata? Il jazz, proprio per la sua struttura ha bisogno di dedizione, predisposizione all’ascolto, concentrazione, “spazi mentali” disponibili. E se tutto questo viene meno, il rischio non è proprio che la musica si appiattisca su una banale questione di quantità ascoltata e non di qualità recepita?
Ugo Sbisà:
Sì, è proprio così. È venuto meno quel nucleo di appassionati storici che erano un po’ la garanzia ogni volta che si organizzava un concerto, però c’è comunque ancora un buon riscontro e tante buone occasioni. Anche perché da una decina d’anni a questa parte abbiamo un buon livello di musicisti pugliesi che stanno avendo delle carriere splendide in campo internazionale; qualcuno ha anche vinto il referendum di “Dow Beat” (la prestigiosa rivista statunitense che si occupa di Jazz n.d.r.), considerata la bibbia della critica specializzata americana. Sono musicisti pugliesi che vivono ancora in Puglia, il che è ancora più importante. Proprio il grande livello qualitativo di questi musicisti, ha fatto sì che anche la residenza, che prima era un problema – il jazzista o andava a vivere a Roma, o andava a vivere a Milano – non è più quel luogo fisico vincolante, un po’ perché i collegamenti sono più facili, un po’ per la globalizzazione, i musicisti possono risiedere in qualsiasi parte d’Italia e poter comunque suonare in tutto il mondo; questo grazie al fatto che sono riusciti a farsi una reputazione, cosa che prima era molto più difficile.
Domanda: In quel preciso periodo storico, gli anni Quaranta, come è stato l’impatto tra i Pugliesi e l’arrivo di questa forma di musica “aliena” che era il jazz?
Ugo Sbisà:
C’è stata subito nei confronti del jazz tanta curiosità, perché era la musica che combaciava con la liberazione, e con l’arrivo degli Americani che aiutarono a liberare la Puglia e l’Italia meridionale dai fascisti e dai nazisti subito dopo l’8 settembre. Gli americani arrivavano con le loro orchestre e la loro musica, e per tutte quelle generazioni cresciute durante la guerra, ascoltare lo swing, ascoltare il jazz, non quello moderno, ma quello degli anni Quaranta e Cinquanta, era un po’ come sognare una vita migliore dopo l’incubo dei bombardamenti e della dittatura; per cui c’era tanto interesse, tanto è vero che le prime formazioni di jazz in Puglia nascono in ambito universitario. Sono tutti studenti che si appassionano a questa musica ascoltata dal vivo o sentendo “The voice of America” (il servizio radiotelevisivo ufficiale del governo federale degli Stati Uniti n.d.r.) alla radio, o attraverso i pochi dischi che arrivavano. E spesso proprio dai dischi, questi studenti imparavano da autodidatti a suonare il jazz; da qui, nascono delle formazioni che cominciano a suonare a Bari alle feste delle matricole, e in tante altre situazioni, facendo nascere e tenendo vivo l’interesse intorno a quel genere. Interesse che è continuato fino agli anni Sessanta, fino all’ arrivo dei Beatles che hanno spazzato via tutto, e tutti i musicisti e i consumatori di musica che fino a quel momento avevano ascoltato quella americana, si sono buttati sul come dire: post rock and roll.
Domanda: Il jazz odierno, quello che si suona in Italia e in Puglia è ancora il jazz di quei tempi?
Ugo Sbisà:
Beh, ormai il jazz è diventato una musica globale, per cui diciamo: benché la radice della musica statunitense afro-americana sia ben presente, specialmente in Italia, penso ci siano le forme jazzistiche più importanti di tutta Europa, con dei musicisti che ormai hanno una reputazione internazionale di altissimo livello. E nell’ ambito del jazz italiano, sicuramente quello pugliese è quello che presenta i connotati di maggiore originalità; non a caso molti musicisti pugliesi sono conosciutissimi in tutto il mondo e tengono di continuo tantissimi concerti.
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