STORIA / 2 DICEMBRE 1943, INFERNO SU BARI

| 9 Dicembre 2017 | 0 Comments

di Stefano D’ Almo______

 

2 dicembre 1943, è stata a Bari la Pearl Harbour italiana. Un bombardamento contro il porto, che solo per un fatto accidentale non determina lo sterminio di gran parte dei suoi abitanti.

E’ stata definita la Pearl Harbour italiana, ma è una pagina di storia rimasta finora quasi del tutto ignorata.

Difficile se non impossibile trovarne traccia nei libri di testo e persino nelle cronache del tempo. Il segreto militare, imposto dal comando britannico all’epoca a capo delle operazioni sul versante est della penisola, ha resistito a lungo, ed è stato ferreo.

Ma perché si parla di una Pearl Harbour? Perché, anche se non si è trattato di un attacco proditorio come quello che indusse gli USA ad entrare nella seconda guerra mondiale, provocò comunque un’ecatombe, quell’interminabile notte di settantaquattro anni fa. Un dramma che, pur terribile e doloroso, avrebbe potuto avere conseguenze ancora peggiori di quelle che ebbe. Per pura fortuna o, se si preferisce miracolo, ciò non avvenne.

Personaggi e interpreti: la marina alleata sotto il comando inglese, la Luftwaffe tedesca, i portuali e i cittadini del capoluogo pugliese. Teatro della vicenda la città di Bari, raccolta intorno al suo porto, stipato di 158.000 tonnellate di navi alleate e della regia marina italiana, addette al trasporto di petrolio, vettovaglie e munizioni necessarie al rifornimento delle truppe impegnate nello sforzo bellico contro i tedeschi. Un assembramento di mezzi navali così ingente da non poter sfuggire al nemico, che la notte del 2 dicembre 1943 invia uno stormo composto da 105 bombardieri Junkers 88.

Ritorneranno tutti alla base, eccetto due: indubbiamente un grande successo per i nazisti, lo riconosceranno poi anche gli stessi alleati. Il primo attacco è preceduto dal sorvolo da parte di alcuni velivoli cui è affidato il compito di spargere striscioline metalliche allo scopo di accecare i radar e illuminare il porto con il lancio di bengala.

Subito dopo, con l’arrivo del grosso dei bombardieri, si scatena l’inferno sulle navi ormeggiate e sulla città. I morti civili si contano in circa 1000, ma il bilancio finale parla di circa 1500, molti dei quali a causa dell’iprite, gas vescicante impiegato già nella prima guerra mondiale, contenuto come “stock di riserva” nella pancia della John Harvey, una “Liberty ship” (navi costruite in serie in soli 4 giorni dagli americani per rimpiazzare il naviglio affondato dagli U-boot tedeschi) inopportunamente ancorata tra bastimenti imbottiti di petrolio e di esplosivi.

A causa delle esplosioni, molti contenitori del gas si ruppero e riversarono il loro contenuto nell’aria ed, essendo l’iprite solubile nel petrolio, anche in quest’ultimo, restando così a galla per molto tempo all’interno del porto. Fortuna volle che il vento spirasse dalla direzione giusta e spinse i gas mortali verso il mare aperto, sebbene non abbastanza rapidamente da lasciare illesi coloro che si trovavano dei paraggi del porto. Pesante anche il bilancio dei danni alle attrezzature militari: furono distrutte 40 navi e quello di Bari risultò essere il bombardamento più disastroso contro un porto italiano dall’inizio della seconda guerra mondiale.

Ma ad aggravare la situazione per militari, operatori portuali e civili si aggiunse la discutibile decisione dello stato maggiore alleato di porre il segreto militare sulla presenza dell’enorme quantitativo di gas tossico trasportato dalla Harvey. Ciò impedì ai medici che soccorsero i feriti di diagnosticare le cause della loro infermità, facendo perdere del tempo prezioso e prolungandone così, per molti di loro l’agonia.

Il problema nasceva anche dalle atipiche modalità di contaminazione, che rendevano difficile l’interpretazione dei sintomi. Di questi eventi si occupa in particolare il libro “Top secret, Bari 2 dicembre 1943” di Francesco Morra, documentarista e regista, che ha dedicato anni di lavoro alla ricerca di documenti inediti negli archivi dei diversi paesi belligeranti, in particolare il Bari Report della commissione d’inchiesta alleata.

Sulla decisione di segretare la presenza delle 1000 tonnellate di gas tossico nel porto di Bari, secondo Morra pesò molto la volontà di impedire che, nell’apprendere la notizia, i tedeschi si ritenessero legittimati a farne uso in Normandia, dove sarebbe avvenuto lo sbarco sei mesi dopo. Oppure il timore delle ripercussioni negative sull’opinione pubblica dei Paesi alleati. Anche se, va ricordato, la convenzione di Ginevra proibiva sì l’uso dei gas tossici, ma non la loro produzione e nemmeno il loro uso a fini di rappresaglia.

Ragione per cui tutti i Paesi in guerra, e non solo quelli, erano dotati di arsenali più o meno consistenti di armi chimiche, con finalità di deterrenza.

Comincia a Bari la preparazione del “DDay”, il giorno più lungo? Forse. Di sicuro anche il Dopoguerra non è esente da problemi e pericoli.

Dal 1945 al 1952, si lavora infatti alacremente per rendere nuovamente sicuri i porti per le navi commerciali. Si sminano quindi i mari circostanti disinnescando o facendo brillare gli ordigni residui. Ma non basta, bisogna urgentemente liberare i fondali dall’enorme quantità di fusti contenenti iprite e levisite di cui erano ricoperti. Una questione molto delicata, com’è facile intuire. Delicata e pericolosa.

“Allo scopo di definirne le modalità operative”, afferma Pasquale Trizio, presidente dell’Associazione Marinai d’Italia, “viene stilato un protocollo nel quale sono individuati i luoghi dove verranno ricollocati i fusti tossici. Essendo troppo complesso e costoso il loro smaltimento, si decide di recuperarli e gettarli in mare al largo, su fondali fangosi di circa 1000 m, dove non avrebbero fatto, almeno in teoria, altri danni. E così è stato, anche se in qualche caso sono stati ritrovati dei fusti dai pescherecci nelle reti a strascico, mentre pescavano su soli 150-200 metri e, in alcuni altri casi, si sono verificate cospicue morie di pesci”.

Come può essere avvenuto e quali sarebbero le conseguenze della liberazione accidentale dei gas nel mare?

Quali le ripercussioni sulla catena alimentare?

Il mistero si arricchisce di nuove pagine, che attendono ancora di essere scritte.

“Tra Memoria alla Solidarietà, 2 dicembre 1943: inferno su Bari” è il convegno organizzato presso l’ex Provincia di Bari dall’associazione culturale Virtute e Canoscenza e dal dipartimento O.B.I. dell’ANVCG (Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra). Tra i relatori: Francesco Morra, Vito Antonio Liuzzi, Pasquale Trizio, Santa Vetturi.

Category: Cultura

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